Percorrevo un giorno via Benedetto Bacchini e alzando gli occhi fui colpita da finestre che mi suggerivano una chiesa, di cui non conoscevo l'esistenza. L'amica che mi accompagnava, dopo un attimo di riflessione, mi disse che poteva trattarsi della chiesa del vecchio “Oratorio Don Bosco”...
Mi si aprì una “porta” nei ricordi legati al Santo che fin da bambina avevo imparato a conoscere attraverso pubblicazioni a fumetti sfogliate più volte e conservate gelosamente nel mio piccolo patrimonio di carta stampata.
Ripescai tra i miei libri “Salesiani a Fidenza”di don Rino Germani, salesiano, per conoscere più da vicino una realtà che ormai è in una condizione di abbandono, dopo momenti di fervore, di attività e di alterne vicende.
Se già a Parma i Salesiani si erano stabiliti nel Collegio San Benedetto per volontà dello stesso Don Bosco, nel 1889, un anno dopo la sua morte, l'Oratorio fidentino, pur godendo dei favorevoli auspici della Chiesa locale e del Vescovo Mons. G.B. Tescari eletto lo stesso anno e proveniente da Parma, cominciò molto lentamente ad opera di don Carlo Maria Baratta che, presente a Borgo per le feste centenarie di San Donnino nel 1893, decise l'invio da Parma ogni settimana di un chierico salesiano.
In tale circostanza egli, intervenuto su invito del Comitato organizzatore del XVI centenario, diresse il programma musicale della manifestazione, di cui la stampa locale elogiò le splendide esecuzioni corali degli alunni dei Salesiani di Parma.
Sempre Don Baratta organizzò la successiva apertura dell'Oratorio borghigiano con il riadattamento di alcuni locali non in buone condizioni , messi a disposizione dallo stesso Mons. G.B. Tescari.
Seguendo l'esposizione di Don Germani si legge: “In quei locali, ora in via Bacchini ( già Contrada del Teatro), aveva cessate le sue attività un'osteria, con alloggio e stallatico, dove peraltro si mangiava molto bene, tanto da passare alla tradizione col nome delle Tre Ganasce: espressione che in buon dialetto borghigiano significa appunto mangiare di gusto, a tre palmenti!” I locali erano pervenuti in proprietà al Collegio dei Parroci Urbani , proprio al fine di fondarvi un Oratorio.
Con legato di Mons. Pier Crisologo Micheli, Canonico della Cattedrale, dopo vari tentativi e lo zelo di molti, ebbe inizio l'1 novembre 1904 l'Oratorio Maschile di Borgo San Donnino , dedicato a San Giuseppe. La cappella , ricavata dalla sala più ampia al primo piano, a due rampe di scale dal cortile, fu inaugurata il 13 dicembre dello stesso anno con la benedizione del Vescovo Mons. Pietro Terroni (1903-1907) che, nonostante fosse malato, seguì con paterna ed affettuosa attenzione l'Oratorio.
La cosa più importante, di cui questo godesse, era il cortile dove da muro a muro era possibile giocare con un pallone. Le attrezzature erano scarse ed il locale mostrava le caratteristiche della più bella povertà...del resto così aveva iniziato anche Giovannino Bosco per intrattenere con il gioco e buone parole i suoi compagni.
“Il Risveglio”,il 12 novembre 1904 attraverso il suo Direttore don Sincero Badini, presentava il programma della nuova istituzione che con altre intendeva sostenere l'opera educativa verso i giovani.
“L'Oratorio festivo San Giuseppe accoglie i giovanetti nei giorni di festa per istruirli nel catechismo, farli adempiere i doveri del buon cristiano e ricrearli con onesti divertimenti. Ciò potrà meglio riuscire se i figli saranno in questo giovati dall'opera doverosa dei genitori...., l'oratorio non deve essere riguardato come un motivo per non curarsi più dei figlioli!
Per ora i ragazzetti sono 50, ma sempre in aumento..... ”( don R. Germani - pag. 8)
Ragione evidente di tanta attenzione e premura era quella di rendere l'Oratorio un luogo di sereni rapporti, di collaborazione, ma soprattutto di cura di tutta la persona in una formazione integrale in cui entrassero l'impegno, la socialità, il gioco, la preghiera e la formazione cristiana racchiusa in una parola: dottrina, che per decenni rimase ad indicarne la preparazione secondo i Canoni del Concilio Vaticano I (Papa Pio IX - 1869/1870).
Dalle testimonianze riportate nel libro citato i “semi”di una solida formazione cattolica operarono fruttuosi permeando la vita di molti tra coloro che frequentarono l'Oratorio, i quali riversarono il loro impegno nella creazione e nel sostegno di varie iniziative tra cui “Il circolo giovanile” dell'Oratorio San Giuseppe, il giornaletto “Voce d'Amico” uscito con fitte pagine in 228 numeri settimanali, la musica, il teatro, grande passione trasmessa da don Bosco...
Con evidenza appare la stretta concordanza di attività tra i vescovi che si sono succeduti, i sacerdoti e i Salesiani che si sono alternati.
Figure significative come quella di don Luigi Pedussia (904-1914) diressero l'Oratorio e la cronaca ricorda con quale devozione ogni anno si preparasse la festa dell'Immacolata Concezione che Don Bosco dall' 8 dicembre 1841 aveva assunto come inizio ufficiale della sua opera con i fanciulli.
Per tutti i Salesiani essa rimase una festa straordinaria, “il compleanno di famiglia”.
Si vivevano momenti difficili, i rapporti tra Stato e Chiesa erano tesi dal 1870, Roma era la Capitale e il Concordato dell'11febbraio 1929 era ancora molto lontano, ma l'Oratorio continuava la sua opera di accoglienza e formazione dei giovani, molti dei quali, futuri protagonisti nella comunità cittadina, si trovarono a dover partire per il fronte di guerra...anzi, esso costituì un rassicurante legame durante la lontananza.
“Talvolta si tratta solo di un saluto; ma, spesso, si accenna a motivi di fede vissuta e di amicizie che continuano e si rinnovano; frequenti sono gli accenni alla preghiera, fatta o richiesta, per tutti. Molti raccontano, con la massima naturalezza, le loro enormi fatiche sostenute, gli atti di eroismo compiuti, le difficoltà superate ed i pericoli scampati, gli elogi ricevuti, gli sforzi per compiere e fare compiere il bene nonostante le circostanze spesso sfavorevoli, le gioie - poche ma intensissime - di una breve licenza che ha permesso di rivedere, oltre all'amata famiglia, anche gli amici all' Oratorio!..” (don R. Germani- pag.55).
“Nell'ottobre 1915 era arrivato il nuovo Direttore, don Livio Farina, che in breve tempo, lo aveva reso un punto di riferimento per le truppe in fase di istruzione, accasermate a Borgo. I locali venivano usufruiti soprattutto come sala di scrittura e di lettura. Molti erano gli analfabeti e si rendeva necessaria, fra l'altro, una segreteria per le comunicazioni con la famiglia, fornire penna, carta ed inchiostro...e francobolli.”(don R. Germani - pag. 90)
I Salesiani, finita la guerra, fecero ritorno a Fidenza il 15 febbraio 1920 nella persona del sacerdote don Firenze Battelli. Occorreva ricostruire ciò che gli anni di guerra avevano in parte interrotto verso i più piccoli che erano rimasti assenti dall'Oratorio. Ogni domenica egli veniva da Parma e si impegnò soprattutto per la Scuola di Religione e delle funzioni religiose, ma realizzò il sogno dei giovani ex militari: il pellegrinaggio alla Madonna della Guardia sul monte Barigazzo. Quella dei viaggi di devozione verso santuari in particolari circostanze della vita dell'Oratorio era una prerogativa propria dei Salesiani che vi vedevano occasione di esperienza comunitaria fra i giovani.
La sede era stata da poco tempo sgomberata dalle Autorità militari che l'avevano requisita e si trovava in una squallida povertà allorché l'8 novembre 1920 arrivò a Fidenza colui che avrebbe diretto l'Oratorio per 17 anni: don Attilio Garlaschi .
Egli giungeva in una nebbiosa ed uggiosa giornata, verso sera, con una valigetta in mano e si presentava tutto solo sulla porta d'accesso...un disguido aveva impedito l'accoglienza preparata da alcune pie signore.
Ricorderà spesso che mentre lui entrava dalla stessa porta stava uscendo il feretro di colui che era stato addetto alla portineria...(don R. Germani- pag. 125). In un angolo del piano superiore, nell'unica stanza provvista dell'intero pavimento, di una finestra, un letto, una stufa, egli passò i primi suoi giorni ammalato con febbre altissima.
Arrivava carico di esperienze importanti in cui aveva esercitato il suo prezioso apostolato dedicandosi all'opera più schiettamente salesiana: l'Oratorio. Fidenza fu per lui, dopo Torino, Palermo e Pisa, l'ultimo campo di lavoro e forse quello più povero.
Originario di Genova dove era nato il 23 gennaio 1866, aveva frequentato scuola media e ginnasio presso l'Istituto salesiano di Varazze, dove aveva incontrato don Bosco, dalla cui parola fu attratto e condotto a farsi Salesiano. Fu rivestito dell'abito clericale dallo stesso Santo dal quale assunse quell'ardore di opere, la franchezza e la serenità che caratterizzarono tutta la sua vita. Quando nel 1888 fu raggiunto dalla notizia della morte della sua guida, egli si trovava a Lucca per il servizio militare. Chiese ed ottenne dal Direttore della locale Casa Salesiana il telegramma dell'annuncio: lo conservò fino alla fine dei suoi giorni quale simbolo dell'ideale a cui aveva conformato la sua vita.
A Fidenza, più che dalla povertà e dalla desolazione della casa, fu impressionato dal contegno dei ragazzi di allora di cui l'occupazione militare aveva disorientato la vita.
Così egli scriveva il 20 febbraio 1921 nelle sue note personali poco dopo il suo arrivo: “Vivissimo è in me il desiderio di impiegare tutte le mie forze per dare nuovo impulso all'Oratorio festivo, ai vari Circoli, alle sezioni Filodrammatiche, sportive, musicali di canto e di suono ...L'Oratorio di San Giuseppe è di Borgo San Donnino: è per la gioventù di questa nobile e cara Città, deve stare a cuore di tutti i veri cittadini e di tutti i buoni cristiani..”( don R. Germani- pag.128)
Dotato di pronta ed avveduta capacità organizzativa seppe fin da subito creare una efficiente rete di collaborazione ed unione di forze. Chiamò a raccolta gli ex allievi che aderirono all'Unione con Statuto e Bandiera; come don Bosco ricorreva all'aiuto ed al sostegno di Mamma Margherita, così don Attilio valorizzò il gruppo delle signore cooperatrici di fede religiosa, di virtù civili e con qualche disponibilità finanziaria che si chiamarono “Dame Patronesse”.
I giovani amarono don Garlaschi; crebbero intorno a lui, vivaci, rumorosi...,ma, capiti e sopportati prima, perdonati e convogliati poi a quella disciplina, soprattutto religiosa, saprà fare di questi giovani perfino dei maestri per i loro compagni più piccoli, dei collaboratori per sé, degli attori, dei musicanti, degli amici devoti e dei cattolici praticanti.
Dotato di una particolare attitudine alla musica egli se ne fece maestro e con il suo spirito di iniziativa particolarmente industrioso seppe servirsene come mezzo efficacissimo di educazione. Ne sono prova varie sue composizioni, lodate ed ammirate da musici esperti e di professione.
Ancora dopo anni chi lo aveva conosciuto così si esprimeva: “Esempio fulgido di un voto di povertà professato per tutta la vita..”, “Il venerando sacerdote ebbe contatti personali con gli abitanti dei borghi adiacenti l'Oratorio, con i poveri in canna che dormivano nelle soffitte, ai quali portava alimenti e medicine ( uno di questi, divenuto Assessore comunale di parte avversa...fu promotore della dedicazione di una via al Sacerdote )”. ( don R. Germani – pag. 133)
Il 21 ottobre 1937 don Garlaschi lasciò l'Oratorio di Fidenza ; trascorse gli ultimi anni a Parma, nella Casa dei Salesiani, dove morì il 30 ottobre 1942.
Dopo la sua partenza, per interessamento del Vescovo Mons. Mario Vianello ( 1931-1943) arrivarono due sacerdoti salesiani, don Cesare Savazzi e don Bruno Baccolo, accompagnati dal coadiutore laico Guido Setti (1937-1945), che molto operò per l'Oratorio. Ufficialmente era il “cuoco”della piccola comunità, “con animo limpido e quanto mai gioviale sarà la gioia dei ragazzi, che gli correvano dietro come le api al fiore! Raccontava storie che non finivano mai...animava ogni sorta di ricreazione, faceva catechismo”(don R. Germani-pag. 202)
Per volere del Vescovo, dopo la demolizione della vecchia Cappella insufficiente ad accogliere tutti i ragazzi, era stata costruita quella nuova inaugurata con la benedizione dell'altare e la prima funzione il 17 dicembre 1939.
L'Oratorio continuava nella sua povertà, i mezzi erano scarsi, gli ambienti molto modesti, ma il salesiano don Francesco Mondini, arrivato nel 1941, pur prendendo atto della generosità dei benefattori e dell'amicizia del Vescovo, metteva in rilievo, soprattutto, la scarsa frequenza dei ragazzi all'Oratorio.
La guerra e i bombardamenti con la lacerazione di parte dell'edificio, ma soprattutto della cappella da poco costruita, posero in discussione la permanenza salesiana a Fidenza.
Lo scambio di missive tra il Vescovo Mons. Francesco Giberti (1943-1952) e l'Ispettore dei salesiani don Francesco Rastello mostrano il desiderio del presule alla loro permanenza trai giovani della Città, ma d'altra parte erano evidenti le inadeguatezze logistiche della sede a cui faceva riscontro la mancanza di fondi per una adeguata ristrutturazione.
Il Direttore don Mondini (1941-1946), nella sua “Cronaca”, così scriveva il 12 settembre 1946 “Festa del Nome di Maria”: "I Salesiani, dopo 42 anni di lavoro svolto nella Città di Fidenza, in mezzo a tanti sacrifici e dopo aver fatto tanto bene, lasciano il campo della loro attività.”
Don Germani coglie una conclusione laconica, per la storia, ma sufficiente a comprendere... “Nella brevità nervosa e secca...si scorge tutta un'ansia, una preoccupazione sacerdotale vivissima, il senso paterno del Sacerdote, buon seminatore, dopo la tempesta...” (don R. Germani -pag.295).
I Salesiani, nonostante la loro rinuncia, avevano lasciato una formazione che non andò dispersa, ne sono testimonianza i gruppi di ispirazione cattolica che ebbero vita feconda nella diocesi nella seconda metà del secolo. Il gruppo Exallievi Don Bosco tenne viva la speranza di poter avere nuovamente i Salesiani a Fidenza e molto operò in tal senso il Presidente Cav. Luigi Tamoglia.
L'Oratorio continuò con l'opera di due sacerdoti diocesani: don Alfonso Tata e don Ottorino Davighi e con Parma furono mantenuti saldi rapporti come dimostra la loro presenza a Fidenza in particolari occasioni della comunità e all'interno del gruppo Exallievi nei raduni annuali.
Nel 1946 si era chiusa un'esperienza e, nonostante la ricostruzione della Cappella, rimanevano irrisolti i precedenti problemi. Sarà il Vescovo Mons. Mario Zanchin (1962-1989) ad aprire una nuova prospettiva con la creazione del Centro Giovanile Don Bosco in via Berzieri.
La presenza salesiana nell'Oratorio di via Bacchini era definitivamente chiusa e la Cappella abbandonata, trasformata in magazzino ad uso della Caritas...anche i ricordi che vi sono legati svaniscono con il tempo e su quel cortile domina il silenzio.
Sola, a rendere testimonianza di una presenza, rimane nel cortile la lapide che il 24 maggio 1953 Fidenza “riconoscente all'illustre benefattore della gioventù della Città, il salesiano Cav. Don Attilio Garlaschi”, aveva inaugurato all'Oratorio Don Bosco.
Giovanni Bosco era nato il 16 agosto 1815 ai “Becchi”, frazione di Castelnuovo d'Asti in una famiglia di contadini. Figura fondamentale nella sua crescita, soprattutto dopo la morte prematura del padre, fu senza dubbio la tenera , ma ferma, mamma Margherita che lo istruì nella Fede e ne assecondò le aspirazioni.
Ancora bambino, a nove anni, aveva fatto un sogno in cui una Signora gli aveva indicato il suo compito tra i ragazzi: per quella missione, a cui rimase fedele fino alla morte, egli sarebbe diventato sacerdote, avrebbe stretto intorno a sé la “Famiglia Salesiana" richiamandosi alla figura di San Francesco di Sales.
La devozione alla Madonna è una delle caratteristiche che si respirano negli ambienti educativi diretti dai salesiani. Alla Vergine, definita Auxilium Cristianorum, ogni anno, il 24 maggio è dedicata una giornata particolare di preghiera.
Era stato Papa Pio VII ad istituire la festa il 15 settembre 1815, inizialmente solo per la città di Roma, in omaggio alla Vergine dopo il ritorno il 24 maggio 1814 da Fontainebleau dove era stato trattenuto da Napoleone Bonaparte. Fidenza ne ricorda con una lapide sulla facciata di San Pietro il passaggio da Borgo nel viaggio per raggiungere Roma.
Nel corso della sua vita don Bosco aveva ben dimostrato come rapportarsi con i ragazzi, ne aveva lasciato l'esempio. Non era un teorico di linee educative, ma pedagogicamente sapeva utilizzare quella seduzione propria di ogni insegnamento, senza la quale non si creano fiducia ed empatia. Da vicino conosceva il disagio familiare e giovanile nel momento della industrializzazione piemontese e soprattutto aveva compreso il rischio che miseria ed abbandono portassero i giovani su strade pericolose. Aveva capito quanto fosse importante coinvolgerli in occupazioni costruttive per il loro futuro, in cui fossero sempre presenti la cura spirituale e una sana distrazione nel gioco, nel teatro , nella musica...
Possedeva la forza del dialogo convincente con cui sapeva porsi con amici e nemici, con politici e governanti anche di parti contrastanti: tutto faceva non per sé, ma per i suoi ragazzi. Alla sua morte, avvenuta il 31 gennaio 1888, lasciò ai suoi salesiani la missione che egli si era assunto nella vita.
Il processo di beatificazione iniziò due anni dopo e Papa Pio XI lo proclamò Santo il giorno di Pasqua del 1934; la sua festa comparve nel calendario del 1936, al 31 gennaio, giorno della sua morte.
I suoi missionari salesiani erano già usciti dai confini nazionali, ora sono presenti in tutto il mondo in terre disagiate a dare valore e fiducia soprattutto ai ragazzi mediante scuole per l'alfabetizzazione, la creazione di laboratori per l'apprendimento di un lavoro come il Santo ha loro insegnato con il suo esempio.
Il coadiutore laico Guido Setti, già menzionato, dopo la sua permanenza a Fidenza, in collaborazione con il disegnatore Guido Grilli diede negli anni Cinquanta alle stampe per la Casa Editrice Elle Di Ci una semplice pubblicazione di tre album di fumetti con didascalie che illustravano in modo semplice, ma molto efficace, le vicende di San Giovanni Bosco.Una edizione rinnovata nella veste tipografica, non nel contenuto, fu stampata negli anni Settanta.
Marisa Guidorzi
Bravissima, davvero. Un altro, interessante spaccato di Borgo
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