Il Po, il grande fiume al centro delle sue terre
Non può certo essere definita una “piena” (nel senso stretto del termine) quella che, in questa prima parte dell’ultima settimana di maggio, ha interessato, da monte a valle, i territori fluviali. Ma erano due anni che non si vedeva un fiume così, increspato dagli “schiumoni”. Chi lo vive, ci vive, lo custodisce, lo conosce e ci è nato lo aspettava perché sapeva che sarebbe tornato a scrivere, anche così, un pezzetto, seppur piccolo, di storia. Tornando a essere “grande” (ma grande lo è sempre e sempre lo sarà) in quei giorni in cui le sue golene sono dipinte dal rosso dei papaveri, dal violetto del cardo selvatico e profumate dalla camomilla.
Un fiume che anche stavolta è stato ed è maestro. Maestro di silenzio e di forza, custode e padre delle sue terre. Maestro nell’indicare ancora una volta, a modo suo, con chiarezza, la necessità di rispettarlo e tutelarlo, tenendo presente, comunque ed ovunque, che la natura ha sempre ragione, capace di prendersi e riprendersi ciò che è suo. Fonte e maestro di vita, una volta in più, per la sua gente, ed anche per coloro che iniziano a scoprirlo ed a conoscerlo. Sarebbe bello, va detto, se i tanti che in questi giorni si sono recati sulle sue rive per osservarne l’aumento, imparassero a frequentarlo sempre, tutti i giorni, tutto l’anno, a piedi ed in silenzio, rispettandone scrupolosamente ogni angolo e i suoi abitanti.
Un fiume che non ha bisogno di chiacchiere, men che meno di quelle degli incravattati dal deretano piatto e pelato (benpensanti e moralisti perditempo leggano sempre politici) che, alla bisogna, lo tirano fuori e lo usano quando sentono odore (anzi, tanfo) di campagna elettorale e, in realtà, non ne conoscono nulla.
Un fiume che ha bisogno di fatti e di rispetto, di essere trattato e considerato come il protagonista assoluto dei suoi territori, dei piccoli borghi che attraversa cresciuti intorno ai loro campanili. Ha bisogno di essere rivalutato e rivissuto come fonte di vita (tornando all’antico, riscoprendo gli stessi vecchi mestieri che i nostri nonni e i nostri padri praticavamo), come elemento capace di unire e non di dividere, come protagonista di un rinnovato sviluppo delle nostre e sue terre. Testimone e protagonista della storia, del presente e del futuro, dei nostri borghi.
Non si commetta l’errore (gli incravattati dal deretano piatto e pelato lo stanno già facendo e c’era da aspettarselo) di ritenere passato e risolto il problema della siccità. Questa è un evento di carenza prolungata dell’approvvigionamento idrico, sia esso atmosferico oppure di acque superficiali o sotterranee e può durare anche anni. Non la si confonda con la magra che è invece una condizione propria, e temporanea, di un corso d’acqua, piccolo o grande che sia, in ragione di una portata minima. Le due cose sono da tenere ben separate e distinte ed una magra può essere una delle conseguenze della siccità, ma non sono la stessa cosa e non è detto che siano per forza correlate.
Per due anni si sono sprecati servizi televisivi e giornalistici legati alla carenza idrica, si sono pensate e proposte iniziative per trattenere e risparmiare l’acqua (gran parte delle quali rimaste belle speranze, come generalmente accade nell’italietta del terzo millennio); si sono portate le cisterne laddove l’acqua non c’era più e si sono studiate le soluzioni tampone più disparate per cercare di salvare il salvabile. Non è tutto risolto, non è acqua passata, non è qualcosa da rimandare alla prossima volta.
L’ambiente e le nostre terre, dell’una e dell’altra riva hanno bisogno di maggior attenzione, di fatti, e anche di ogni iniziativa possibile per le tutela delle biodiversità, come patrimonio da proteggere e da incrementare. Guarda caso questa "pienetta" di maggio è arrivata proprio in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, come fosse un segno del destino. Il fiume, maestro e fonte di vita, secondo il suo stile silenzioso ed imprevedibile, ce lo ha ricordato, nel suo scorrere, a volte lento ed altre volte impetuoso, in quella laboriosa campagna in cui il grano inizia a prendere il colore dell’oro e le fertili terre di pianura continuano a trovare, in lui, il custode e la linfa vitale.
Bisogna sempre ricordare che, nel bene e nel male, tutto è nelle nostre mani e la consapevolezza, nella testa e nel cuore, deve essere quella del rispetto assoluto di ciò che è naturale. Alterarlo, ritenendoci più furbi e più intelligenti, significa creare le condizioni per catastrofi che abbiamo già visto e di cui non abbiamo bisogno.
Paolo Panni
Grazie a Paolo, sempre più bravo a coinvolgere e a dipingere con le parole la vita del Grande Fiume.
RispondiEliminaIl grande errore del nostro presente è quello di ritenere di essere padroni di ciò che ci circonda come se tutto fosse nato con noi. Non ci preoccupiamo di conoscere il passato che ci insegnerebbe come affrontare questo presente tanto tormentato.
RispondiEliminaIl Po è sempre stato “a tavola” con gli abitanti a lui vicini, che sapevano interpretare i suoi avvertimenti dal livello dell’acqua nel pozzo, da quella che correva nei numerosi fossi delle campagne, dal fumo che usciva dai camini delle idrovore delle bonifiche. Essi si adeguavano, perché lo conoscevano.
Anche le donne sapevano riconoscere il momento opportuno per sciacquare il bucato stagionale nelle acque del Po, come gli uomini capivano il momento per credere in una buona frittura di pesce…
Solo la conoscenza e l’amore consentono una vita in comune e questo traspare dalla “poesia” di Paolo Panni ogni volta che ci parla del Grande Fiume.
Grazie, leggerla mi riporta sempre a casa.
Bravo Paolo, capace di dare voce al nostro grande Fiume PO, mettendo in evidenza le sue esigenze, inascoltate dagli uomini che gestiscono il "potere", da Te così bene decritti,; la Natura urla e chiede rispetto, grazie a Te Paolo, cantore del nostro PO, e della sua terra.
RispondiEliminaL'Anonimo di Borgo