Attribuzione invece più certa per questa seconda inedita tela (purtroppo malamente restaurata negli anni '70) esposta nell'abside della chiesa-santuario della Gran Madre di Dio. Si tratta infatti di uno dei pochi dipinti rimasti dopo l'allontanamento dei Padri Gesuiti e la conseguente dispersione degli arredi originari.
Ne è autore frate l Giuseppe Barbieri (1642-1733), il cui stile scorrevole e minuzioso emerge chiaramente dal confronto con le figure da lui affrescate, a partire dal 1704, nelle volte del contiguo palazzo, già sede del prestigioso Collegio di Borgo San Donnino.
La Natività è sviluppata in modo tradizionale, proprio come nella celebre Notte del Correggio, dove l'unica fonte di luce è data dal piccolo bambino deposto nella greppia. Come possiamo vedere, lo splendore irradiante dal suo tenero corpicino illumina prima di tutto i dolci lineamenti della Vergine Madre, che lo contempla con tanto amore. La stessa luce divina si riverbera poi su san Giuseppe, non più pensoso ma estasiato in contemplazione del figlio di Dio. E infine sui pastori ammirati e sugli stessi angeli adoranti.
E' dunque Gesù la vera luce che sola può rischiarare e redimere il mondo: una luce divina, che come sembra suggerirci l'ispirato fratel Giuseppe, sulla scorta delle parole del principe degli apostoli, "risplende in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2 Pt 1,19).
Nel dare forma a questa armoniosa intimità, il pittore-gesuita ha tuttavia inserito uno strano personaggio che, per la fissità dell'atteggiamento, si distingue nettamente dal gruppo dei pastori: ad esso sembra rivolgersi, in particolare, lo sguardo dell'angelo, che al centro della composizione, addita raggiante di gioia il Bambino.
Velata dall'ombra, ma ben caratterizzata dalla lunga barba, dal turbante o copricapo conico e dall'abito orientale, l'austera figura potrebbe evocare l'antico Israele: tipica immagine allegorica collegabile alla simbologia della colonna spezzata, collocata sulla destra, che allude invece alla fine del paganesimo, secondo la leggenda narrata da Jacopo da Varazze.
Da notare poi lo slancio prospettico della scenografica inquadratura della capanna, che attraverso un'ampia breccia aperta sul fondo, lascia intravedere il profilo delle colline, con le alture che si delineano contro il cielo rosato: è il momento dell'aurora, che segna l'avvento della nuova era sulla quale risplenderà il sole di giustizia annunciato dagli oracoli degli antichi profeti.
Il loro messaggio è ripreso dalle gioiose invocazioni e dai cantici di lode dell'Ufficio liturgico che precede la solenne celebrazione della seconda messa di Natale, detta appunto Messa dell'Aurora. "Gloria in excelsis Deo": un solo angioletto all'altezza dell'architrave regge diligentemente il cartiglio con le parole dell'inno angelico. Possiamo così immaginare gli altri suoi compagni ancora impegnati a guidare gli ultimi pastori che stanno per convergere davanti alla capanna, dove li attende il sorriso di Dio.
Il dipinto era originariamente collocato in una cappella laterale dedicata a san Giuseppe, insieme ad altre due piccole tele rappresentanti la Fuga in Egitto e la Sacra Famiglia. Che si tratti di una raffigurazione teologica e non di un presepio domestico, lo prova anche l'eliminazione dalla scena sacra del bue e dell'asinello, e l'ambientazione dell'evento in una grotta-capanna, caratterizzata dall'impianto triangolare del tetto con le capriate che appoggiano direttamente sulle pareti di roccia. In questa ibrida soluzione architettonica sembrano saldarsi le due diverse tradizioni iconografiche derivanti, rispettivamente, dai vangeli sinottici (la capanna o tettoia) o dagli apocrifi (la grotta).
Questo omaggio settecentesco al Natale del Signore è, come abbiamo accennato all'inizio, opera di un artista appartenente alla gloriosa Compagnia di Gesù: Josephus Barberius, Termignonensis, Sabaudus, nato nella Savoia il 5 settembre 1646, come documentano le ricerche archivistiche condotte da don Amos Aimi.
Ammesso all'Ordine dei Gesuiti nel 1671, fratel Giuseppe fu collaboratore del grande pittore prospettico Andrea Pozzo, cui si deve la celeberrima Gloria di Sant'Ignazio dipinta sulla volta dell'omonima chiesa romana.
Tra le opere più importanti realizzate dal Barbieri vanno senz'altro segnalati gli affreschi della chiesa di san Bartolomeo dei Gesuiti di Reggio Emilia, eseguiti tra il 1689-1690, molto probabilmente su disegno dello stesso Andrea Pozzo, come risulta dagli approfonditi studi di Francesco Barocelli.
Quanto alla presenza del Barbieri nella città di San Donnino, ricordiamo in particolare tra le notevoli pitture che adornano le sale dell' ex Collegio di via Berenini, l'Ascensione di Cristo (1705), l'Esaltazione della Croce, l'Assunzione della Vergine e la prospettiva (1715-1716) con la glorificazione dell'emblema dell'Ordine gesuitico dipinta sulla volta dello scalone nobile.
Altre opere riguardano gli episodi della vita di Sant'Ignazio, di San Luigi Gonzaga e San Francesco Saverio.
Altre opere riguardano gli episodi della vita di Sant'Ignazio, di San Luigi Gonzaga e San Francesco Saverio. Si tratta di piccole opere tuttora inedite e custodite presso i locali della parrocchia. Sono invece tradizionalmente ascritte ad Antonio Formaiaroli le bellissime pitture delle cantorie della Gran Madre di Dio che, secondo alcuni studiosi, potrebbero invece appartenere alla mano dello stesso Barbieri.
Guglielmo Ponzi
(Pubblicato dal settimanale diocesano il Risveglio, 18 dicembre 2009)
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