La pagina evangelica di Lc, conosciuta come la narrazione dell’ospitalità riservata a Gesù da due sorelle, Marta e Maria (cfr. Lc 10.38-42), offre un orientamento luminoso all’inizio di un anno pastorale, che siamo chiamati a vivere in comunione con la Chiesa.
Spesso si è ascoltata questa pagina nella linea di una contrapposizione tra Marta (azione) e Maria (contemplazione), con un privilegio incondizionato attribuito a quest’ultima; al contrario, dal contesto emerge che Lc intende indicare il volto del vero discepolo, ossia colui che ascolta e fa’ la Parola del Maestro e Signore unico. L’evangelista sottolinea una completezza che vede nel discepolo la sintesi di ascolto e azione, ribadendo che ogni agire autentico secondo la Parola scaturisce da una sua accoglienza nella fede che converte la vita. Gesù è la Parola unica ed eterna da ascoltare e accogliere; ad essa nulla va anteposto. Ogni ospitalità dell’altro e ogni attività di missione che impegna la Chiesa nel suo cammino va orientata a ribadire questo primato.
Marta e Maria sono la storia concreta di un vissuto fraterno e famigliare che Gesù incontra. A differenza dei samaritani (cfr. Lc 9,53) che rifiutano di accoglierlo; rispetto alle città di Corazim, Betsaida e Cafarnao che si manifestano ostili alla parola e ai segni dell’evangelo; rispetto ai presunti saggi troppo ricchi di sé, Marta e Maria sono testimonianza di una ospitalità sincera, generosa e appassionata. Ciò evidenzia un accogliere che mette al centro dell’attenzione l’ospite, riferimento esclusivo verso il quale va tutta l’attenzione degli ospitanti.
Ma, a questo punto, l’evangelista richiama l’attenzione del lettore su una diversa modalità dell’accoglienza. Anzitutto, c’è l’accogliere di Marta. Non si può disattendere che è lei a far posto a Gesù per prima. È ancora lei che è occupata intensamente per il molto servizio. La sua è testimonianza di una sollecitudine premurosa per l’ospite, anche se ciò viene fatto in modo sovrabbondante, perfino invadente; si tratta di un servire che soffoca e fa scomparire l’altro. La concentrazione di Marta sul “molto servizio” le fa avanzare una pretesa nei confronti di Gesù, richiamando la sua attenzione e rivolgendogli un rimprovero per non essersi accorto del suo darsi da fare, rispetto all’immobilità di Maria. È Marta, infatti, che «essendosi fatta avanti» mette in rilievo se stessa rispetto a Gesù e alla sorella.
In secondo luogo, vi è l’accoglienza di Maria. Il suo atteggiamento è duplice: essendosi seduta, ascoltava. Dal momento in cui Gesù, l’ospite, entra in casa è lui il centro dell’attenzione e su di lui lo sguardo volge in modo assoluto. Il convergere di Maria su Gesù è espresso dall’ascoltare; è l’atteggiamento che richiama un’umile sottomissione davanti al Maestro, ponendosi rannicchiata ai suoi piedi, per nulla turbata del rimprovero della sorella Marta. Il modo di agire di Maria, in realtà, rivela chi è il discepolo dell’evangelo: in tutto ‘curvato’ sulla parola del Maestro esprime il suo stato di servizio all’Unico. Contrapposto all’affanno, l’inattività di Maria manifesta l’agire efficace del discepolo in tutto teso a servire il Signore.
Per nulla raccogliendo il rimprovero polemico di Marta, Gesù stesso offre una catechesi alla comunità, volto a precisare l’unicum necessarium. Di Marta, Gesù sottolinea l’affannarsi, ossia il perdersi in una miriade di preoccupazioni che la distolgono da ciò che viene prima. È Gesù il per primo da accogliere perché è il per primo da ascoltare. Gesù ricorda a Marta, e non solo, che il primo comandamento è: "Ascolta Israele" (cfr. Dt 6,4; Mc 12,29-30). Lo stare seduti ai suoi piedi è il primato della fede che contesta efficacemente la tentazione dell’idolatria, che conduce ad anteporre se stessi e il proprio servire alla verità dell’evangelo.
Il primato della fede e dell’ascolto è la parte migliore che non viene sottratta. Il discepolo che ascolta nella fede la Parola è colui che, anzitutto, "cerca il regno di Dio e la sua giustizia" (cfr. Mt 6,33), perché sa che tutto il resto gli sarà dato in aggiunta. Pertanto, all’ascolto e all’obbedienza alla Parola nulla va anteposto; mediante esso è possibile ricevere in dono la "parte buona" che non sarà tolta perché rimanda all’incontro con il Signore della vita. La fatica di Marta, senza essere condannata, è transitoria, relativa ad un momento. L’ascolto di Maria permane, perché svuotandosi di se stessa fa posto alla Parola dell’eterno. Il modello del discepolo che viene indicato è costituito, pertanto, da colui che ascolta e fa’, senza smarrire l’unico Signore del quale si è discepoli e al quale va l’unica adorazione.
Come è possibile discernere l’unicum necessarium? Quando il discepolo ribadisce nella sua vita il primato dell’ascolto della Parola e della preghiera; quando cerca, anzitutto, il regno di Dio, servendo alla causa dell’evangelo e dei fratelli, senza dicotomie e senza separazione. La tradizione cristiana ci documenta scelte che sono per noi una preziosa consegna. Anzitutto, l’attenzione all’oggi della Parola. Secondo la concezione biblica l'oggi non esprime il tempo a disposizione ora, ma un accadimento tra Dio e il suo popolo. Nell'oggi la storia diventa appello all’ascolto e alla conversione. L’oggi di Dio pone nel discepolo la sapienza di rifuggire la tentazione di risposte immediate ed educa all’attesa vigilante e paziente di Colui che era, che è e che viene.
In secondo luogo il primato del silenzio. Il profeta Sofonia invita Gerusalemme a riprendere questa antica sapienza, che si contrappone alla molteplicità delle parole rivolte agli idoli di ogni tempo: "Silenzio alla presenza del Signore, perché il giorno del Signore è vicino" (Sof 1,7; cfr. anche Ab 2,20; Zc 2,17). Il Sal 65,2 (TM) invita alla confessione di fede che può risultare paradossale: "Per te, o Dio, anche il silenzio è una lode". È lo stesso silenzio che viene imposto all’apertura del VII sigillo in Ap 8,1, quasi ad indicare l’atteggiamento fondamentale, che ci permette di comprendere il senso della rivelazione ultima di Dio sulla nostra vita e sulla nostra storia.
+ Ovidio Vezzoli, Vescovo
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Penso che ci troviamo davanti ad un teologo quindi un vescovo che vive più di spiritualità che di immagine
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