L'origine della Chiesa di san Pietro Apostolo è antichissima essendo annoverata tra i possessi del Monastero di S. Giovanni di Parma nel 1144. Alla chiesa era pure annessa una casa di Benedettini.
Nel 1588 passò ai PP. Agostiniani Eremitani che costruirono, su progetto dell’architetto Carlo Draghi, il loro nuovo Convento che è l'attuale sede degli uffici tributari.
Nel secondo dopoguerra all'espansione urbana seguì l'istituzione di nuove parrocchie ad ovest e sud della città limitando la parrocchia di San Pietro ad una porzione del centro città abbastanza modesto. Oggi la chiesa non è più parrocchiale ma rimane come luogo di culto e di preghiera.
Nell'area limitrofa alla chiesa, verso sud si trova il "Palazzetto dello Sport" dedicato a San Giovanni Bosco di proprietà della Diocesi. Quest'area è di pregio e probabilmente potrebbe essere fagocitata per la realizzazione di altri progetti. Alcune "prove d'orchestra" sono già partite.
L'ex convento degli Eremitani, come abbiamo detto, fino a pochi mesi fa sede di uffici governativi (nell'ottocento era occupato dalla Sottoprefettura di Borgo San Donnino poi soppressa) è una delle costruzioni storiche di Fidenza tutelate.
L'ex convento, cortile interno ed ingresso |
L'ex convento subito dopo i bombardamenti del 1944 |
STORIA DI UNA CHIESA E DI UN CONVENTO
Dalla pagina della Diocesi di Fidenza Agostiniani a Borgo san Donnino
Dal Bollario Cassinese si apprende che il monastero di S. Giovanni Ev. in Parma, fra le molte chiese che esso possedeva, annoverava anche quella fidentina di S. Pietro Ap. All'Ecclesia Sancti Petri de Burgo S. Domnini si accenna pure in un privilegio confermato nel 1144 a quel monastero da papa Lucio II.
Trattandosi di un privilegio confermato, è lecito arguire che la chiesa esistesse in epoca antecedente, quantunque non precisamente accertabile.
La cura spirituale della parrocchia era affidata dai Benedettini del monastero di Parma ad un parroco che, con il titolo di priore, beneficiava delle rendite provenienti dai beni dotali. Il patrimonio beneficiario era ingente.
Nel 1565, essendo priore Camillo Plauzio, ne fu fatta un'esatta descrizione da certi Bernardino Zuccheri e Pietro Gallazio, coadiuvati dai pubblici misuratori Bargone Boarini e Ottavio Scaglioni.
L'atto, inserito in un rogito del notaio Giuseppe Bianchi in data 23 marzo di quell'anno, esisteva nella Cancelleria vescovile; da esso, ed anche da un successivo rogito del notaio Livio Arcari del 9 maggio 1571, pure conservato nell'Archivio vescovile, rilevavasi che i vari poderi costituenti la dote parrocchiale, denominati La Sagrata, La Bissara e La Brugnola, posti a Cabriolo, a Bargone ed a Lodesana, raggiungevano un'estensione di 337 biolche parmigiane, comprese le 122 di terreno boschivo della Bissara.
Alla chiesa di S. Pietro Ap. era pure annessa una chiesa di Benedettini.
Nel 1355 era priore fra Enrico Grataluscio, al quale Ugolino, vescovo di Parma, scrisse di "tenere in soggezione gli ecclesiastici di Borgo", raccomandazione che il presule rivolse pure al podestà.
Intorno alla metà del sec. XVI era parroco, come è stato detto, Camillo Plauzio.
A questi successe, nel 1574, Paolo Delfi che fu l'ultimo priore della parrocchia.
Infatti, nel 1588 il pontefice Sisto V, con bolla del 14 luglio, approvò la cessione del priorato già conclusa dai Benedettini di Parma a favore dei monaci Eremitani di S. Agostino, che risiedevano fuori delle mura dell'antica Borgo S. Donnino in un piccolo chiostro attiguo ad un oratorio intitolato a S. Rocco.
Alla bolla papale fu data esecuzione con atto notarile rogato dal dr. Ippolito Fasoli e quindi il 29 gennaio del successivo anno 1589 gli Agostiniani presero possesso della chiesa, delle sue suppellettili e di 57 biolche di terra appartenenti al priorato, le quali ultime, conformemente alla disposizione pontificia, erano state loro assegnate, essendo stato riservato l'usufrutto delle rimanenti per il sostentamento del parroco Paolo Delfi fintanto che questi fosse rimasto in vita.
Il Delfi morì il 9 ottobre di quello stesso anno e conseguentemente i religiosi entrarono in possesso anche di tutti gli altri beni.
Sul terreno della vecchia canonica essi costruirono, intorno al 1600, un nuovo convento che è poi il vasto edificio tuttora esistente a lato della chiesa ed adibito a sede di pubblici uffici e provvidero pure ad erigere un nuovo tempio l'attuale sull'area del preesistente, ridotto per vetustà in cattive condizioni statiche.
La prima pietra del costruendo edificio fu posta in luogo il 7 marzo 1602 dal priore Isidoro Sandri.
Alla cura spirituale della parrocchia i monaci designarono un religioso curato, approvato nelle canoniche forme dal vescovo di allora Papirio Picedi, il quale, per il proprio sostentamento e per le spese di culto usufruì dei beni dotali.
Questa situazione si protrasse per circa due secoli, fintanto cioè che con decreto napoleonico 25 dicembre 1805 gli ordini dei Benedettini e degli Agostiniani furono con altri soppressi ed i conventi e annessi beni incamerati dal Demanio. Questa è anche la ragione per cui l'archivio parrocchiale risulta povero di documenti: i frati li asportarono durante la loro partenza.
Vani furono i reclami e le istanze dei parrocchiani di S. Pietro per indurre l'esecutore incaricato a riconoscere ed a distinguere i beni del convento da quelli della parrocchia.
Si permise soltanto che l'allora regolare-curato potesse alloggiare per qualche tempo in due stanze attigue alla chiesa, già destinate per abitazione del parroco; ma, privato egli in seguito anche di queste perché incorporate al convento, adibito ad altri usi, né essendo in grado di far fronte alle spese di culto con la semplice pensione di 500 lire annue, assegnate pure a tutti gli altri religiosi, fu costretto a rinunciare, dopo tre anni, alla mansione di parroco.
A questa supplì ancora per un anno, cioè sino al 1810, un sacerdote incaricato dal vescovo.
Sennonché questi si trovò improvvisamente nelle condizioni di dover provvedere anche alla cura spirituale dei parrocchiani di S. Michele Arc., rimasti senza chiesa per essere stata la loro adibita dal Governo francese a magazzino per le truppe ed in seguito a ricovero di mendicità.
A ciò fu posto rimedio con l'annettere alla parrocchia di S. Michele Arc. la chiesa dei Gesuiti, la quale sorgeva nelle vicinanze dell'altra soppressa.
Quanto alla chiesa di S. Pietro Ap., essa rimase aperta ai fedeli, ma, privata dei mezzi con cui far fronte alle spese di manutenzione (a quelle di culto provvide per qualche anno la fabbriceria di S. Michele Arc.), si avviò verso una lenta rovina. In data 11 luglio 1820, il vescovo Luigi Sanvitale presentò istanza a Maria Luigia d'Austria, reggente il ducato di Parma, Piacenza e Stati annessi, per ottenere che dalle rendite dei beni incamerati fosse stralciata una somma con la quale provvedere a riparazioni e restauri di cui il sacro edificio aveva urgente necessità.
A questa fece seguito una petizione dei parrocchiani di S. Pietro richiedente alla sovrana la concessione di un assegno annuo al parroco perché egli potesse sopperire alle spese di culto ed a quelle per il proprio sostentamento. È probabile che la prima istanza ponendola in relazione ad uno "stato generale delle spese occorse per il riattamento della Chiesa parrocchiale", redatto dal geom. Giovanni Granelli il 13 dicembre 1822 e conservato nell'archivio parrocchiale, avesse incontrato accoglimento.
La cosa è però certa per la seconda. Infatti, Maria Luigia, con decreto 4 marzo 1832, disponeva che i beni di pertinenza del beneficio semplice di S. Giorgio, eretto nell'omonimo oratorio, fossero incorporati al beneficio parrocchiale. Questi beni, tuttora in dotazione del beneficio parrocchiale di S. Pietro Ap., consistevano nei poderi Rovacchia-Coduro e Cannetolo.
Il loro incorporamento, disposto da Maria Luigia, impedì che essi venissero successivamente incamerati in forza delle leggi eversive degli anni 1866-67. Salvo però il patrimonio, fu la chiesa ad essere presa di mira per scopi non precisamente religiosi.
Nel 1860 il sindaco ordinò lo sgombero del tempio, che fu trasformato in magazzino di foraggio per i cavalli delle truppe governative ed ugual sorte toccò all'edificio al tempo della guerra 1915-18.
Trattandosi di un privilegio confermato, è lecito arguire che la chiesa esistesse in epoca antecedente, quantunque non precisamente accertabile.
La cura spirituale della parrocchia era affidata dai Benedettini del monastero di Parma ad un parroco che, con il titolo di priore, beneficiava delle rendite provenienti dai beni dotali. Il patrimonio beneficiario era ingente.
Nel 1565, essendo priore Camillo Plauzio, ne fu fatta un'esatta descrizione da certi Bernardino Zuccheri e Pietro Gallazio, coadiuvati dai pubblici misuratori Bargone Boarini e Ottavio Scaglioni.
L'atto, inserito in un rogito del notaio Giuseppe Bianchi in data 23 marzo di quell'anno, esisteva nella Cancelleria vescovile; da esso, ed anche da un successivo rogito del notaio Livio Arcari del 9 maggio 1571, pure conservato nell'Archivio vescovile, rilevavasi che i vari poderi costituenti la dote parrocchiale, denominati La Sagrata, La Bissara e La Brugnola, posti a Cabriolo, a Bargone ed a Lodesana, raggiungevano un'estensione di 337 biolche parmigiane, comprese le 122 di terreno boschivo della Bissara.
Alla chiesa di S. Pietro Ap. era pure annessa una chiesa di Benedettini.
Nel 1355 era priore fra Enrico Grataluscio, al quale Ugolino, vescovo di Parma, scrisse di "tenere in soggezione gli ecclesiastici di Borgo", raccomandazione che il presule rivolse pure al podestà.
Intorno alla metà del sec. XVI era parroco, come è stato detto, Camillo Plauzio.
A questi successe, nel 1574, Paolo Delfi che fu l'ultimo priore della parrocchia.
Infatti, nel 1588 il pontefice Sisto V, con bolla del 14 luglio, approvò la cessione del priorato già conclusa dai Benedettini di Parma a favore dei monaci Eremitani di S. Agostino, che risiedevano fuori delle mura dell'antica Borgo S. Donnino in un piccolo chiostro attiguo ad un oratorio intitolato a S. Rocco.
Alla bolla papale fu data esecuzione con atto notarile rogato dal dr. Ippolito Fasoli e quindi il 29 gennaio del successivo anno 1589 gli Agostiniani presero possesso della chiesa, delle sue suppellettili e di 57 biolche di terra appartenenti al priorato, le quali ultime, conformemente alla disposizione pontificia, erano state loro assegnate, essendo stato riservato l'usufrutto delle rimanenti per il sostentamento del parroco Paolo Delfi fintanto che questi fosse rimasto in vita.
Il Delfi morì il 9 ottobre di quello stesso anno e conseguentemente i religiosi entrarono in possesso anche di tutti gli altri beni.
Sul terreno della vecchia canonica essi costruirono, intorno al 1600, un nuovo convento che è poi il vasto edificio tuttora esistente a lato della chiesa ed adibito a sede di pubblici uffici e provvidero pure ad erigere un nuovo tempio l'attuale sull'area del preesistente, ridotto per vetustà in cattive condizioni statiche.
La prima pietra del costruendo edificio fu posta in luogo il 7 marzo 1602 dal priore Isidoro Sandri.
Alla cura spirituale della parrocchia i monaci designarono un religioso curato, approvato nelle canoniche forme dal vescovo di allora Papirio Picedi, il quale, per il proprio sostentamento e per le spese di culto usufruì dei beni dotali.
Questa situazione si protrasse per circa due secoli, fintanto cioè che con decreto napoleonico 25 dicembre 1805 gli ordini dei Benedettini e degli Agostiniani furono con altri soppressi ed i conventi e annessi beni incamerati dal Demanio. Questa è anche la ragione per cui l'archivio parrocchiale risulta povero di documenti: i frati li asportarono durante la loro partenza.
Vani furono i reclami e le istanze dei parrocchiani di S. Pietro per indurre l'esecutore incaricato a riconoscere ed a distinguere i beni del convento da quelli della parrocchia.
Si permise soltanto che l'allora regolare-curato potesse alloggiare per qualche tempo in due stanze attigue alla chiesa, già destinate per abitazione del parroco; ma, privato egli in seguito anche di queste perché incorporate al convento, adibito ad altri usi, né essendo in grado di far fronte alle spese di culto con la semplice pensione di 500 lire annue, assegnate pure a tutti gli altri religiosi, fu costretto a rinunciare, dopo tre anni, alla mansione di parroco.
A questa supplì ancora per un anno, cioè sino al 1810, un sacerdote incaricato dal vescovo.
Sennonché questi si trovò improvvisamente nelle condizioni di dover provvedere anche alla cura spirituale dei parrocchiani di S. Michele Arc., rimasti senza chiesa per essere stata la loro adibita dal Governo francese a magazzino per le truppe ed in seguito a ricovero di mendicità.
A ciò fu posto rimedio con l'annettere alla parrocchia di S. Michele Arc. la chiesa dei Gesuiti, la quale sorgeva nelle vicinanze dell'altra soppressa.
Quanto alla chiesa di S. Pietro Ap., essa rimase aperta ai fedeli, ma, privata dei mezzi con cui far fronte alle spese di manutenzione (a quelle di culto provvide per qualche anno la fabbriceria di S. Michele Arc.), si avviò verso una lenta rovina. In data 11 luglio 1820, il vescovo Luigi Sanvitale presentò istanza a Maria Luigia d'Austria, reggente il ducato di Parma, Piacenza e Stati annessi, per ottenere che dalle rendite dei beni incamerati fosse stralciata una somma con la quale provvedere a riparazioni e restauri di cui il sacro edificio aveva urgente necessità.
A questa fece seguito una petizione dei parrocchiani di S. Pietro richiedente alla sovrana la concessione di un assegno annuo al parroco perché egli potesse sopperire alle spese di culto ed a quelle per il proprio sostentamento. È probabile che la prima istanza ponendola in relazione ad uno "stato generale delle spese occorse per il riattamento della Chiesa parrocchiale", redatto dal geom. Giovanni Granelli il 13 dicembre 1822 e conservato nell'archivio parrocchiale, avesse incontrato accoglimento.
La cosa è però certa per la seconda. Infatti, Maria Luigia, con decreto 4 marzo 1832, disponeva che i beni di pertinenza del beneficio semplice di S. Giorgio, eretto nell'omonimo oratorio, fossero incorporati al beneficio parrocchiale. Questi beni, tuttora in dotazione del beneficio parrocchiale di S. Pietro Ap., consistevano nei poderi Rovacchia-Coduro e Cannetolo.
Il loro incorporamento, disposto da Maria Luigia, impedì che essi venissero successivamente incamerati in forza delle leggi eversive degli anni 1866-67. Salvo però il patrimonio, fu la chiesa ad essere presa di mira per scopi non precisamente religiosi.
Nel 1860 il sindaco ordinò lo sgombero del tempio, che fu trasformato in magazzino di foraggio per i cavalli delle truppe governative ed ugual sorte toccò all'edificio al tempo della guerra 1915-18.
In una memoria che fa parte dei documenti di archivio è detto a questo proposito che la chiesa fu occupata dal Genio militare il 5 novembre 1917 e che per tale ragione le funzioni religiose furono da allora celebrate nella sagrestia, cui si accedeva attraverso un ingresso provvisorio praticato tra l'atrio della sagrestia stessa ed i portici dell'adiacente ex convento degli Agostiniani.
"Fu riaperta la chiesa - si legge nella citata memoria - nel mese di giugno 1919, dopo essere stata pulita, con una spesa di lire 1700 per pittura, per restauri al coro, ai confessionali", ecc...
La parrocchia di S. Pietro Ap., di origine antichissima ed assai estesa, subì nel 1973 un considerevole smembramento, restringendosi entro gli attuali confini.
L'espansione urbanistica nella zona a sud e a sud-ovest della città nel vasto quartiere Luce determinò, infatti, il provvedimento vescovile dettato da opportune ragioni di ristrutturazione delle parrocchie cittadine per un migliore assetto delle competenze d'ordine pastorale volte al maggior bene spirituale della popolazione fidentina, di erezione delle due parrocchie urbane di S. Paolo Ap. (30/6/1973) e di S. Francesco d'Assisi (7/7/1973), che si vennero a formare su quella parte del territorio di S. Pietro Ap. situato oltre la circonvallazione a monte.
"Fu riaperta la chiesa - si legge nella citata memoria - nel mese di giugno 1919, dopo essere stata pulita, con una spesa di lire 1700 per pittura, per restauri al coro, ai confessionali", ecc...
La parrocchia di S. Pietro Ap., di origine antichissima ed assai estesa, subì nel 1973 un considerevole smembramento, restringendosi entro gli attuali confini.
L'espansione urbanistica nella zona a sud e a sud-ovest della città nel vasto quartiere Luce determinò, infatti, il provvedimento vescovile dettato da opportune ragioni di ristrutturazione delle parrocchie cittadine per un migliore assetto delle competenze d'ordine pastorale volte al maggior bene spirituale della popolazione fidentina, di erezione delle due parrocchie urbane di S. Paolo Ap. (30/6/1973) e di S. Francesco d'Assisi (7/7/1973), che si vennero a formare su quella parte del territorio di S. Pietro Ap. situato oltre la circonvallazione a monte.
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