venerdì 21 marzo 2025

Viaggio nella storia del monastero di Castione dei Marchesi - Paolo Panni -



Un luogo la cui storia si intreccia con quella cremonese e che ha bisogno urgentemente di lavori di sistemazione per preservare un patrimonio storico e culturale, e soprattutto di fede, di fondamentale importanza per tutto il Nord Italia. Il luogo in questione è la chiesa abbaziale di Castione Marchesi (Parma), un vero e proprio “gioiello” della pianura emiliana, ad ormai pochissime decine di chilometri da Cremona.
Sabato 22 e domenica 23 marzo, dalle 9.30 alle 13 e dalle 14.30 alle 18.30 potrà essere conosciuta e approfondita grazie alle Giornate di Primavera del Fai e grazie all’impegno dei volontari Fai e dei Volontari del Comitato Aps Abbazia Castione Marchesi, col pieno sostegno della parrocchia di Castione Marchesi e della Diocesi di Fidenza.

La chiesa abbaziale, che tra i “Luoghi del cuore” del Fai è al secondo posto in Emilia Romagna, sorge in una posizione di assoluta rilevanza, essendo già particolarmente significativa nella preistoria, quale sito di una importante terramara dell'età del bronzo.
In epoca romana il territorio apparteneva al Municipium di Fidenza, posto in chiave strategica sulla Via Emilia. Ma è nell'Alto Medioevo che la località assurge al più alto prestigio divenendo un ricchissimo monastero di fondazione privata che attestava l'espansione in Emilia degli Obertenghi. Il suo fondatore è il marchese Adalberto II degli Obertenghi, marchese di Massa, duca del Lazio e capostipite della famiglia Pallavicino, una delle maggiori e più antiche casate feudali dell'Italia Settentrionale, annoverata anche come uno dei rami più fiorenti (insieme ai Malaspina e agli Estensi) dell'antichissima stirpe obertenga.

Ebbero potere, i Pallavicino, proprio nell'area tra Cremona, Parma e Piacenza, in cui costituirono uno Stato (detto appunto Stato Pallavicino comprendente Busseto, Zibello, Polesine, Cortemaggiore, Monticelli d’Ongina ecc.), che godette di indipendenza per secoli. Gli Obertenghi erano invece una dinastia longobarda che prese avvio da Oberto I, marchese di Milano e di Genova, conte di Luni, di Tortona, Genova e Milano e reggente della Marca che nel X secolo da lui prese nome, la Marca Obertenga.
Il territorio della Marca comprendeva la Lombardia (con la Svizzera Italiana), l'Emilia ad esclusione di Bologna (poi si aggiunse anche Ferrara), parte del Piemonte (Novara, Tortona e l'Oltregiogo con Novi Ligure, Ovada e la val Bormida) e parte della Liguria e della Toscana, dal Genovesato fino alla Lunigiana e alla Garfagnana, e poi indirettamente anche la Corsica e parte della Sardegna. 
Gli appartenenti alla famiglia avevano il titolo onorifico di Principi di San Colombano e tra i cosiddetti rami cadetti degli Obertenghi c’erano anche i Cavalcabò, antica famiglia feudale di parte guelfa e di origine appunto obertenga, che per alcuni decenni del XIV secolo dominò la città di Cremona.



La famiglia Cavalcabò, considerata la più antica ed illustre della città di Cremona, risale a sua volta a Oberto I Obertenghi, conte di Luni. Secondo la tradizione Adalberto II Obertenghi, nato a Luni nella seconda metà del secolo X morì, pare, a Busseto, il 6 gennaio 1034 (data comunque approssimativa).
Era figlio di Oberto III (morto nel 996) e nipote di Adalberto I degli Obertenghi ed ottenne dall'imperatore del Sacro Romano Impero Corrado II il Salico l'investitura della contea di Aucia e di Busseto, dove si stabilì, facendone la capitale del marchesato, ampliando il borgo, fortificandone le mura ed erigendovi il castello.
Ebbe numerosissimi possedimenti in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia e Toscana con le contee di Milano, Pavia, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Tortona, Acqui, Alba, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Luni, Pisa, Volterra e Arezzo. 

Sposò Adelaide, figlia del conte Bosone di Parma con la quale fondò la chiesa abbaziale e il monastero di Castione Marchesi, frazione di Fidenza. Luogo, quest’ultimo, che può dirsi di fatto la capitale primordiale dello Stato Pallavicino anche se, purtroppo, il titolo di capitale non le è mai stato riconosciuto. La costruzione del monumentale complesso iniziò nel 983 per finire nel 1020 mentre la consacrazione avvenne nel 1033. Adalberto II morì nel 1034 circa e fu sepolto nel monastero di Castione da lui voluto e nel quale ancora esiste la sua lapide sepolcrale, che attesta la morte che sarebbe avvenuta il 6 gennaio 1034. Questa fu rifatta fra il secolo XV ed il XVI ed è murata sul fondo della chiesa abbaziale.

Chiesa nella quale, con ogni probabilità, si trova ancora, appunto, la sepoltura del capostipite dei Pallavicino, mai ritrovata. Tra l’altro la tradizione suggerisce la possibilità che il marchese avesse attuato il progetto per pietà cristiana ma anche per acquistare meriti dinnanzi a Dio in previsione della fine del mondo che, secondo la credenza popolare, sarebbe dovuta avvenire allo scoccare del millesimo anno del’Era di Cristo.
Nel 1486 il sacro edificio passò agli olivetani, avviando una nuova fase. Soppressa nel 1764 da Guillaume du Tillot, fu incamerata dallo Stato nel 1810 con i decreti napoleonici. Solo nel 1948 la parrocchia di Castione Marchesi fu incorporata nella diocesi di Fidenza, segnando un nuovo capitolo della sua storia. Dal punto di vista architettonico, la struttura dell'abbazia conserva importanti tracce della sua antica storia. Della fase romanica rimane la chiesa, considerata una delle più significative fonti sull'evoluzione dell'arte monastica nel protogotico in Emilia. La chiesa presenta una pianta basilicale a tre navate, sulle colonne i capitelli decorati mostrano elementi cistercensi e motivi ornamentali rari, mentre nel 1955 è stato scoperto un antico mosaico pavimentale.

Il patrimonio artistico dell'abbazia comprende anche un bassorilievo quattrocentesco dell'Assunta, un dipinto murale con la Madonna col Bambino e i resti di un meraviglioso chiostro. In epoca barocca, la chiesa si arricchì di intagli lignei pregiati. 
Nell'altare maggiore si trova l'Assunzione della Vergine realizzata nel tardo ‘500 da Fabrizio Sanfedele, un interessante pittore napoletano che si accostò al Caravaggio timidamente, interpretando in chiave veneta, «bassanesca» (Previtali, 1991) il suo moderno uso della luce. Vi si conserva inoltre un dipinto su tela del “Sacro Cuore” eseguito nella primavera del 1957 dal cremonese Giovanni Misiani. Sabato 22 e domenica 23 marzo ecco quindi l’occasione per conoscere e scoprire meglio questo luogo, la sua storia, il suo chiostro, i suoi misteri. Con la speranza, ovviamente, che si possa giungere alla sua messa in sicurezza, con l’aiuto di tutti e chissà che, non si possa anche andare “oltre” e giungere, chissà, anche al restauro e alla sistemazione dell’Abbazia, posta a poche centinaia di metri di distanza, oggi di proprietà del dottor Alberto Testa che ha svolto studi e ricerche su questo luogo (che la sua famiglia possiede da oltre un secolo).

Come lo stesso proprietario ricorda anche in un suo scritto fin dal 1033 è documentata l’esistenza di un “castrum”, castello di legno e terra, “ubi Castillioni dicitur”; si trova menzionato nell’atto con cui il Marchese Adalberto II dona la decima parte del suo patrimonio per la fondazione di un monastero di famiglia.
Oltre a testimoniare concretamente la propria devozione alla Chiesa, nella donazione è chiaro l’intento di marcare il territorio con una presenza religiosa riconducibile al proprio casato, e valorizzate le proprie terre, bonificate spiritualmente e materialmente dai monaci.
Il monastero affidato ai monaci di S.Benedetto divenne in breve tempo un importante centro religioso, culturale ed economico rimanendo sempre legato alla famiglia del fondatore; i Pallavicino mantennero sempre su Castione i loro privilegi signorili. Questa duplice presenza, di un importante ente monastico e di un nobile casato, segnerà le ragioni e il destino del nostro edificio; nato infatti come struttura difensiva, in seguito diviene residenza degli Abati Commendatari di Castione per poi, a causa della soppressione dei privilegi ecclesiastici, decadere a fattoria. La parte più antica è la torre ricostruita nel XIV secolo su una precedente, di cui rimane memoria in un lacerto murario del VI secolo nei sotterranei; andò persa nel 1325 ad opera dei Guelfi di Parma, che la bruciarono prima di abbandonare Castione, per impedire che cadesse nelle mani di Galeazzo Visconti.

Ridotta a “magna ex parte stratum ruinis” rimase tale per molti anni fino alla ricostruzione voluta da Bernabò Visconti in danno dei Pallavicino di Busseto. Secondo l’Angeli determinante sulla decisione del Duca di Milano fu sua moglie, Regina della Scala, che nutriva un odio profondo per i Pallavicino e un particolare “aveva a schifo Nicolò Pallavicino” e gli era “nimica a spada tratta”.
I rapporti tra i due casati si normalizzarono solo con l’avvento di Galeazzo Visconti; il che permise ai Pallavicino di tornare in possesso della rocca. 
In un atto notarile datato 7 Gennaio 1440 la rocca di Castione risulta appartenere al Marchese Rolando Pallavicino “Il Magnifico”. Alla fine del XV secolo la rocca viene acquisita dagli Abati Commendatari di Castione Marchesi e da ciò deriva il toponimo “Abbazia”, che conserva tuttora. Nel 1480 l’ha in commenda il milanese Daniele Birago protonotario apostolico e in seguito vescovo di Mitilene, il quale trasforma la rocca in residenza e centro amministrativo del suo ricco patrimonio fondiario.

La Commenda è un istituto che prevede l’affido, da parte del Papa, di un convento e dei suoi beni in godimento ad un prelato di alto rango, vescovo o cardinale. In generale i commendatari non si inserivano nelle cose riguardanti la disciplina e la vita monastica, demandando il compito ai priori, ciò non di meno, in molti documenti traspare l’insofferenza dei monaci nei loro confronti. Talvolta l’insofferenza diviene livore e vengono apertamente accusati di assenteismo, di sperperare i beni conventuali e di non occuparsi del culto in pubblico. Quest’ultima accusa trova riscontro nel grazioso oratorio dell’Abbazia, di minime dimensioni, atto ad accogliere solo la preghiera privata dell’Abate e del suo seguito. Al suo interno racchiusa in una ricca cornice di stucco vi era una elegante Annunciazione, di autore ignoto.
L’opera, a causa delle condizioni in cui oggi versa l’edificio, è stata tolta e messa in un luogo sicuro dal proprietario. Il quadro sul retro riporta la seguente dedica in latino
“ABATIE S.MARIAE Castioni Marchionum Felix Marchio Spinola Ianuen Georgj Spinola S.R.E. Presbiter Cardinal eiusdem abatie Commendator frater ed xaraes D.D. Anno Dom. MDIXXXX”. 
Come si può evincere dalla traduzione, il quadro venne donato all’Abbazia di Castione Marchesi dal marchese Felice Spinola, genovese, fratello ed erede di Sua Eccellenza Reverendissima il Cardinale Giorgio Spinola commendatario della stessa. “Gli Spinola – ricorda ancora il proprietario Alberto Testa nella sua relazione – strettamente legati ai Pallavicino da vincoli di parentela, ressero per molti anni, insieme alla famiglia Doria, le sorti di Genova fornendo alla Repubblica Marinara innumerevoli consoli e senatori. Disponiamo di due immagini, che ci offrono una vaga idea dell’aspetto a quel tempo. 
La più antica si trova nella biblioteca del monastero di S.Giovanni Evangelista di Parma su una carta prospettica del Parmigiano e del Piacentino del 1575, affresco opera dei bolognesi Gian Antonio Paganino ed Ercole Pio. La seconda, più recente, in una mappa topografica del 1763, in cui appare circondata dal fossato.

La presenza ecclesiastica cessa nel 1810 con le soppressioni rivoluzionarie degli ordini religiosi: l’Abbazia con tutto il suo ricco patrimonio terriero viene incamerata dagli Ospizi Civili di Parma per volontà del governo napoleonico. Diventa una grande fattoria e da questo momento non subirà più grandi cambiamenti; ancora oggi ci appare così come era allora: un edificio che mantiene intatto il fascino delle cose antiche e ci parla di come vivevano e lavoravano i suoi abitanti. 

Al centro l’antica torre, ad ovest di questa l’arsenale, il tinaio collegato con l’ampia cantina e il grande granaio, ad est la bucataia, l’officina del fabbro, il caseificio e le modeste abitazioni dei lavoratori. Un’accurata descrizione della proprietà dell’Abbazia si trova in un atto di consegna – Stato di Luogo – per una affittanza agricola del 1906. 
Non più funzionale alla moderna agricoltura l’Abbazia fu abbandonata una ventina di anni fa e oggi giace nella campagna disabitata e parzialmente in rovina, pallida e non facilmente decifrabile testimonianza di fatti di cui, per lo più, sono andati persi ragioni e memoria. All’Abbazia, come si evince dalle ricerche storiche effettuate dal proprietario, sono legati anche nomi importanti che si intrecciano profondamente anche con la storia lombarda e cremonese.
Fra questi, come già evidenziato, quello di Bernabò Visconti, che in seguito all’incendio causato dai Guelfi di Parma, ne volle la ricostruzione, a danno dei Pallavicino di Busseto. Va quindi ricordato che, dei dodici Visconti che segnarono le sorti di Milano in epoca medievale, Bernabò fu il più terribile, crudele e sanguinario. A lui sono tra l’altro legate numerose leggende. Morì nel castello di Trezzo d’Adda (Bergamo), ucciso per volere del nipote Gian Galeazzo. 
Altri nomi importanti, legati all’Abbazia, sono quelli dei cardinali Giorgio Spinola e Daniele Birago, che in epoche diverse la ebbero in commenda. Daniele Birago fu uno dei prelati più in vista della Milano sforzesca; fu protonotario apostolico e vescovo di Mitilene (Grecia). Giorgio Spinola (Genova 1667 – Roma 1739), fu arcivescovo di Cesarea, governatore di Viterbo, nunzio in Spagna e a Vienna; cardinale nel 1719, legato a Bologna, fu segretario di Stato di Papa Innocenzo XIII (1721) e vescovo di Palestrina.

Eremita del Po
Paolo Panni

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