La chiesa di San Donnino: consacrazione e consacrazioni.
Secondo una tradizione locale non suffragata da documenti, il monumentale edificio, di cui oggi rimangono solo alcune tracce architettoniche inglobate nella cattedrale antelamica, sarebbe stato consacrato il 1 ottobre 1106 da papa Pasquale II, analogamente alle cattedrali di Modena e di Parma, mentre l’iscrizione che ricordava l’antico evento sarà rimossa a metà Ottocento dalla facciata del Duomo perché ritenuta apocrifa .2
E’ in questo contesto di dubbi e
d’ incertezze, presenti anche negli scritti di Vittorio Pincolini e Pietro Zani, che si colloca la
decisione del vescovo Vincenzo Manicardi (1879-1886) di procedere alla
riconsacrazione dell’antico edificio, oggetto in quegli anni di radicali
restauri. Una lapide marmorea collocata nella seconda cappella della navata di
destra attesta che il rito
liturgico fu celebrato il 1 ottobre 1882
(kalendis octobris MDCCCLXXXII) con la massima solennità e secondo gli antichi canoni. Ma la
testimonianza forse più significativa dell’avvenuta consacrazione è data
certamente dalle dodici piccole croci, tuttora ben visibili lungo il perimetro
della chiesa, con la loro evidente simbologia che ricorda la natura spirituale
della chiesa apostolica. Alle dodici croci ottocentesche si aggiungono le due
piccole croci esauguranti incise,
secondo quanto prescrive il rituale, sugli stipiti del portale maggiore.
A questo punto non resta che chiedersi se all’interno della Cattedrale non vi siano altre tracce riconducibili a precedenti dedicazioni. Se osserviamo attentamente i semi-pilastri addossati alla controfacciata è possibile individuare, all’altezza di circa cm 150, due croci incise nella pietra, caratterizzate da un solco a V probabilmente realizzato con uno scalpello a lama piatta; esse, sconosciute agli studiosi, ripropongono in modo inconfondibile lo schema tradizionale di una croce greca potenziata con i bracci terminanti a coda di rondine: una tipologia segnica ampiamente diffusa nell’occidente medioevale che di certo non smentisce l’ origine antica dei reperti.
A destare considerevole interesse è soprattutto la collocazione
perfettamente simmetrica ai lati del portale, per cui si può legittimamente
pensare ad antiche croci consacratorie; una terza croce molto
simile, incisa alla stessa altezza, emersa nel corso di recenti
restauri su un semipilastro della navata di destra, a fianco della cappella di
San Francesco, sembra una conferma a questa suggestiva ipotesi.
Ma l’eventuale percorso iconografico non può limitarsi al
solo interno della chiesa. Se allarghiamo lo sguardo alle pietre della facciata, sullo stipite destro del portale
centrale vediamo incisa nell’arenaria gialla un’altra croce
con le stesse caratteristiche, dovuta
anch’essa alla mano esperta del lapicida
medioevale, probabilmente lo stesso che ha
operato all’interno; da una prima ricognizione emerge abbastanza
chiaramente che l’incisione, alla stessa altezza di 120-150 cm delle due
piccole croci del 1882, risulta di poco posteriore, quasi coeva, alle arenarie
del portale, realizzato come noto
entro l’ultimo quarto del XII
secolo.
E’ abbastanza evidente che queste croci, vicinissime come
fattura e stile, hanno origine comune, non dovuta a casualità o a motivi genericamente
devozionali bensì ad un’ azione
coordinata ed intenzionale.
Miracolosamente sopravvissute a
otto secoli di restauri e manomissioni,
esse vanno considerate come frammenti superstiti, tracce che ci portano a riflettere sull’eventualità di un
rito consacratorio celebrato anticamente in cattedrale, un evento di
cui non è rimasta memoria scritta ma che
potrebbe ragionevolmente collocarsi
agli inizi del Duecento: forse nel 1207,
anno ricordato per un avvenimento di grande significato simbolico
liturgico: Corpus enim S. Domnini in
oppidum Burgi solemni pompa transtuli .4
Uno squarcio di luce sul lontano episodio, riportato da tutte le fonti locali ma in modo piuttosto contraddittorio, ci viene offerto da Yoshe Kojima nel suo importante lavoro dedicato al Duomo di Fidenza5.
La studiosa ricostruisce il percorso della processione delle reliquie, indicando come punto di partenza la chiesa delle monache benedettine di San Giovanni Battista il cui monastero viene citato in un documento del 23 luglio 1179 come mon. S. Iohannis de Burgo ubi corpus S. Donnini humatum quiescit6.
L’antico complesso conventuale di fondazione pallavicinana, scomparso nell’Ottocento, era situato fuori dalle mura orientali del castrum vetus; si ritiene che il corpo del santo vi fosse stato trasferito già prima del 1179 all’inizio dei lavori di rifacimento del Duomo: il rientro delle sacre reliquie coinciderebbe, dunque, con la fine della lunga fase costruttiva avviata dalle maestranze antelamiche. L’ipotesi alquanto suggestiva, è stata recentemente ripresa da Carlotta Taddei: «Nel 1207, dopo un lungo periodo di permanenza in un’altra chiesa, il corpo di san Donnino viene riportato nella sua sede originaria : la chiesa al centro del borgo, entrambi a lui dedicati. La data indica il momento in cui l’edificio torna a essere liturgicamente attivo dopo una sospensione dovuta al cantiere antelamico e quello in cui possiamo considerarlo dotato delle sculture antelamiche»7.
Eppure, a ben vedere, c’è più di un dettaglio che non convince: innanzitutto la depositio del corpo di san Donnino presso la chiesa delle monache di San Giovanni per oltre un quarto di secolo, un’assenza oltremodo lunga e, a mio avviso, insufficientemente documentata; la processione per riportare il “corpo dissepolto” (!?) del santo anziché, com’è più probabile, le reliquie, pure esse corpus, già esposte alla venerazione dei fedeli; e infine l’accenno ad una generica cerimonia inaugurale per il nuovo altare e l’ ampliamento della cripta, mentre l’intervento del vescovo di Parma Obizzo Fieschi autorizza a pensare ad una solenne celebrazione liturgica, secondo le norme canoniche che prescrivono la consacrazione non solo per gli edifici sacri di nuova costruzione ma anche, come in questo caso, per quelli sottoposti ad una radicale ristrutturazione dell’esistente. Una questione complessa che merita di essere ulteriormente approfondita.
Un concreto aiuto viene offerto da una testimonianza archeologica assai significativa e cronologicamente associabile alle ritrovate croci consacratorie. Si tratta della lastra marmorea (38x73x5 cm) con l’iscrizione MCCVII REPOSITUM proveniente dal vecchio altare della cripta e attualmente esposta nel museo del Duomo. Secondo i rilievi del Ronchini, confermati dagli studi più recenti, il prezioso reperto costituiva in origine il coperchio di una cassa-reliquiario, incastonata sotto la mensa del primitivo altare della cripta; nel febbraio del 1488, l’urna viene rimossa e smembrata, i suoi frammenti rinchiusi all’interno della nuova arca quattrocentesca ove saranno poi ritrovati nel 1837, insieme ad alcune reliquie da contatto come vestiti e terriccio.
Una cronaca del Quattrocento ricorda
l’avvenimento :«[…]e fu ritrovato socto a
l’altare di sancto donino in confessione, zoe sotto a quell’arca una caseta
de marmoro, in la quale ge lo corpo sanctissimo de sancto donnino e in su
questa caseta se trova scripto suso che fu reposta li in l’archa socto a
l’altare nel millesimo 1207»9. E’ a queste reliquie di contatto,
recepite come corpus del santo , che
occorre far riferimento per gli
avvenimenti del 1207: la solenne processione dalla chiesa di San Giovanni al Duomo e la
depositio nel nuovo altare della cripta8.
A distanza di otto secoli possiamo, dunque, guardare al frammento dell’urna marmorea datata 1207 e alle ritrovate croci consacratorie, come a preziosi sigilli che racchiudono la memoria di un evento fondamentale per la storia della chiesa fidentina.
L’ipotesi potrebbe trovare
conferma anche dall’analisi di altri elementi poiché la solenne celebrazione
del 1207 non può essere letta come semplice episodio isolato. Essa infatti non è separabile dal
ritrovamento delle reliquie del santo patrono, la cosiddetta seconda invenzione,
che, come asseriscono alcuni storici locali, sarebbe avvenuta lo
stesso anno, e quindi sei mesi prima della consacrazione dell’edificio antelamico, se si considera che
il calendario liturgico indica come
date anniversarie il 4 aprile per l’inventio
e il primo ottobre per la dedicazione .
Alla inventio del 4 aprile si
può far risalire una singolare testimonianza, già oggetto di grande venerazione, il cosiddetto mattone
di san Donnino; l’iscrizione laterizia, oggi conservata nel museo del duomo, è
ritenuta copia duecentesca di quella autentica che accompagnava la primitiva
sepoltura del martire romano.
E’ sempre in questo clima di grande intensità religiosa che viene prelevato dal corpus il dente del santo, ancora oggi incastonato nel piede del calice detto di San Donnino: di fattura renana del sec. XII, forse prezioso dono di un imperatore germanico, la coppa in argento dorato, passa, in questo momento, da calice eucaristico a principale strumento della medicina antirabbica del santo, suo attributo costante nell’iconografia extra moenia; tale riferimento antirabbico è, invece, completamente assente nelle immagini antelamiche.
Solamente una stampa devozionale del XVII sec. e due piccoli rilievi di fine Ottocento, in cripta, sono le testimonianze fidentine riferibili a Donnino come “Taumaturgo di Lombardia e Toscana”.11
Ma il quadro degli avvenimenti che caratterizzano il 1207, anno eccezionale anche per la
l’insolita nevicata di Sant’ Agata
ricordata nella Cronaca di Salimbene, è
destinato ad arricchirsi ulteriormente con l’inatteso ritrovamento accanto alla
tomba di San Donnino di un altro corpo.
Si tratta dei resti di San Gislamerio, che verrà riconosciuto come martire della mitica legione tebea, eletto compatrono di Borgo e addirittura additato come valoroso compagno d'armi di San Donnino.
Di questo personaggio, oggi quasi del tutto dimenticato, si conosce ben poco: nemmeno il luogo della sua sepoltura; la chiesa fidentina tuttavia celebra ogni anno il 16 settembre l'anniversario della traslazione. L’unica testimonianza rimasta, se si esclude l’immagine idealizzata dipinta nel 1925 c. dal pittore parmense Umberto Concerti (1891-1979, è l’iscrizione laterizia analoga al cosiddetto mattone di san Donnino, recante le impronte di sangue del martire: Hic requiescit Sanctus/Gislemerius/Thebeus Martyr.
Alle soglie
del XIII secolo, la riscoperta apparentemente casuale dei resti attribuiti
al martire tebano accresce il prestigio
della chiesa di Borgo ed esalta, sia pur indirettamente,
il culto tributato anche al santo
patrono; la vita di Gislamerio, ispirata ai favolosi racconti dei martiri
tebei, va ad aggiungersi alle antiche passio di san Donnino e alle sculture del protiro, dove la
gloriosa vicenda del martire cefaloforo si intreccia con quelle della chiesa e
del borgo a lui dedicato.
In questo tempo di grande fermento religioso rientra anche la straordinaria figura di
Raimondo Zanfogni detto Palmerio: Raimundinus
vilis la cui immagine venne scolpita
sul timpano del portale di destra solo pochi anni dopo la morte, avvenuta
nel 1200; il suo carisma di “sancto
laico de populo”13, i miracoli e la imponente partecipazione alle
esequie celebrate dal vescovo piacentino
Grimerio da Porta sono quasi una beatificazione de facto che viene prontamente recepita dai borghigiani; ciò
sembra riaffermare il tradizionale
legame tra Borgo San Donnino e Piacenza.
E' evidente che la consacrazione
del primo ottobre 1207 fu celebrata a cantiere non ancora ultimato, come
dimostra il parziale rivestimento in arenaria della
incompiuta facciata.
Si può, dunque, concludere con
sufficiente fondamento che la consacrazione originaria della chiesa antelamica
di Borgo San Donnino risale all’anno
1207, mentre quella di fine Ottocento risponde al clima d’ incertezza e
di confusione documentale che ancora circondava la consacrazione dell’ ecclesia maior del nostro territorio.
11 - Fidenza – Museo del Duomo, Mattone-reliquiario di san Gislemerio.
Abito lontano dal Borgo da parecchi anni, torno sempre meno frequentemente ma ad ogni visita non mi faccio mancare la vista, dall'incrocio di S.Maria la Via Berenini, dove sono nato, ad oriente giù verso s.MIchele: la gioventù, i tanti ricordi, gli amici il tempo che fu.
RispondiEliminaDue passi in piazza, dove vidi cadere le bombe americane ed un "salto" in Duomo, dove passando la mano attorno al levigato bordo dell' antichissima acquasantiera posta all'entrata laterale, a me pare di "toccare" il ricordo degli avi.
Che piacere leggere, finalmente, queste righe!
RispondiEliminaGrazie alla disposizione d'animo di Mino a ricercare e segni, e croci, e studi, di consacrazione della nostra Cattedrale.
Grazie alla pazienza di Ambrogio a pubblicare il tutto sul Blog.
Ps. Come sono fatte le croci esauguranti?