lunedì 15 agosto 2011

Le responsabilità dei comuni nella cementificazione del territorio in aree agricole

Pubblichiamo una sentenza del Consiglio di Stato che conferma la liceità del comportamento del Comune nel negare richieste di costruzione, non connesse con la coltivazione dei suoli e/o alla vocazione naturalistica degli stessi, in aree classificate come agricole.

E' chiaro che il Comune di cui parliamo non è Fidenza. Nel nostro Comune nessun privato si sognerebbe di avere da sentenza quello che può normalmente ottenere in modo ordinario attraverso un iter burocratico che, qualora necessiti, può contare sulla scontata approvazione, con formale delibera, del Consiglio Comunale.
Ma, tornando alla sentenza, nella stessa si afferma con autorevolezza che tutti gli interventi che incidono sugli assetti territoriali devono rientrare in un disegno generale di pianificazione con attenta valutazione degli impatti ambientali e non certo limitarsi ad un semplice adempimento burocratico.


La sentenza
Consiglio di Stato:
no alla cementificazione del territorio in aree agricole

Il Consiglio di Stato (Quarta sezione, sentenza 27 luglio 2011 n. 4505) si è occupato di un caso nel quale un Comune aveva denegato una concessione in sanatoria avente ad oggetto la richiesta di costruzione – in un'area classificata come agricola - di un impianto di frantumazione di sfridi derivati da lavorazioni edilizia nonché il deposito dei materiali prodotti.
La ragione fondamentale che aveva indotto il Comune a negare la concessione in sanatoria era rappresentata dal fatto che l’impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti inerti risultava posizionato in area classificata in base al vigente Piano Regolatore Generale "all’esercizio dell’agricoltura".
Quindi, la questione centrale dell’intero contenzioso può essere così riassunta: la compatibilità o meno della struttura poco fa descritta con la destinazione agricola impressa urbanisticamente all’area sulla quale il manufatto insiste.
I Giudici di Palazzo Spada, nel dare risposta negativa al quesito (confermando quindi la bontà della scelta del Comune di negare la concessione in sanatoria), ricordano che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (fatte salve alcune eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio.
Di conseguenza, a maggior ragione, non si può consentire la realizzazione di un'opera che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione, introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia, vuoi dell’attività esercitata.
In realtà il manufatto oggetto della invocata sanatoria era da considerarsi un vero e proprio opificio produttivo che, in quanto tale, poteva e doveva essere realizzato in altre aree a ciò dedicate, quelle appunto con destinazione industriale e/o produttive (Zona D) situate in parti del territorio specificatamente vocate ad ospitare tali tipologie di opere.
Sono peraltro al più ammesse in zona agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e con la relativa attività produttiva), ovvero connesse con la vocazione naturalistica di aree agricole. Connotazioni, queste, del tutto assenti nella fattispecie di un impianto di frantumazione e stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura, è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di un’area .

Articolo di Stefano Calvetti Avvocato, Studio Legale Rusconi & Partners

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