Nell'era del cibo, nella sua patria di elezione, "si fa presto a dire fame"e così in tanti altri luoghi, ma non in tutti. Lo si dice senza conoscere la fame.
Questo saggio di Franco Bifani deve farci riflettere, ogni volta che diciamo "ho fame".
Questione di paralleli e meridiani.
La lettura di una lettera, su di un
blog, circa il valore della vita, mi ha portato a ripensare alla
fortuna che ho avuto, come centinaia di milioni di altri, di essere
nato e cresciuto a certe latitudini e longitudini.
Mi ricordo di un
motto: Vivre est encore le meilleur parti ici-bas; nonostante tutto,
sono d'accordo, anche se l'arte del vivere, per tanta gente, somiglia
più ad una continua, strenua, inutile e frustrante lotta contro la
Morte, che non ad una lieve danza; e la conclusione finale consiste
sempre nel soccombere ad un destino infame.
Sembra quasi che metà
dell'umanità esista per vivere, l'altra, invece, per essere vissuta
ed abusata.
Per miliardi di individui, purtroppo, nascere è umano,
continuare a vivere è diabolico. “Poscia, più che il dolor, potè
la fame”.
Ma i veri poveri, non fanno rumore. Beati i poveri,
perché vostro è il regno dei cieli, aveva predicato Qualcuno, 2mila
anni orsono. Ma, su questa terra, i poveri restano pur sempre solo
dei miserabili paria, nell'attesa di assidersi alla destra di Dio, ma
a pancia vuota. Ci saranno sempre dei poveri, perché ci saranno
sempre dei ricchi e potenti e, soprattutto, degli indifferenti.
Chi è
sazio, non capirà mai chi è affamato.
Ricorderò sempre un docu-film, sui
poveri, affamati, assetati, senza tetto, vestiti di stracci,
nell'Africa Nera, che seguii, una sera di tanti anni fa, all'ora di
cena. Mi si ghiacciò il cibo nello stomaco.
Non dimenticherò mai un
bimbo, che avrà avuto un anno, stremato dalla fame, con la bocca ed
il magro sederino ricoperti, letteralmente, da nugoli di mosche,
enormi e fameliche, che gli suggevano e sottraevano i miseri
escrementi ed una pappetta, che lui non riusciva più nemmeno a
deglutire, e che gli sbavava fuori. Aveva gli occhi vitrei,
impietriti in una fissità vacua, agghiacciante, animalesca.
Il
missionario, che cercava di imboccarlo, ad un certo momento,
desistette: “Sta morendo...”, sentenziò, e lo depose tra le
braccia della madre, che se lo attaccò ad un seno, vizzo e secco,
che secerneva qualche gocciola sanguinolenta. Un'altra madre,
disperata, che altre donne cercavano, inutilmente, di consolare e di
fermare, voleva tornare nella foresta, all'albero sotto cui aveva
depositato un suo piccino di due anni, perché, carica di altri tre,
non riusciva più a trasportarlo fino all'infermeria della missione.
Lanciava dei richiami queruli, sommessi, sconsolati; ma le altre
donne la trascinavano via, e le ripetevano: “Smettila, non lo
troverai mai più, lo sai anche tu che se lo sono mangiato i leoni!”.
Terribile, disumano!
Io sono tra quei miliardi di fortunati sul
globo, ad esser nato nel Nord ricco del pianeta, in Europa, dalla
nascita nutrito, dissetato, abbigliato, riparato da un tetto. Dovrei
pensarci più spesso, insieme al resto dell'umanità satolla, persino
del superfluo, a discapito di miliardi di altri esseri umani, che, ad
ogni minuto secondo, muoiono, senza aver mai assaporato la vita,
trascinandosi dietro un povero mucchietto di ossa, un corpo
rinsecchito, di poche decine di kg.
Eppure, tanti di quei bimbi
riescono a ridere alle telecamere, con quegli occhi grandi,
terribili, assetati di vita, che accusano, in silenzio, il resto del
mondo; riescono persino a giocare tra di loro. Le donne camminano tra
l'immondizia, con incedere regale, dignitose, come principesse; e gli
uomini non lasciano scivolare una sola lagrima dagli occhi spenti.
Ma
poi, anch'io, finisco per dimenticare, mangio, bevo, vado a comprarmi
qualche capo d'abbigliamento, un oggetto superfluo, e continuo a
vivere da fortunato che si è ritrovato nella parte ricca del mondo.
Franco Bifani
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