Ambrogio carissimo, tornato, da poco, dalle ferie, di soli sette giorni sette, nella Maremma grossetana, tra lupi -forse anche mannari!-, orsi, cinghiali, rapaci alati, rientrato nel solito tran-tran, vulgo dictum anche tram-tram-, il mio animo depresso, il mio muscolo cardiaco rallentato, la mia mente sconvolta dalla perenne visione, dalla mia magione, della cupola cerulea del Palasport, mi hanno, ahimé!, inoculato questo terrificante incubo notturno.
Na tazzulella 'e cafè
Percorrevo, a tentoni, uno spazio senza luce, che pareva senza fine, da una nera tenebra ad altre, più oscure e pesanti, come cortine funebri, a velare la desolazione di un cielo atro, dove le stelle e la luna parevano piovere lacrime algide e grevi. Che fosse la notte di San Lorenzo?
San Lorenzo, io lo so
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
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Le tetraggini del suolo rilasciavano vapori, che, in spirali maligne, risalivano, taciti, alla mia mente. Vane inconsistenze, senza vita e calore, prive di energia e movimento, mi circondavano, si insinuavano sotto pelle, mentre, intorpidito dal sonno, mi guardavo attorno, in cerca di una sola scintilla di luce e tepore.
Allignava, per ogni dove, un vago, indicibile brivido di assenza, uno stato di profonda immobilità.
Una quiete impura, una pena mortale opprimevano l'ambiente, e tutto si addensava e si dissolveva, verso tempi e spazii non-umani.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Mentre tutto pareva diluirsi e liquefarsi, non potendo più sostenere questo orrore, la mia anima mi schizzò fuori dal petto, sbigottita, e si mise a vagare, inquieta, alla ricerca di un rifugio sicuro.
Io me ne uscii, sul balcone, dove la nebbia della notte si condensava in una grigia muffa, negli angoli oscuri dei muri.
Da lì, mi voltai verso il letto, dove un lemure magro e macilento, giaceva supino, al mio posto, e pareva chiedermi aiuto. Doveva essere la mia anima, che implorava tregua e pietà.
Mi distesi, allora, dove giaceva l'esserino scheletrico, per ricongiungermi con lui e ricomporre l'unità di sempre.
Mi rialzai da letto, subito dopo, al gorgoglìo della Moka ed agli effluvi spiralanti dell'aroma del caffè, appena risalito a galla; lo centellinai, con intenso piacere, dalla mia tazzina preferita, quella di unghie umane ingiallite.
Franco Bifani
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