Monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito e cittadino onorario di Fidenza taglia oggi, il traguardo degli 80 anni. Un compleanno significativo e bello, in occasione del quale anche attraverso le colonne della «Gazzetta» tanti fidentini (e non solo) vogliono far giungere al vescovo emerito le loro felicitazioni.
Monsignor Mazza, nato il 7 gennaio 1942, sacerdote dal 1968, ha guidato la diocesi di Fidenza dal 2007 al 2017. In precedenza aveva ricoperto numerosi e importanti incarichi tra cui quello di direttore dell’Ufficio nazionale Pastorale del tempo libero, turismo e sport, segretario del Comitato nazionale per il Giubileo del 2000.
Per cinque volte è stato cappellano degli azzurri alle Olimpiadi e, in occasione del campionato mondiale di calcio del 1990, cappellano della nostra nazionale. In occasione del suo 80º compleanno ha presieduto, nella cattedrale di Bergamo (diocesi nella quale vive e di cui è originario), la solenne concelebrazione dell’Epifania, affiancato dal vescovo della città orobica monsignor Francesco Beschi. E’ così che la Chiesa di Bergamo lo ha voluto omaggiare per il traguardo dei suoi 80 anni.
Paolo Panni
Omelia di Mons. Carlo Vescovo di giovedì 6 gennaio 2022, festa della Epifania, nella cattedrale di Bergamo
Epifania del Signore
(Is 60,1-6; Sal 71; Ef
3,2-3°.5-6; Mt 12,1-12)
Oggi Gesù riceve a Betlemme l’omaggio dei Magi venuti dall’oriente per “adorare il re dei Giudei” (cfr Mt 2,2). Allo sguardo semplicemente umano adorare un Re da parte di altri re sembrerebbe una storia a lieto fine elaborata a partire dalle costruzioni mitologiche mediorientali, come fosse una storia di cortesie scambiate da parte di privati onori.
Invece
la realtà, propiziata dalla fede della Chiesa, l’evento si presenta come il
racconto, magistralmente compaginato dall’evangelista Matteo in stile
catechistico, che illustra ben altro: il cammino
di fede di chi intende mettersi in cammino alla ricerca di un Dio, verità
assoluta, in una prospettiva universalistica.
Il Re bambino riconosciuto Signore
In
realtà, secondo la visione di vita evangelica, i Magi rappresentano, e siamo
noi, i pellegrini incessanti
dell’Assoluto, e la loro vicenda è lo specchio riflesso del percorso di ogni
uomo, in ogni tempo, a qualsiasi popolo appartenga, e dunque ci riguarda da
vicino e ci interroga.
Qui
Gesù è riconosciuto come il Signore,
come il Re bambino, come colui nel quale si è rivelato l’Amore di Dio per
l’intera umanità, secondo la promessa proclamata dagli antichi oracoli
profetici. Diviene colui che interpella e soddisfa la nostra perenne sete di un
Dio che si fa raggiungere come compimento del nostro destino.
In realtà celebrare la Festa memoriale
dell’Epifania significa, per la fede orante della Chiesa, venerare e
contemplare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel suo manifestarsi
non solo ai pastori, considerati i “poveri
di Jahvè”, coloro che sopravvivono ai margini della terra, ma a tutte le
genti del mondo intero.
Ed
è curioso che si manifesti, attraverso il segno di una stella, in tutto lo splendore della sua divinità, conformandosi
all’abisso della piccolezza della condizione umana per una pura
accondiscendenza di amore.
Dunque
accade oggi sotto i nostri occhi stupefatti l’evento di un Dio Amore che si rivela accessibile nella semplicità domestica di
una “casa” (Mt 2,11), nella
quotidianità delle sembianze umane e delle abituali contesti di vita. Così si
adempie la pienezza del Natale nel quale “ogni
uomo vedrà la salvezza di Dio” (cfr Lc 3,6). Mai era accaduto prima: che
l’Amore increato si rendesse visibile alla nostra fragile esperienza di
pellegrini nella storia.
Il turbamento dei potenti prefigurazione
del rifiuto
In
realtà il racconto dell’evangelista Matteo va compreso tendendo sullo sfondo il
contesto storico e geografico che si
palesa subito in uno scenario di ambiguità. Ci informa che agli sguardi
maldestramente incuriositi dei capi della Gerusalemme del potere politico e
religioso, l’apparire improvviso dei Magi causa abbaglio e sconcerto.
E’
come se d’un tratto sia messa alla prova la loro sapienza e sottoposto a
giudizio il loro potere, a tal punto da
essere assaliti da turbamento come
se dovesse accadere qualcosa di ostile che comprometta gli equilibri nelle
sfere del potere.
E
nel turbinio dei loro pensieri e delle memorie di un possibile Messia
antagonista, si scombinano le traiettorie del loro rassicurante assetto
politico e religioso, costringendo l’immaginazione ad interpellare i testi dei
padri e a discettare sulle misure da prendere. Di fronte ad evenienze così dirompenti,
gli uomini del potere si agitano,
sospettano, confabulano, dispongono dissimulazioni.
In
tale prospettiva il sopraggiungere dei Magi si evidenzia come un evento che
potrebbe stravolgere i criteri e i
valori di riferimento rispetto ad una gestione del potere che prevede una
sodale commistione tra sacro e profano in funzione di consolidare tradizioni
sacralizzate e utilizzate in modo strumentale a sostegno di equilibri di
interesse mondano.
In
realtà qui accade qualcosa che annuncia una novità assoluta, indizio certo di un disegno di salvezza. Ci viene
a rivelare l’insegnamento che, per credere in Dio, non è sufficiente sapere i
codici delle Scritture. Di fatto l’arrivo dei Magi a Betlemme chiede ben altro
discernimento e ben altra decisione: e cioè un rovesciamento di visione, un
superamento di logiche autoreferenziali e pregiudizialmente avverse.
In
tal modo ci viene rivelato che Dio è il
Re, il Signore, ma che è un Re
povero, privo di apparati, e lo
trovi se lo cerchi con cuore umile e sincero. Così i Magi, illuminati e
istruiti da una divina rivelazione, da una stella
appunto, diventano modello di una fede che si affida, di una fede pura il cui centro è Dio che si rivela ai viandanti in ricerca del senso ultimo della
vita
Il compimento degli ottant’anni e
l’invito del Vescovo Francesco
In un contesto così sublimante, anche il nostro vescovo Francesco si è lasciato ispirare, per così dire, da una illuminazione interiore, da una stella. Assecondando un’intuizione che viene dall’alto, mi ha cercato e, trovandomi, ha voluto rendere visibile una benevolenza, tipica di un’autentica fraternità, con un gesto inatteso, e perciò ancora più significativo, invitandomi a presiedere in Cattedrale l’Eucaristia nella solennità dell’Epifania del Signore in occasione del compimento del mio 80mo anno di vita.
Questo
gesto del Vescovo Francesco si manifesta come un evento di pura grazia,
generatore di particolare letizia del cuore coinvolgendomi, com’è naturale, in primis e soprattutto, in un inno di
lode e di gratitudine verso l’ineffabile benevolenza di Dio per il dono incommensurabile e misterioso
della vita.
E
qui e ora. il rendimento di grazie per il dono della vita non può prescindere
da ciò che sta all’origine, e cioè l’atto
fecondo di amore dei miei genitori.
Coltivato poi con dignità nella famiglia, vera palestra di fede e di virtù
cristiane, cresciuto nella comunità di Entratico, vera scuola di incontro e di
conoscenza di Cristo, è stato successivamente conformato nel proseguo delle
vicende vocazionali e sacerdotali, fino al compimento nel traguardo dei miei
ottant’anni.
Oltre
ai contesti di vita menzionati, mi preme aggiungere, nel segno di una memoria
affettuosa e riconoscente, le innumerevoli figure di sacerdoti e di molte altre persone
che in ogni modo e nelle diverse situazioni di vita mi hanno offerto la loro
incomparabile dedizione di vicinanza, di intelligenza, di sapienza, di
magistero, di esemplarità e di affetto incondizionato e gratuito. Verso tutti
mi sento grandemente debitore e
altresì avverto di essere del tutto povero di un altrettanto riscontro di
valore di egual misura.
Ecco, venerato vescovo Francesco, mi permetto umilmente di significare a te
una puntuale e precisa riconoscenza
che intende riguardare il tuo gesto del tutto imprevisto, ma anche di
sottolineare la tua lungimiranza nel
rendere onore alla mia appartenenza alla madre Chiesa di Bergamo di cui mi
sento, sia pure indegnamente, figlio
grato. In realtà non sarei quello che sono se non fossi stato coltivato,
formato e plasmato da questa santa Chiesa.
Il mistero di Dio, il mistero dell’uomo
Di
fronte al compimento dell’ottantesimo anno, le valutazioni si
sprecano, qualsiasi esse siano. E nella presente celebrazione su tutte
primeggia il pensiero del sempre e imperscrutabile mistero dell’uomo, a partire dal supremo e imprescindibile mistero di Dio, quel mistero che
pervade il tempo della storia, il tempo presente, colmo di opere e di giorni, e
il finire del tempo e il dopo del tempo.
L’anno
ottantesimo porta dunque a considerare il tempo trascorso, il tempo presente e
quello futuro nell’enigmatica
complessità della vita e mi torna di conforto pensare e credere che ogni
tempo è visitato e abitato dal Signore, secondo un disegno di salvezza. In
questa visione provvidenziale, viene tuttavia messa alla prova ogni giorno la
resistenza di fronte ad ogni genere di tentazioni che passano tra squarci di
luce e cumoli di ombre, in un incessante movimento tra folgori di grazia e
tenebre di peccato, in un variare di sentimenti tra malinconie e nostalgie, tra
affezioni e risentimenti.
Ma
nonostante tutto, si rende evidente la possente
parola di Dio che dà il giusto profilo ad ogni realtà vissuta nel bene e
nel male, perché Dio è “semper maius”
(Sant’Ignazio di Lojola). E qui mi viene di riprendere un pensiero di San
Giovanni XXIII stilato nel silenzio del “Mio
Ritiro spirituale in preparazione al compiersi dell’ottantesimo anno della mia vita” (Castelgandolfo, 10-15 agosto
1961).
Con
un certo disincanto e con un rassicurante abbandono, scrive il santo Papa: “Per grazia del Signore non sono ancora
entrato nel senueris: ma coi miei
ottant’anni ormai compiuti, mi trovo sulla porta. Dunque devo tenermi pronto a
questo ultimo tratto della mia vita, dove mi attendono le limitazioni e i
sacrifici, fino al sacrificio della vita corporale, ed all’aprirsi della vita
eterna” (Giovanni XXIII, Il Giornale
dell’anima e altri scritti di pietà,
Milano, 1989, pag.584).
Così,
mi verrebbe da dire, che la piccolissima storia personale diviene biografia di salvezza, sperata e
desiderata, delineandosi, come in uno specchio, nella parabola esistenziale di
ogni uomo credente. In tale prospettiva, forse gli ottant’anni dispiegano un velo si sapienza che genera una quiete
di passioni e di ambizioni, un giudizio di pacato ottimismo, un senso di
contentezza rassicurante.
In
realtà, prese le debite misure, non possiamo non considerarci, certo e con
piena consapevolezza, “servi inutili”
(cfr Lc 17,7-10) e nel contempo anche umili “profeti”, servitori del Regno. Siamo del tutto impegnati, come
sapientemente va insegnando il nostro vescovo Francesco, a “servire la vita dove la vita accade”, a
imparare a vivere la vita dal di dentro, in quanto la vita siamo noi in prima
battuta, e in quanto diffusa in tutta l’umanità e nell’intero universo.
Lo scandalo di un Dio umile
E
per concludere, mi domando, nella trama di questi modesti pensieri, come si
colloca la festa dell’Epifania? Non v’è dubbio che la festa ci riporti a Dio, il Signore del tempo e dello
spazio, “l’amor che move il sole e l’altre
stelle” (cfr Dante, Paradiso, XXXIII, 145) e dunque nel
cuore profondo e, in modo stringente, nell’alveo di una umanità in cerca di se
stessa, riconquistando quella coscienza
di fede, personale e pubblica, raccomandata, in ultima istanza, dalla
tremenda vicenda storica che stiamo vivendo.
Posti
di fronte al mistero dell’Incarnazione, rivissuta attraverso la prova
drammatica della pandemia,
avvertiamo anzitutto l’inadeguatezza pratica della nostra fede e, in
particolare, la palese scarsità della nostra intelligenza di fede nel produrre
un senso condiviso all’accadere delle cose. E si è visto lo squarcio di una
crisi che manifesta il quadro sofferente di un’umanità “fragile e disorientata” (cfr Francesco, Statio Orbis, 27 marzo 2020).
In
realtà la manifestazione di un Dio povero e disarmante, di un Dio che accoglie
tutta l’umanità dispersa nel mondo, se da una parte ci inquieta perché i nostri
abituali orizzonti di vita
permangono stretti e vulnerabili, la nostra spiritualità balbetta in modo
querulo, la nostra accoglienza reciproca fatica ad essere generosa, dall’altra
ci sospinge a sorprenderci per la magnanimità
sovrumana dell’accondiscendenza di un Dio che accarezza il mondo delle sue
ferite, ci fa sperimentare una paternità universale e ci sollecita a generare
fiducia e a incrementare relazioni di fraternità e di pace.
Durante
lo scorrere dei giorni del Natale, ci ha ancora una volta sorpreso un Dio umile e si è visto come l’uomo, nonostante tergiversazioni e
crisi di contatto, abbia bisogno di Dio,
che si fa attesa e ricerca di un’alterità superiore, come insopprimibile e
indispensabile anelito, come una traiettoria credibile per un’esistenza sensata
e dignitosa.
Abbiamo
bisogno di contemplare un Dio umile
per salvare l’uomo dalla sua decadenza di umanità. In questo frattempo
esistenziale ci è necessario far scoccare una tensione al superamento di un’intrinseca contraddizione che snocciolo
così: passare dall’assuefazione a
vivere in una società dell’incertezza e della triste evanescenza dei valori
forti e a fluttuare senza slancio di trascendenza nella quotidianità, all’urgenza di dare forma ad un nuovo umanesimo che ci sospinga a uscire
dalla mediocrità e a guardare in alto e lontano.
Dai Magi una rinnovata speranza di vita
In
questa condizione, ai nostri occhi afferrati dal disincanto, abituati a
consumare velocemente immagini ed emozioni, dove tutto sembra finito o meglio
consumato, si volge l’invito ad
accendere la luce di una speranza di
vita, che fin d’ora incomincia, che sappia sviluppare energie vitali negli
individui e nell’intera società.
La
visione prende la mossa dal seguire i
Magi, mettersi coraggiosamente in cammino verso la casa di Betlemme,
prostrarsi umilmente davanti al Dio umile, spogliarsi delle nostre fantomatiche
ricchezze e dei nostri deliri di onnipotenza, deporli ai piedi del Bambino, e
sentirsi presi per mano da lui per riscoprire la gioia di essere uomini e donne capaci di giustizia, di rispetto e
di amicizia sociale.
Così
rafforzati e motivati, possiamo riaccollarci la bisaccia di pellegrini risanati e riprendere il nostro cammino
avventuroso verso la meta dell’incontro definitivo con il Padre nella nuova
Gerusalemme della famiglia umana redenta.
+ Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza
ECCELLENZA grazie, della bellissima catechesi da autentico pastore.
RispondiEliminaFelicitazioni vivissime per il Suo ottantesimo Compleanno.
L'Anonimo di Borgo