Autunno, il sentire della terra. 50x70 Sgavetta |
Ho visto cinque alberi tristi
racchiusi in una rotonda,
sembravano rimpiccioliti, distaccati,
silenziosi,
rispetto ai loro compagni di una vita
rimasti insieme a fare ombra nel
viale.
Non c’è più il fossato con l’erba
verde ai loro piedi,
ma terra brulla,
e la strada che costeggiavano
è diventata un sentiero.
Anche gli uccellini sembrano averli
abbandonati.
Qualche sparuto papavero il cui seme
è riemerso forse dopo anni,
non ha rallegrato il luogo.
Ho visto tanta terra smossa, nuda,
appena scoperta, attorno,
terra buona,
ora, a giugno, poteva donarci spighe
dorate,
o granoturco già con la pannocchia,
o campi rigogliosi di foraggio, viste
le molte piogge recenti,
o barbabietole… no, quelle ora non si
coltivano quasi più…
sono passati più di duecento anni da
quando Napoleone, si, proprio lui,
con decreto imperiale ordinò che
venissero coltivate nelle nostre terre
(a Castione nel 1811 - D. A. Aimi),
per evitare costose importazioni di zucchero…
o filari di viti…
o…
Inverno alla Bassa parmense |
E ripensando a quella terra, mi
vengono in mente i quadri di Rino Sgavetta, dove la mia matrice contadina si è
incontrata con quella del pittore.
È vero che si vede quello che si
conosce e si riconosce talvolta quello che si conserva inconsciamente in fondo
al cuore, e allora io che amo la precisione, il disegno, l’incisione, e non ero
attratta da quel genere di pittura, a un certo punto, in quel suo personale impasto
di colore, unico, caldo, che sembra scolpire la tela più che dipingerla, ho
sentito un richiamo, qualcosa di familiare, di conosciuto, ho colto un
messaggio, ho cominciato a capire e poi ad ammirare…
Il tempo che passa 1997 |
Scrissi, anni fa, che l’impasto di
colore usato da Sgavetta, da lui stesso composto, steso con spatole anche di
dieci centimetri, sprigiona un’energia interna... forse Rino ha precorso i
tempi interpretando il sentire della terra che dalle sue tele emerge, non solo
come notevole spessore (accentuato dalla luce radente).
Alcune sue vedute – perché di vedute
si tratta, tutte rigorosamente dal vero, non di paesaggi come semplicemente lui
afferma - sembrano astrazioni, ma non come imitazione dell’arte moderna, bensì
ripensamento, nello sfacelo della società odierna, per cui solo la materia
prima conta, è essenziale, può dare ancora sussulti, può avere ancora un
futuro: Sgavetta si fa interprete sincero del sentire della terra da lui tanto
amata, conosciuta col duro lavoro, voltata e rivoltata nei campi, materia
fragile che si sente sempre più maltrattata dall’uomo, infarcita di porcherie.
Ed essa fuoriesce come un magma dalla sua tela e affiora pastosa, pregna di
fatica e di sacrificio, quasi con un grido di dolore, un ultimo anelito, prima
di essere del tutto soffocata e sepolta sotto l’asfalto di strade e rotonde e
sotto il cemento di centri commerciali e di marciapiedi tappezzati per la
“movida”… ma noi ne stiamo perdendo progressivamente il contatto!
Sgavetta dicembre 2009 050 |
Confermo questo scritto, e forse di
più.
Quella terra smossa - lì come altrove
- sembra gridare in silenzio, apparentemente si lascia annientare, ma alla fine,
se non è rispettata e viene sprecata, si ribella, si allea o col sole o con la
pioggia e si vendica con grande potenza. E allora ritroviamo tutta la nostra
miseria di uomini che non hanno compreso il grande dono, fonte di vita, da
amare e preservare.
Ho visto cinque alberi tristi
E lo volevo dire.
Ho sentito la loro tristezza
Perché anche le piante intendono
e sanno quando ne vale la pena:
questo è stato un sacrificio inutile.
Fidenza 21 giugno 2018
Primo giorno d’estate. Mirella
Capretti
Sgavetta nevicata a Monte Canate |
Poesia...
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