« Chiunque tu sia , non mitoccherai più senza rispetto…»
Papa Pio VI ( G. Angelo Braschi) |
Mons. Alessandro Garimberti |
QUISQUIS ES/ME IRREVERENTER/NE TANGITO/PIUS VI P.M./IN AEDIBUS ALEXANDRI GARIMBERTII/FIDENTIAE SACRORUM ANTISTITIS/A MANE D XVII K. MAI AN CIƆIƆCCLXXXXVIIII/IN CRASTINUM USQUE SUBSISTENS /MIHI/EDULIS PAUCIS INSTRUCTAE[9] /ARTUS AEGROS CONFECTOSQUE SENIO/AT SANCTAE NUMQUAM FORTITUDINIS / EXPERS /PAUllulum REFECTURUS /ADSEDIT[10]
Per quanto attiene, invece, al piano storiografico, il resoconto più sicuro della statio borghigiana nella via crucis di Pio VI è redatto dal vescovo Luigi Sanvitale (1817-1836), successore di A. Garimberti, il quale, disponendo ancora, in loco, di testimonianze di prima mano, ne inviò memoria, assieme al testo dell’epigrafe, all’autore della «Relazione», come da questi dichiarato e trascritto[12].
Card. Luigi valenti Gonzaga |
Le campane suonavano a festa, sotto un cielo per nulla sereno, e «nella lunga contrada che da San Michele guida al vescovado, i cittadini, il meglio che poterono, ornarono di drappi le loro finestre», in un tripudio generale di folla accorsa anche «dalle ville vicine», per «rimirare l’augusto aspetto del Pontefice e ricevere la benedizione apostolica».
I fedeli borghigiani, preoccupati dalle precarie condizioni di salute del papa, chiesero al loro vescovo che «nella chiesa cattedrale si facesse pubblica orazione dinanzi al Santissimo Sacramento »: per tutto il giorno la «detta chiesa fu sempre piena di fedeli» che pregavano con grande fervore.
Orbene, «la comune esultanza, mista a compassione», non avrebbe creato problemi di ordine pubblico, se un ebreo, di nome Marco Levi, non avesse insolentito il Pontefice con «parole oltraggiose», suscitando le ire di tal Nicola Aliani, soprannominato Barabba, che aizzò la folla contro il malcapitato. Fu, a malapena, evitato il linciaggio: il podestà, per garantirgli l’incolumità, lo fece rinchiudere nelle carceri del palazzo comunale, dove, però, la folla si riversò per farsi consegnare l’ebreo. Il primo cittadino fu, allora, costretto a far comparire il prigioniero al balcone del Municipio, scortato da soldati, per testimoniare l’azione della giustizia; e solo dopo questo atto, «la plebe gridando: viva Barabba! muoia l’ebreo! cominciò a calmarsi», ponendo fine ad un tumulto che rischiava di farsi sempre più incontrollabile .
Antico Vescovado di Borgo San Donnino |
La sosta papale, secondo il Sanvitale, deve, dunque, essere retrodatata al 14 Aprile 1799 rispetto al 15 Aprile, data erroneamente intarsiata sulla parva mensa, la quale inoltre, indicando, come momento di partenza del pontefice, il giorno dopo, (in crastinum) ne avrebbe prolungato la tappa borghigiana fino al 16 Aprile.
Più precisamente: papa Braschi, dopo i giorni
turbolenti trascorsi a Parma, si fermò a Borgo San Donnino, dalla mattina del
14 Aprile fino alla mattinata seguente, quando, dopo aver concesso «molte facoltà straordinarie»
al vescovo Garimberti, partì alla volta di Piacenza, osannato da uomini e
donne d’ogni condizione «con replicati e strepitosissimi viva per lungo tratto di via oltre il torrente Stirone; il cui
ponte essendo vecchio e appuntellato, il Comune di Borgo S. Donnino un altro
ne aveva fatto prestamente costruire, largo e forte, acciocchè Pio VI traghettasse
in ogni sicurezza».
Lasciamo, dunque, il pontefice, poco dopo
mezzogiorno, alle porte della città che, di lì a qualche mese, avrebbe sentito
i colpi della battaglia della Trebbia, nell’ambito della seconda coalizione
antinapoleonica: “prigioniero” nel Collegio Alberoni di San Lazzaro, è
sorvegliato da sentinelle di guardia tanto alla porta dell’istituto religioso quanto
a quella dell’ appartamento privato: si vuole evitare il rischio d’un qualsiasi
contatto del papa con l’esterno.[14]
Ma, già che ci
siamo, non è fuori luogo dare conto, per quanto possibile, anche degli altri segni
lasciati dal passaggio del peregrinus
apostolicus, ostaggio della Repubblica Francese: della sua presenza, associata
a quella di Carlo Emanuele IV di Savoia[15]
e di sua moglie, rimase memoria custodita dalla medesima lapide nel sacellum domesticum del vescovo di Borgo
San Donnino.
A differenza della cappella del palazzo vescovile, intitolata a san Gaetano Confessore e fatta costruire dal vescovo Gaetano Garimberti ( 1675-1684), teatino e della stessa nobile gens parmense del vescovo Alessandro, dove ancora a metà dell’Ottocento si celebravano le ordinazioni sacerdotali[16], quella voluta da Alessandro Garimberti col titolo del Sacro cuore di Gesù, alla fine del Settecento[17], era, invece, la cappella privata del vescovo, demolita nel secondo dopoguerra; disposta a tribuna sopra l’ingresso sinistro della Cattedrale, era accessibile dai locali del vescovado adiacenti la torre del Folletto[18](o delle Cicogne): qui, con lo stemma episcopale dipinto a fresco sulla soglia[19], quasi a rimarcare l’identità gentilizia del luogo anche per il riferimento patronimico, stava incisa « sul marmo»[20] la seguente epigrafe, dettata sempre dal Tonani:
G. Gandolfi, Sacro Cuore Eucaristico (XVIII sec.) |
Il 18 dicembre 1798, questa cappella fu arricchita d’un grande onore per la presenza dei coniugi Carlo Emanuele di Savoia, re di Sardegna, e Maria Clotilde di Borbone: cacciati dalla crudeltà dei tempi dal Piemonte, in attesa di rifugiarsi in Sardegna, ascoltarono la messa in questo luogo. L’onore avuto dalla loro presenza fu accresciuto dal passaggio di Pio VI diretto verso la Francia, il 14 Aprile 1799, il quale con indomita fermezza d’animo andava verso il duro esilio che, in quella terra, per lui era stato preparato. Qui, in quel giorno, l’ospite, entrando proprio in questo palazzo, accordò tale privilegio: che, quanti ogni anno, nella ricorrenza della festa del cuore di Gesù, secondo il rito, purificati dei propri peccati, davanti all’altare dov’è stato celebrato il divino sacrificio, recitassero preghiere rivolti all’immagine del Sacro Cuore, potessero allontanarsi prosciolti dalla pena temporale stabilita per i peccatori[22]. Alessandro Garimberti, figlio del conte Antonio[23], vescovo di Fidenza, nell’intento di tramandare ai posteri questi fatti, volle che essi venissero incisi su questa lapide, nel 1800, anno che conclude un secolo carico di lutti[24].
La memoria della sosta papale fu, inoltre,
affidata, secondo quanto scrive Paolo Cassi, ancora testis de visu prima delle macerie della guerra, ad una «lapide
murata sulla facciata del nostro episcopio da un comitato diocesano riunitosi
in occasione del primo centenario dell’avvenimento»; e «la stessa lapide ricorda
pure il breve soggiorno di Carlo Emanuele IV di Savoia che appunto nel palazzo
vescovile pernottava la notte del 18 Dicembre 1798 »,[25] nel
tempo della sua dimora a Parma, dopo la partenza forzata da Torino.
E’ assai probabile che l’iniziativa, promossa
dal comitato locale, vada letta nell’ambito delle celebrazioni tenutesi a
Pieveottoville, il 24 settembre 1899, in occasione della «prima festa federale delle
associazioni cattoliche parmensi e della diocesi di Borgo, presieduta da mons.
Tescari, vescovo di Borgo San Donnino»[26], alla presenza,
tra gli altri, del dott. Giuseppe Micheli di Parma, fondatore del periodico La Giovane Montagna d’ispirazione apertamente
murriana e dell’avv. Filippo Meda che, da poco direttore dell’Osservatore Cattolico, dopo l’arresto di
Davide Albertario, cercherà di traghettare il giornale lombardo dell’intransigentismo
cattolico verso una presenza attiva dei cattolici nella vita politica.
Sono gli anni, quelli a cavaliere dei due secoli che, almeno fino alla prima guerra mondiale, incorniciano, le aspettative ed il travaglio socio-politico del mondo cattolico cui dà voce, a livello locale, per impulso dei vescovi G. Tescari e L. Mapelli, «Il Risveglio», “periodico settimanale popolare” fondato proprio nell’ottobre 1899, quale «diana risvegliatrice dei sonnolenti, eccitatrice di forze giovani e fresche per la conquista di quei santi ideali nei quali riporre la salute di una società in declino e traviata»: un «giornaletto popolare», di «contrapposizione», rivolto alla «maggioranza» della gente, aperto alle conquiste del progresso nella luce della fede, che vuole interessare « in modo speciale le classi lavoratrici», senza inseguire il «gusto di qualche solitario annoiato», mentre entrano in scena i partiti di massa, sempre più attrattivi ed organizzati per dare voce alle rivendicazioni sociali di operai e contadini. [27]
Ora, se la testimonianza del Cassi corrisponde al vero, probabilmente ci troviamo di fronte ad una sorta di “reimpiego” – dalla privata devozionalità alla testimonianza pubblica -, della lapide dell’oratorio privato del vescovo: la compresenza dei medesimi eventi riportati nell’uno e nell’altro manufatto fanno pensare ad una riformulazione dell’iscrizione lapidea, nel quadro d’una diversa destinazione d’uso e, soprattutto, alla luce del mutato contesto storico che vede i cattolici uscire sempre più combattivi dalle “riposte mura” del non expedit contro il clima laicista di fine secolo teso ad escludere ogni influsso della religione nella convivenza civile. [28]
La lapide del vecchio episcopio non fu distrutta, come genericamente si dice o si ritiene, dal bombardamento che colpì il fianco sud del Duomo, poiché essa appare ancora in situ negli anni 1946/1948: lo testimoniano sia il corredo fotografico del tempo[29], sia il pennello di E. Ponzi (1908–1992) che dipinge la città, spostando il cavalletto tra le sue macerie[30].
Il furor
aedificatorius postbellico, sia civile che ecclesiastico, forse inevitabile
ma talora anche sciagurato, fa pensare che questo manufatto sia “caduto” insieme
alla demolizione dei resti della facciata pericolante del vecchio palazzo
vescovile, senza che nessuno si (pre)occupasse, in quegli anni, della rimozione
conservativa dell’iscrizione lapidea.
A questo punto, non si può neanche
escludere che proprio la lapide collocata, nel 1899, sulla facciata dell’antico
vescovado abbia poi suggerito, in una sorta di pendant, quella inaugurata, quindici anni dopo, nell’ambito del IV
Congresso della gioventù cattolica emiliana, riunito a Borgo san Donnino, sotto
la presidenza del card. Pietro Maffi: dettata in lingua volgare dal can.co
Sincero Badini, direttore del «Risveglio», a ricordo del passaggio di Pio VII, l’epigrafe,
siglis eiusdem auctoris appositis
(C.S.B.), è leggibile, ancora oggi, sulla facciata della chiesa urbana di san
Pietro apostolo. Anche in questo caso, come la “pietra” continua a raccontarci,
sono sempre i «cattolici fidentini» a prendere l’iniziativa, e sempre in
occasione della « prima ricorrenza centenaria del grandioso evento», quello
appunto della sosta, a Borgo, di papa Chiaramonti, oggi servo di Dio, di
ritorno «in trionfo alla sua sede pontificale», nel 1814, «dalla carcere di
Fontainebleau», vittima del «folle delirio» della tirannide napoleonica.[31]
Nel volgere al termine, ci piace raccogliere
idealmente questi piccoli “cocci” di storia attorno alla tomba dei due
protagonisti che la “qualità de’ tempi” ha fatto incontrare a Borgo san
Donnino.
Il pontefice arrivato in Francia, attraverso il valico del Moncenisio, morì, poco dopo, nella fortezza di Valence , il 29 Agosto 1799. Sepolto come quivis unus ex populo nel cimitero locale con la scritta «Cittadino Giannangelo Braschi – in arte Papa», le spoglie di Pio VI, dopo lunghe peripezie, riposano, oggi, con più degno epitaffio in un antico sarcofago romano, nelle grotte vaticane:
MORTALES PII VI EXVVIAS QVEM INIVSTVM CONSVMPSIT EXILIVM PIVS XII PONT. MAX. HEIC DIGNE COLLOCARI AC MARMOREO ORNAMENTO ARTE HISTORIAQVE PRAESTANTISSIMO DECORARI IVSSIT A. MCMXXXXIX.
Le spoglie mortali di
Pio VI, “consumato” da ingiusto esilio, furono qui degnamente deposte, per
volontà di Pio XII, sommo pontefice, con l’onore di un marmo assai più illustre
per arte e storia, nell’anno 1949.
A mons. Garimberti, di cui ricorrono,
proprio nel 2023, duecentodieci anni dalla scomparsa, furono, invece, riservate
esequie imponenti ( elatus funere
splendido). Fu vescovo della «dolcezza», come ebbe a dire il suo successore,[32] ma, soprattutto,
“senza freno nel soccorso degli ultimi” ( altor
effusus pauperum)[33], come
fu scritto in fronte majoris templi nel
giorno dei solenni trigesimali: a lui va, senz’altro, ascritta la realizzazione
dell’ «Ospedale dei poveri infermi » di
Borgo san Donnino e quella del nosocomio di Monticelli d’Ongina (PC), dove una
lapide ricorda ancora i meriti dell’insigne benefattore: onorate/ il vescovo garimberti/ che /nell’anno
1784/ fondo’ quest’ospedale / la commissione ospitaliera/ nell’anno 1866
/ Q(esta)M(emoria)P(ose).[34]
Alessandro vescovo, della famiglia dei
conti Garimberti, del patriziato di Parma, membro del collegio dei canonici di
quella Chiesa Cattedrale, esercitò il ministero episcopale in questa città per
trentasette anni , costituendo un fulgido esempio; sorretto dalla generosità
devota di Ferdinando I, augusto nostro signore, ma prima di tutto ed in abbondanza
dalle sacre dottrine, mostrò l’antica nobiltà di costumi congiunta ad ogni
sorta di cortesia
(comitati omni), testimoniando senza
sosta spirito d’accoglienza verso i
bisognosi (hospitalitatem), carità
(misericordiam) e zelo ardentissimo per il suo gregge; visse settantasei anni, morì il 2 Aprile 1813 e qui,
per sua volontà testamentaria, volle la pace in Cristo, davanti all’altare da
lui impreziosito con una pala sacra ornata di cornice[36], in onore della madre di Dio immacolata fin
dal concepimento, verso la quale per tutta la vita era stato devotissimo. O
Padre amatissimo, possa tu vivere in
Dio come hai meritato.
Si può, allora, concludere che anche le
“confidenze” d’un semplice oggetto, come può essere un manufatto di poco pregio
e, più in generale, di tutti i monumenta d’una
città o d’un territorio , umili o illustri che siano, non smettono mai di “far ricordare”(monēre) il passato d’una comunità il
quale non di rado si riverbera sul grande mosaico d’un’intera epoca. E così la
“parola” d’un povero tavolino, per di più andato disperso, apre di colpo, senza fragore d’histoire-bataille, un intero mondo: diventa “senso di luoghi”,
rete di relazioni, intarsio di memoria collettiva.
Fausto Cremona
[1] p. baldassari, Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI ecc., T. IV, L.
V, Modena, 18432, pp. 59-63 . Il ritratto di Pio VI, qui riprodotto,
conservato nel Museo del duomo di Fidenza, ne riprende, salvo la posizione della mano destra benedicente, l’immagine
disegnata da Giovanni Domenico Porta e incisa su rame da Domenico Cunego,
probabilmente nell’anno stesso dell’elezione pontificale (1775).
[2]Cfr.Cristiana Tarasconi, Gli epitaffi di
Parma luigina, in «Lege nunc, viator...». Vita
e morte nei carmina Latina
epigraphica della Padania centrale, a
cura di N. Criniti, Parma, 1998, pp. 63-73.
[3] Sulla figura del quindicesimo vescovo di
Borgo San Donnino-Fidenza, si veda A.
Cerati, Discorso funebre per la
morte di Mons. A. Garimberti, Parma 1814; G.
M. Giacopazzi, I vescovi di Borgo
San Donnino, Fidenza 1903; D.
Soresina, Enciclopedia diocesana
fidentina – I personaggi -,
Fidenza, MCMLXI, v. I, pp.170-175. La figura di mons. A. Garimberti è qui
raffigurata in dipinto tardo settecentesco, conservato presso la Direzione
sanitaria dell’ospedale di Vaio ( Fidenza).
[4] A.
Aimi – A. copelli, Storia di Fidenza, Parma 1982, p. 249.
[5]A. G. Tononi, Il
prigioniero Apostolico Pio VI nei ducati parmensi, Parma 1896, già comparso
come articolo in «Archivio storico delle province parmensi, Vol. III, anno
1894. I rimandi citati fanno riferimento al volume.
[6] Si tratta di Botti don Ferruccio ( Parola di Fidenza 1905 – Noceto 1983),
priore di Talignano, sacerdote della diocesi di Parma, il cui pseudonimo, comparve spesso sulle
pagine culturali della «Gazzetta» e sul settimanale diocesano «Vita Nuova» a
raccontare non solo la città o la diocesi parmense, ma anche momenti e fatti
della vita del territorio. Nel nostro caso, la minuziosità della testimonianza,
resa quasi col metro in mano, non deve stupire più di tanto, ove si considerino
lo status di ecclesiastico dell’autore
e le sue origini paroline che, di certo, facilitavano i contatti con la diocesi
fidentina. D’altro canto, l’uso dell’avverbio
di modo, inutiliter datum in questa
sede per il senso del testo, manifesta
apertamente la strategia dell’autore: attestare l’esattezza di evidenze note
soltanto a chi aveva buona consuetudine con gli ambienti del palazzo
vescovile.
[7] Ferrutius, Un tavolino famoso, Gazzetta di Parma, 1 Novembre 1941, p.2
con continuazione il 2 Novembre 1941, p.4.
[8] Cfr. P.
Cassi,Vecchie cronache di Fidenza,
Fidenza, MCMXXXXI, p. 36.
[9] Il participio passato instructae ( «imbandita»), concordato con mihi, è posto è al femminile poiché
riferito ad un sottinteso mensae (o mensulae).
[10] Il testo dell’epigrafe si può leggere oltreché
in R. Tonanii, Inscriptiones carmina non nulla et quaedam
prosa oratione conscripta, Parmae MDCCCXXXI, vol. II, fasc. III, caput IIII,
§ II, Inscriptiones operum publicorum et privatorum., DLV, p. 40, anche in P. Baldassari, op. cit., p. 61 ed in A.G.
Tononi, op. cit., p. 74.
L’autore dell’epigrafe presenta così l’iscrizione: In parva mensa opere tessellato apud Fidentinorum Antistitem. L’uso
del verbo tessellare (tessella= “pietruzza” per opere a tarsia
o a mosaico) conferma che non si tratta d’un’incisione, ma d’un intarsio sul
ripiano di marmo.
[11] Per ciò che attiene alla cronologia della
sosta papale, la nostra traduzione rispetta il testo riportato dal «tavolino»,
senza rettifica dell’errore commesso probabilmente dall’artigiano decoratore; a
tal proposito, vd. infra p. 3.
[12] Le «memorie» al riguardo, del Sanvitale,
vengono riportate dal Baldassari in lunga nota, tra virgolette doppie, per
segnalare al lettore la dipendenza diretta dalla fonte primaria del racconto
borghigiano. Cfr. p. baldassari, Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI ecc., T. IV, L.
V, Modena, 18432, pp. 61-62, nota n° 19.
[13] La presenza del cardinale Luigi-Valenti
Gonzaga, già legato apostolico per la Romagna, è segnalata, oltreché nella Relazione del Badassari e nell’articolo
del Tononi, già citati, anche nello scritto coevo senza autore ( ma con Imprimatur : Si videbitur Reverendissimo
Patri S.P.A. Magistro F.X. Passari Archiep.
Larissen., Vicesgerens), Viaggio del
peregrino apostolico il sommo pontefice Pio sesto da Roma a Valenza di Francia ove fu in ostaggio della Repubblica Francese ecc. , Roma, MDCCXCIX,
p. 12.
[14] Cfr. Lettera
del Governatore di Piacenza al ministro intorno all’arrivo di Pio VI in
Piacenza in A.G. Tononi, op. cit.
, pp. 51-53.
[15]Carlo
Emanuele IV di Savoia, detto l'Esiliato (1751 –1819), zio di Carlo
Alberto, fu re di Sardegna e duca di Savoia dal 1796 al 1802, sposò Maria Clotilde di Borbone-Francia
(1759 - 1802), sorella di Luigi XVI . Umiliato nelle sue prerogative di sovrano
dalla Francia napoleonica, dopo la morte della moglie, abdicò al trono, a
favore del fratello Vittorio Emanuele I, finì la sua vita raminga per l’Italia,
a Roma, novizio della Compagnia di Gesù.
[16]Vd. Registro
degli ordinati da Mons. Vescovo di
Borgo san donnino don P. Crisologo
Basetti dal 23 Settembre 1843 al 4 Aprile 1857.
[17] E’ possibile ipotizzare l’anno 1798 sulla
base dell’autentica ( 11 Gennaio 1798) delle reliquie di S. Ireneo che corredavano il piccolo altare del sacellum, reperti tuttora conservati nel
museo del Duomo di Fidenza. In ogni caso, il luogo era già stato intitolato al
Sacro cuore di Gesù, al momento dell’arrivo di Pio VI ( cfr. Tononi, op. cit., p. 17).
[18] G.
Gregori, L’isola del vescovo di
Fidenza, in L’isola del vescovo di
Fidenza nelle opere di E. Ponzi, Fidenza 2010, pp. 11-18.
[19]Arma: inquartato: nel primo e nel terzo
azzurro, nel secondo e nel quarto scaccato d’argento e di rosso; al guinzaglio
d’argento in sbarra sul tutto; motto: Il
tacere non si può scrivere. Si tratta d’una sostanziale ripresa, anche nel
motto, del blasone di famiglia, eccezion fatta per talune modifiche legate allo
status ecclesiastico (la forma dello
scudo che, da “tedesco” o “a targa”, diventa ovale, insieme al galero con le
nappe verdi, segno dell’ordine gerarchico) e per la figura dell’uroboro che
viene sostituita da una testa di cane bracco, simbolo per eccellenza di fedeltà, attaccamento , amicizia e
vigilanza. Non è un caso che il
Baldassari definisca mons. Garimberti «prelato di merito singolare, devotissimo
alla S. Sede, e della persona di Pio VI grande amatore e veneratore». Cfr. Baldassari, op. cit. , p. 59. Lo stemma risulta, oggi, ancora visibile,
decorato a colori, nei resti del dismesso sacellum
domesticum del vescovo. Cfr. G. Gregori,
op. cit. p. 13.
[20]
Cfr. A. G. Tononi, op. cit.,
p. 74.
[21] R. Tonanii, op.
cit., caput IIII, § I, Fasti et numismata, DVIIII,
p. 4. Il testo dell’epigrafe viene presentato dall’autore con la seguente
didascalia: Fidentiae, in sacello domestico Antistitis eiusd. urbis
; esso colloca la sosta papale il 14 Aprile 1799, confermando l’errore
cronologico dell’intarsiatura del «tavolino», come poi segnalato da mons. Luigi
Sanvitale ( vd. supra, p. 3). La
piccola pala del Sacro cuore di Gesù, qui riprodotta, probabile arredo della
cappella vescovile, si caratterizza per un’iconografia «decisamente insolita»
che «associa la devozione al sacro cuore di Gesù col mistero eucaristico»,
rinunciando a collaudate formule devozionali. Cfr. al riguardo, G. ponzi, Nel Museo della Cattedrale risplende il Sacro Cuore Eucaristico, uno
dei capolavori di G. Gandolfi, in «Il Risveglio», Fidenza, 19 Giugno 2009,
p. 8.
[22] Più liberamente: potessero lucrare l’indulgenza plenaria.
[23] La gens
garimbertia, la cui forma cognominale rimanda certamente ad origini
germaniche, fu, a Parma, tra le famiglie più illustri della città, a partire
dal primi decenni del XIV secolo. Medici, notai, magistrati, ecclesiastici,
letterati, esponenti del mondo politico-militare, i Garimberti, a metà del Seicento,
consolidano il loro potere con
l’acquisto di proprietà feudali – la contea di Oriano e il feudo di Langhirano,
eretto in contea -, fino ad essere poi decorati col titolo comitale. Per tutto
il Settecento fecero parte dell’aristocrazia feudale del ducato e, a corte,
ricoprirono incarichi prettamente onorifici. Nella seconda metà del Settecento
due famiglie Garimberti sono presenti a Parma. La prima, discendente dal conte
di Oriano, Francesco, residente in borgo Antini, sotto la vicinia di S.
Tommaso, e composta dal conte cavaliere di Gran croce dell’Ordine Costantiniano
Antonio ( n. 1693), col fratello don Giuseppe (
1701) ed i figli Ercole (n. 1731), don Alessandro (1736-1813),
futuro vescovo di Borgo San Donnino, e Venceslao ( n.1738), tenente delle reali
guardie; la seconda abitò sotto la vicinia di S. Apollinare in contrada
piazzale del Carbone ed era composta dal canonico conte di Langhirano Giovanni
Battista ( 1709), figlio del conte Ascanio, col nipote conte cavalier Francesco
( 1735-1790). Nel 1769, alle celebrazioni per le nozze del duca Ferdinando di
Borbone con Amalia d’Asburgo, sono ancora presenti tra gli invitati gli
esponenti delle due casate nobiliari, come testimonia il libro de’ La descrizione delle feste , stampato a
Parma, in quello stesso anno, dal Bodoni ed illustrato dal Petitot. Tra la fine
del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, entrambi i rami comitali risultano
estinti. Cfr. M. de Meo, Le antiche famiglie nobili e notabili di Parma
e loro stemmi, Parma,2002 II, pp.
91-92; 233.
[24] Il secolo, che l’anno 1800 conclude, è il
Settecento: un secolo certamente non facile per la Chiesa. Sullo specifico fidentino,
cfr. M. Lori, Fidenza nel Settecento, Fidenza, 1984, pp. 87-122; A. Aimi, Storia di Fidenza, Parma 2003, pp. 114-140.
[25] Cfr. P.
Cassi, op.cit., p. 36.
[26] A. Aimi
– A. Copelli, Storia di Fidenza,
Parma 1982, pp. 321-22. Più in generale, per Il Movimento Cattolico a
Borgo, vd. il breve profilo( ma solo cronachistico) in A. Aimi, Storia di Fidenza, Parma 2003, pp.195-200.
[27] Cfr. D.
Soresina, op. cit., II, pp.
53-55; «Il Risveglio», Borgo San Donnino, 15 ottobre 1899, anno I, N.1. Di
questo settimanale, edito ancora oggi, ideato dai sacerdoti Sincero Badini (
1866-1918), Pier Crisologo Micheli ( 1845-1904), Alberto Costa ( 1873-1950),
stampato dalla tipografia di Luciano Verderi di Borgo san Donnino, e che è
stato catalogato tra la «robusta pubblicistica
murriana» dell’Emilia occidentale assieme a Fede
e cuore e La Giovane Italia a
Reggio, L’Operatore cattolico a
Carpi, La Democrazia cristiana a
Modena e La Giovane Montagna a Parma,
manca, fino a questo momento, uno studio
organico e approfondito. Cfr. L. Bedeschi
, Il modernismo e Romolo
Murri in Emilia e Romagna, Parma
1967, p.18. Significativa la bella decorazione con cui il pittore Dino Mora da
Colorno ( 1881-1950) firmerà, in seguito, il frontespizio del settimanale:
sullo sfondo la Cattedrale di san Donnino, un giovane in primo piano con
incudine e martello, mentre un angelo in volo annuncia con la tromba il giorno
del “Risveglio”, dietro il quale s’irraggia il sole nascente con la scritta «Fede e Progresso. Immagini e parole allusive
in opponendo ai fermenti socialistici
del primo novecento. Di fronte al materialismo filosofico del liberalismo e del
marxismo, Leone XIII riposiziona subito, senza indugi, i cattolici: con l’enciclica
Rerum Novarum ( 1891) «riafferma il
primato della filosofia spiritualistica cristiana»: una vera e propria «ideologia
cattolica» contro quella del capitalismo e del marxismo. Cfr. B. Sorge, Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa, Brescia, 2006, pp.
36-37.
[28] Al riguardo, non si può dimenticare che,
proprio nell’anno 1899 (11 maggio), Leone XIII indice con la bolla Properante ad exitum saeculo l’anno santo
del 1900 : il primo giubileo, dopo quelli mortificati ed incompleti di Pio IX, celebrato
con riti solenni e“a porte aperte”; tematizzato sulla centralità di Cristo Redentore,
signore e re di tutte le cose, è prefigurato dall’ enciclica Annum Sacrum (25 Maggio 1899) che
consacra l’umanità al Sacratissimo cuore di Gesù. Di questo diffuso clima di
“rinascimento cattolico”, inaugurato dal pontefice della Immortale Dei ( 1885), è pure frutto, a voler frugare tra le
“piccole cose” del nostro territorio, l’Omaggio
a Gesù Cristo Redentore di don Bartolomeo Callegari (1857-1934) di Caneso
di Compiano,oggi comune di Bedonia (PR), diocesi di Piacenza, pubblicato il 30
maggio dell’Anno Santo 1900. Si tratta d’una cantica di sei canti a rima
incatenata, secondo lo schema ABA BCB CDC EDE…, ove l’autore, sulle orme dantesche,
narra il proprio viaggio verso la visio
Dei. La guida, però, non è più il pagano Virgilio, ma l’apostolo Pietro, primo
testimone di Cristo e primo vescovo di Roma, una scelta non casuale e che
anticipa subito il messaggio del poemetto: solo attraverso la «fede cristiana,
maestra dell’eterno vero», incarnata nella storia, l’uomo del ‘900 potrà
disegnare un modello nuovo di società e di pacifica convivenza civile,
contrastando i «mostri» infernali del suo tempo - l’anticlericalismo massonico,
la ricerca sfrenata del profitto e la tracotanza del potere politico -, che tentano
di negare ogni spazio alla Chiesa nella costruzione della moderna civitas terrena, dopo la proclamazione
del Regno d’Italia. Cfr. B. Callegari
( a c. di PL. e S. Callegari, F. Cremona), Fra
l’alba e l’occaso, Bedonia, 2023. L’edizione del 1900 è accessibile al
link: https://www.seminariobedonia.it/cantica/.
[29] Sopraintendenza
ai monumenti dell’ emilia romagna, Ruderi
del Palazzo vescovile . Facciata (
1946/47), già in (a c. di) Barbara
Zilocchi L’officina Benedetto
Antelami della Cattedrale di Fidenza, Milano 2019, p. 128. Per le immagini
di Fidenza prima del 1944, si veda almeno R.
S. Tanzi, Cartoline da Fidenza,
Parma, e in particolare, pp.16-17.
[30] Cfr. E. Ponzi,
Fianco sud del Duomo di Fidenza in Mostra Antologica, Fidenza 1985, dipinto
n° 21, datato 1948, p. 44.
[31] Sulle giornate congressuali del maggio 1914, vd. La Gioventù cattolica emiliana a congresso. Solenne commemorazione di
Pp. Pio VII tenuta dal card. Maffi in «Il Risveglio», Borgo san Donnino, 9
Maggio 1914, anno XV, n. 761. Nella parole dell’ arcivescovo di Pisa la figura
di Pio VII diventa, soprattutto alla luce della memoria della prigionia di Pio
VI, il simbolo della forza della Chiesa che, dopo la persecuzione, riesce sempre
a vedere i suoi nemici «dispersi e atterrati»: Pio VI muore prigioniero in
esilio, ma il suo successore ritorna a Roma in trionfo. «La Chiesa è rimasta»,
ma «la dinastia dei Napoleonidi dov’è ?» – si domanda l’oratore -: «su tutto ha
steso la sua ala distruggitrice il tempo». Pur nel solco di questa considerazione
prevalentemente catechistica, lo scoprimento della lapide in onore di Pio VII, sembra,
tuttavia, tingersi d’una sfumatura più “politica” nel discorso degli oratori
ufficiali – il cav. Guido Meroni, di lì a poco direttore del periodico
«L’azione Cattolica» ( 1903-1919) di Reggio Emilia e don Roberto Maletti
prevosto di Mirandola, “prete sociale”e vigoroso predicatore, poi vicino a don
L. Sturzo nella fondazione del Partito popolare -, trasformandosi in un vero e
proprio “inno alla libertà” alla quale i giovani cattolici vengono incoraggiati
nel segno della fede e dell’insegnamento della Chiesa. Su Pio VII, a due secoli
dalla morte del pontefice, “ ambasciatore di pace”, nel confronto con la
Francia napoleonica a difesa della libertas
ecclesiae, si veda almeno B. Ardura,
Vicario del Dio della Pace, in «L’Osservatore
Romano», 19 Agosto 2023, pp. 4-5 e il Messaggio
del Santo Padre Francesco in occasione del bicentenario della morte del
Servo di Dio Pio VII, Roma, 21 settembre 2023. E’ tempo di “rivisitazione”
anche per il grande Còrso: dal 23 Novembre 2023, nelle sale, per Eagle Pictures,
il film molto atteso, Napoleon di
Ridley Scott.
[32] D.
Soresina, op. cit., p. 170.
[33] Mutuiamo i sintagmi elogiativi
dall’iscrizione pubblica, composta sempre dal Tonani, e posta all’ingresso del
duomo nella commemorazione del trigesimo della morte quando parentaliorum iusta more maiorum/persolvuntur
. Non è il caso di riportarla integralmente perché si configura come “mala
copia” dell’epigrafe sepolcrale. Vale la pena tuttavia di riprodurne la chiusa:
PATREM VESTRUM CIVES AMISSUM FLETE /BEATUM PRECIBUS OPTATE. Non c’è neanche
bisogno di sporcarla con una qualche traduzione perché, in questo caso, la
lingua latina, proprio per essere sintetica, illumina ancor più, sine interpretatione,
la figura di questo vescovo: egli è il pater
civitatis che si è speso per tutti e per il quale i sentimenti di tutti diventano
preces. Cfr. r.tonanii, op.cit.,
vol. II, fasc. III, caput IIII, § II, Funerum Publicorum, DCLX, p.148.
[34] Sul contributo della chiesa di Fidenza in
campo assistenziale cfr. M. Zanchin, La Chiesa fidentina creatrice degli ospedali per i poveri nel sec.
XVIII in «Ravennatensia» XII,Cesena 1989, p. 148; A. Aimi, L’ospedale
dei poveri infermi in Storia di
Fidenza, Fidenza 2003, p.126. Sull’origine e l’evoluzione dell’assistenza
sanitaria a Fidenza, cfr. gli Atti del Convegno “…Il detto Spedale sia fatto e costrutto” a cura di G. Tonelli e F. Ghisoni, Fidenza, 28 Febbraio 2004 e il relativo Catalogo
curato da G. Tonelli con il contributo di F. Ghisoni, R. Greci, C.
Dotti, O. Sidoli dell’omonima mostra, Fidenza 28 Febbraio -29 Marzo 2004. Non
meno interessante l’articolo di G. Ponzi,
Ospedale: nel mosaico dedicato ai coniugi
Cornini-Malpeli c’era anche il vescovo Garimberti che poi venne cancellato
in «Il Risveglio», Fidenza, 13
-03-2009, anno 109, n. 10, p. 7. Commissionato, nel 1964, a Carlo Mattioli
(1911- 1994) per ricordare gli “storici fondatori” del nosocomio fidentino, il
pannello musivo, oggi collocato sulla parete sinistra all’ingresso dell’ ospedale
di Vaio, ritrae i coniugi Giuseppe Cornini e Maria Maddalena Malpeli,
escludendo, tuttavia, «per espressa volontà del Consiglio d’amministrazione
dell’ospedale», la presenza della figura di mons. A. Garimberti che, assieme a
quella dei due benefattori laici, faceva parte del primo bozzetto dell’opera, in
quanto attuatore ed integratore coi beni della Chiesa fidentina dell’insufficiente
lascito Cornini-Malpeli. (Pre)giudizio ideologico del tempo, qualcuno dirà. Può
anche darsi. Forse, semplicemente, stultitia
hominum che supera ogni tempo. Più rispondente al vero fu, invece, il
comportamento dell’amministrazione di Monticelli d’Ongina che volle
pubblicamente riconosciuta ed onorata, nel tempo, l’azione di mons. Garimberti:
a fronte dell’esiguo lascito testamentario Caprendasca-Lazzi, solo il concorso
finanziario del vescovo diocesano rese possibile una struttura «ospitaliera»
per i più deboli, oggi, RSA per anziani non autosufficienti.
[35] R. Tonanii, op.cit,
vol. I, fasc. II, caput III, § IIII, epitaphia sacricolarum, ccclxxxxv, p. 277.
[36] Il vescovo, fervente immacolista,
commissionò nel 1803 a Biagio Martini, a proprie spese, un quadro con
l’Immacolata. Successivamente, nel 1835, mons. Sanvitale, dopo aver ulteriormente
arricchita la cappella, che fa mettere a «stucco lucido», provvedendo ad
indorare «capitelli, vasi e cornici» (Cfr. A.
Aimi- A. Copelli, op. cit. p. 263), ne consacrerà
l’altare, come testimonia l’epigrafe commemorativa dell’evento sul lato
sinistro della cappella, dove ritorna ancora il nome del venerato predecessore: CELLAM / AB ALEXANDRO GARIMBERTIO PONTEFICE / TABULA BLASII
MARTINI PARMENSIS / DECORATAM A MDCCCIII / ALOISIVS SANVITALIVS / ORNATV
SPLENDIDIORE / VTI DECESSOR PIENTISSIMVS / NEQVIDQVAM OB ADVERSA TEMPORA
OPTARAT / EXCOLVIT / IDEMQVE ALTARE SOLLEMNIBVS CAERIMONIIS / RITE CONSECRAVIT
/ V KAL OCT A MDCCCXXXV» [ La cappella/ che il vescovo Alessandro
Garimberti /fece decorare nell’anno 1803/ con un quadro di Biagio Martini da
Parma / impreziosì Luigi Sanvitale/ con ornamento di particolare splendore/
come il predecessore devotissimo/ aveva invano desiderato per l’avversità dei
tempi/ e parimenti l’altare con le
solenni cerimonie/ prescritte dal rito consacrò/ il 27 Settembre 1835].
Grazie Ambrogio e grazie soprattutto al "tavolino parlante" del professor Cremona, che tanto ammiriamo, per questa storia così bella e avvincente.
RispondiEliminaanonimus
Concordo appieno con il giudizio sopra espresso.
RispondiEliminaAppassionante. È un tuffo nella storia della nostra città 200 anni fa. Grazie
RispondiEliminaBravo Fausto, complimenti, sono rimasto affascinato; onore al passato glorioso della nostra Diocesi,
RispondiEliminal'Anonimo di Borgo