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venerdì 22 giugno 2018

Ho visto cinque alberi tristi ....


Autunno, il sentire della terra. 50x70 Sgavetta
 Mentre andavo a far le cure a Tabiano…


Ho visto cinque alberi tristi
racchiusi in una rotonda,
sembravano rimpiccioliti, distaccati, silenziosi,
rispetto ai loro compagni di una vita
rimasti insieme a fare ombra nel viale.
Non c’è più il fossato con l’erba verde ai loro piedi,
ma terra brulla,
e la strada che costeggiavano
è diventata un sentiero.
Anche gli uccellini sembrano averli abbandonati.
Qualche sparuto papavero il cui seme è riemerso forse dopo anni,
non ha rallegrato il luogo.
Ho visto tanta terra smossa, nuda, appena scoperta, attorno,
terra buona,
ora, a giugno, poteva donarci spighe dorate,
o granoturco già con la pannocchia,
o campi rigogliosi di foraggio, viste le molte piogge recenti,
o barbabietole… no, quelle ora non si coltivano quasi più…
sono passati più di duecento anni da quando Napoleone, si, proprio lui,
con decreto imperiale ordinò che venissero coltivate nelle nostre terre
(a Castione nel 1811 - D. A. Aimi), per evitare costose importazioni di zucchero…
o filari di viti…
o…
Inverno alla Bassa parmense
E ripensando a quella terra, mi vengono in mente i quadri di Rino Sgavetta, dove la mia matrice contadina si è incontrata con quella del pittore.
È vero che si vede quello che si conosce e si riconosce talvolta quello che si conserva inconsciamente in fondo al cuore, e allora io che amo la precisione, il disegno, l’incisione, e non ero attratta da quel genere di pittura, a un certo punto, in quel suo personale impasto di colore, unico, caldo, che sembra scolpire la tela più che dipingerla, ho sentito un richiamo, qualcosa di familiare, di conosciuto, ho colto un messaggio, ho cominciato a capire e poi ad ammirare…
Il tempo che passa 1997
Scrissi, anni fa, che l’impasto di colore usato da Sgavetta, da lui stesso composto, steso con spatole anche di dieci centimetri, sprigiona un’energia interna... forse Rino ha precorso i tempi interpretando il sentire della terra che dalle sue tele emerge, non solo come notevole spessore (accentuato dalla luce radente).
Alcune sue vedute – perché di vedute si tratta, tutte rigorosamente dal vero, non di paesaggi come semplicemente lui afferma - sembrano astrazioni, ma non come imitazione dell’arte moderna, bensì ripensamento, nello sfacelo della società odierna, per cui solo la materia prima conta, è essenziale, può dare ancora sussulti, può avere ancora un futuro: Sgavetta si fa interprete sincero del sentire della terra da lui tanto amata, conosciuta col duro lavoro, voltata e rivoltata nei campi, materia fragile che si sente sempre più maltrattata dall’uomo, infarcita di porcherie. Ed essa fuoriesce come un magma dalla sua tela e affiora pastosa, pregna di fatica e di sacrificio, quasi con un grido di dolore, un ultimo anelito, prima di essere del tutto soffocata e sepolta sotto l’asfalto di strade e rotonde e sotto il cemento di centri commerciali e di marciapiedi tappezzati per la “movida”… ma noi ne stiamo perdendo progressivamente il contatto!

Sgavetta dicembre 2009 050
Confermo questo scritto, e forse di più.
Quella terra smossa - lì come altrove - sembra gridare in silenzio, apparentemente si lascia annientare, ma alla fine, se non è rispettata e viene sprecata, si ribella, si allea o col sole o con la pioggia e si vendica con grande potenza. E allora ritroviamo tutta la nostra miseria di uomini che non hanno compreso il grande dono, fonte di vita, da amare e preservare.

Ho visto cinque alberi tristi
E lo volevo dire.
Ho sentito la loro tristezza
Perché anche le piante intendono
e sanno quando ne vale la pena:
questo è stato un sacrificio inutile.

Fidenza 21 giugno 2018
Primo giorno d’estate.                                                           Mirella Capretti

Sgavetta nevicata a Monte Canate
Frana a grotta di Pellegrino

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