Una giovane Rose Montmasson (www.inmiamemoria.com) |
Ed ecco Rose Montmasson, detta Rosalia (Demi-Quartier Francia 1823/ Roma 1904) moglie di Francesco Crispi.
Patriota convinta, nasce in Alta Savoia, allora parte del Regno di Sardegna, in una famiglia di coltivatori, piccoli proprietari terrieri. Frequenta le scuole elementari e intorno ai quindici anni aiuta la famiglia nel lavoro dei campi. Forse in seguito alla morte della madre decide di lasciare il piccolo borgo natio ed emigrare. Va prima a Marsiglia, poi a Torino, dove lavora come lavandaia e stiratrice.
Non si sa di preciso dove avviene l’incontro con il “cospiratore” Francesco Crispi: lui scrive di averla conosciuta nelle carceri di Palazzo Madama dove era rinchiuso prima di essere espulso da Torino. In pochi giorni comunque nasce l’amore con l’esule siciliano con cui va a convivere, e che mantiene con il suo umile lavoro.
Crispi aveva avuto una moglie e due figli, morti giovani di colera; ma nasconde una relazione con una donna della sua terra, da cui era nato un figlio, la quale fa sentire la propria gelosia, incrinandone il rapporto nei primi anni.
A Malta dove si trasferiscono, Rose continua a lavorare per mantenere il suo compagno, incontra gli esuli italiani, partecipa alle loro riunioni, conosce alcuni patrioti che rimarranno suoi amici, ma ne ammira uno lontano, da tutti venerato e chiamato “Il maestro”: Giuseppe Mazzini.
Crispi dirige un giornale politico, “La Staffetta”. I suoi articoli infuocati sono sempre al vaglio della censura e diventano causa dell’espulsione dall’isola.
Prima della partenza di lui per l’esilio a Londra, nel 1855, i due si sposano con una cerimonia religiosa, nonostante l’amico Tamajo cerchi di dissuadere Francesco dal compiere “questo grave atto” con una donna tanto dissimile dalla sue condizioni e dalle sue aspirazioni, essendo lui un avvocato.
Rose raggiunge il marito a Londra, non prima di passare in Savoia a trovare la famiglia e a mostrare al padre la sua condizione di moglie legittima.
Nella capitale inglese i coniugi iniziano un intenso periodo di cospirazione, intimi di Mazzini, del quale Crispi diviene un fidato collaboratore.
Nelle riunioni si progettano atti di ribellione nella penisola italiana, come il viaggio di Pisacane e i tentativi di insurrezione di Genova e Livorno.
La loro attività sovversiva è sotto il controllo dell’autorità inglese, per cui, per confondere le idee, vanno in giro come turisti: visitano il British Museum, altre collezioni e mostre, e partecipano alla presentazione di libri di poesie. Conoscono Antonio Panizzi, carbonaro, originario di Brescello, condannato a morte in patria, diventato là direttore della Biblioteca del British.
La coppia viaggia poi per l’Europa e si stabilisce per qualche anno a Parigi.
Mazzini coinvolge Rose, che ha imparato l’inglese e il francese, nella congiura, con il ruolo di staffetta, e, per lei è un periodo di grande attivismo: spesso viene incaricata di portare ai vari comitati insurrezionali messaggi, volantini e anche armi che nasconde sotto i vestiti o, enfatizzando il suo aspetto contadino - lei, non bella ma con le trecce bionde - in grandi panieri di frutta o verdura, facendo la spola Londra-Calais-Parigi.
Nel frattempo si prepara la Spedizione dei Mille, l’impresa più coraggiosa e ardimentosa del nostro Risorgimento, che avrà eco in tutto il mondo.
Nell’aprile del 1860 Rose si mette in viaggio via mare con il postale: in meno di un mese va da Genova in Sicilia, dove anticipa la notizia dell’imminente arrivo di Pilo e di Garibaldi a diversi comitati cittadini; quindi si imbarca per Malta per informare i suoi amici patrioti. Da Malta torna a Genova in tempo per chiedere il permesso di partire con la spedizione, ma Crispi non approva.
Lei si reca allora da Garibaldi in persona che glielo concede dicendo:
“Venite a vostro rischio e pericolo, io non posso rispondere di nulla”.
Garibaldi aveva accettato anche la richiesta di un’altra donna, Felicita la Masa, che, comunque, viene convinta dal marito a rimanere per proseguire il proprio impegno politica a Brescia.
Rose è dunque l’unica donna, vestita da uomo, a partire da Quarto, sul “Piemonte” guidato da Nino Bixio, la sera del 5 maggio, in direzione Marsala.
Durante il primo scontro con i Borbonici, i Garibaldini restano feriti in gran numero, e lei si spende come infermiera per curarli ed assisterli.
Sarà preziosa a Calatafimi dove soccorre i feriti anche in battaglia.
Si guadagna così, sul campo, l’appellativo di “Angelo di Calatafimi” (In questo modo molti anni dopo la chiamerà, riconoscendola per strada, uno dei Mille, suscitando verso di lei, ormai vecchia e malmessa, la sincera ammirazione di tutti gli astanti).
È ricordata anche come “Angelo dei Mille”.
Il popolo siciliano comincia a chiamarla Rosalia dal nome di una delle sante più venerate in Sicilia.
Nei giorni dell’impresa siciliana, decisiva e sanguinosa, sono presenti anche altre donne. Tra quelle, Rosalia conosce Jessie White, giornalista e infermiera inglese, sposata a un fedelissimo di Garibaldi, Alberto Mario. I garibaldini, poi, da mille diventano trentamila, giungendo in soccorso aiuti volontari da tutta Europa.
A Napoli, nei concitati giorni che precedono i plebisciti, Rosalia riesce ad evitare l’arresto del marito gridando dalla finestra “Vogliono arrestare Crispi!”, provocando una reazione popolare che lo salva.
Dopo l’Unità d’Italia, il 17 marzo 1861, il patriota siciliano viene eletto parlamentare e con Rosalia si trasferisce a Torino, capitale d’Italia.
I parlamentari, però, non vengono pagati: la carica è di prestigio, ma non remunerata; e la moglie di un deputato non può più fare i lavori umili che li avevano mantenuti in passato. Poco considerati poi dai piemontesi, il loro rapporto si incrina: lui assorbito dagli affari di governo, lei in un ruolo di moglie poco colta e inadatta a frequentare i salotti dei nobili politici e della ricca borghesia.
Le cose vanno meglio quando la capitale viene trasferita a Firenze: il deputato comincia a lavorare come avvocato, e tutti fanno a gara per invitare Rosalia, lei, la sola eroina dei Mille, amica di Garibaldi – che le manda i saluti in tutte le lettere che scrive a Crispi e le invia anche una ciocca dei suoi capelli – di Mazzini, di Cattaneo e di tutti i grandi del Risorgimento.
Viene accolta a corte, e si fa amica dell’amante del Re, la bella Rosina. Il salotto di casa Crispi diventa il salotto politico per eccellenza e di quel salotto lei è la regina incontrastata. È in questo periodo che alcuni dei Mille le regalano una croce di diamanti che Rosalia porterà sempre con grande orgoglio insieme alla Medaglia dei Mille (“È mia perché io ero con loro”).
Trasferita la capitale a Roma, nel 1871, Crispi diventa sempre più importante per la politica, abbandona i repubblicani per schierarsi con i monarchici, e lei considera questo un tradimento degli ideali per i quali avevano combattuto.
Il loro rapporto peggiora, anche perché lui inizia una relazione con una giovane nobile leccese, Lina Barbagallo, da cui nasce una figlia.
La donna pretende che il deputato si separi dalla moglie.
Rosalia non accetta, ma tutti si mettono contro di lei, pronti a testimoniare il falso pur di aiutare l’amico ormai influente, parlamentare della Sinistra storica.
Alla fine Rosalia accetta la dolorosa separazione con un “accordo” - cui è presente quell’amico Tamajo che a Malta aveva cercato di dissuadere Francesco - che prevede un piccolo vitalizio.
Crispi diventa Ministro dell’Interno nel 1877, nel gabinetto Depretis. Nel gennaio dell’anno dopo, sposa civilmente a Napoli la sua nuova fiamma, di venti anni più giovane, e riconosce come sua la figlia. Cerca, però, di tenere nascosto il matrimonio, chiedendo la dispensa delle pubblicazioni, causa una non meglio identificata malattia della moglie, per affrettare le nozze.
Rose apprende del matrimonio a cose fatte, e non essendoci state le pubblicazioni, non può neppure opporsi. Il fatto è gravissimo perché sembra che il nuovo matrimonio sia un segreto da tenere nascosto. Nonostante la riservatezza, la notizia trapela e viene addirittura pubblicata su “Il Giornale di Napoli”.
Scatta, così, l’accusa di bigamia e scoppia lo scandalo.
La regina Margherita di Savoia si schiera a fianco di Rosalia e considera inopportuno il ruolo di Ministro svolto dal parlamentare siciliano. La storia viene ripresa da tutti i giornali nazionali, compresa la Gazzetta di Parma.
Montmasson che nel frattempo si era allontanata dalla scena pubblica tenendo un profilo basso, si vede suo malgrado sotto le luci dei riflettori. Si nasconde, non esce di casa, non concede interviste, ma lo scandalo diventa politico e, sotto accusa finisce il sistema giudiziario che aveva concesso il nulla osta al matrimonio. Chiede allora, ed ottiene, un colloquio al Quirinale con la regina Margherita che aveva molta ammirazione e stima per lei, considerata un nobile modello per le italiane.
Nell’incontro afferma con sicurezza di essere stata legalmente sposata, perché non avrebbe mai osato presentarsi a corte e alla Regina come signora Crispi, se ciò non fosse stato vero.
Diversamente il marito sostiene che il matrimonio è nullo perché officiato da un prete scomunicato (sospensione dimostratasi inesistente), ma la Regina arriva a negargli il saluto pubblicamente, convinta della sua bigamia, dopo aver preso visione della copia fotografica dell’atto di matrimonio.
Depretis consiglia a Crispi di dare le dimissioni, ma lui si rifiuta, allora Depretis rassegna le dimissioni dell’intero gabinetto - del primo governo della storia d’Italia - al re Umberto I, per cui non ha altra scelta.
Partono le indagini per bigamia, reato per il quale, allora, si rischiavano sette anni di carcere. Alla fine, con la formula “Non luogo a procedere”, Crispi viene assolto, nonostante Rosalia avesse copia dei documenti, e Malta e la Chiesa li ritenessero validi. Il matrimonio maltese viene dichiarato non valido in Italia.
Il verdetto riabilita Crispi, ma la sua immagine ne esce offuscata.
Nel frattempo Rosalia abita a Roma, in Via Torino, dove ogni tanto un gruppo di donne si reca a visitarla, per farsi raccontare le avventure garibaldine. Veste elegante, si dedica al ricamo e si circonda di gatti.
Muore nel 1904 e il Comune di Roma le mette a disposizione una tomba nel cimitero del Verano. Aveva chiesto di essere sepolta con la camicia rossa: volontà che viene rispettata, e su un cuscino davanti al feretro vengono poste le sue medaglie, testimonianza della sua vita.
Nascosta in una carrozza, schiacciata dal peso degli anni e dal cognome, partecipa alla cerimonia Maria Crispi, sorella maggiore di Francesco (lui era morto nel 1901).
La foto di Rosalia Montmasson, unica donna, è nell’Album dei Mille di Alessandro Pavia. La raccolta dei ritratti dei Garibaldini - con 850 fotografie carte de visite su 1.089 partecipanti all’impresa – è un’opera messa insieme a fatica dal fotografo genovese, dopo il 1860, per farne un prezioso ricordo degli eroi del Risorgimento. Ideata per le “Cento biblioteche delle cento città d’Italia e per i superstiti dei Mille”, causa l’alto costo e le generali scarse condizioni economiche, non ebbe il successo sperato.
Delle sole sei copie complete vendute (alcune pagine saranno cedute sciolte), una è preziosa gemma del nostro Museo del Risorgimento. Una copia si trova a Londra, due sono a Roma, una a Palermo, una nel Museo del Risorgimento di Milano.
Jessie Jane Meriton White, fotografia. |
Un doveroso ricordo, infine, anche per la già citata Jessie Jane Meriton White (Gosport Inghilterra 1832/ Firenze 1906) coniugata Mario, reporter britannica naturalizzata italiana, tra le più importanti documentariste del Risorgimento e assertrice della causa italiana soprannominata “Miss uragano” e la “Giovanna d’Arco della causa italiana” da Mazzini.
Nasce in una famiglia inglese di ricchi armatori e costruttori di velieri, che con l’avvento del battello a vapore va in rovina. Studia a Londra dove frequenta Emma Roberts, amica dei genitori, ricca vedova legata a Giuseppe Garibaldi. Prosegue gli studi alla Sorbona di Parigi e nel settembre 1854, con Emma e su invito di Garibaldi, compie un viaggio a Nizza e in Sardegna per una caccia al cinghiale.
A Caprera fortemente attratta dalla personalità del generale, decide di restare in Italia e dedicarsi alle lotte per l’indipendenza, di cui scrive come inviata del “Daily News”.
L’anno dopo torna a Londra per iniziare gli studi in medicina, ma alla Facoltà le rifiutano l’iscrizione perché donna. Lei non si rassegna, ama la professione medica e dedicherà gran parte della sua vita all’assistenza dei malati e dei feriti, in particolare durante le guerre risorgimentali italiane.
Su incitamento di Mazzini che incontra e frequenta a Londra, inizia la ricerca di denaro a sostegno delle iniziative patriottiche dell’esule. All’uopo traduce in inglese il libro di Orsini Le prigioni austriache d’Italia, che vende ben 35.000 copie.
Nel ’57 si trova coinvolta nel moto mazziniano di Genova. Arrestata e imprigionata con altri patrioti, conosce Alberto Mario, fervente mazziniano e scrittore veneto.
Con lui è liberata e esiliata: cinque mesi dopo si sposano in Inghilterra con rito civile. Nel ’59 si trasferiscono a New York per far conoscere la causa italiana con incontri e conferenze. Rientrano in Italia: Mario segue Garibaldi in Lombardia, lei partecipa come infermiera alle varie imprese. Vengono ancora arrestati ed espulsi. Si rifugiano in Svizzera, ma nel 1860 si imbarcano a Genova con la seconda ondata di volontari per raggiungere il comandante in Sicilia.
Jessie nel frangente, mette in luce il suo eroismo, la sua resistenza fisica, il coraggio, l’ottimismo, le sue qualità di organizzatrice e il suo amore caritatevole nella cura dei feriti, e viene chiamata “Infermiera dei Mille”. Segue poi con il marito, Garibaldi, dalla Sicilia a Napoli.
Per il suo impegno, a campagna finita, in segno di gratitudine, riceverà dai Napoletani due medaglie d’oro.
Continua comunque la sua attività giornalistica e scrive come corrispondente dall’Italia per “The Nation”, “Morning Star”, “Scotsman”, e la “Naciòn” di Buenos Aires, facendo conoscere al mondo intero l’impresa italiana.
Nel ’62 raggiunge Garibaldi in Aspromonte e assiste il medico che lo cura per la ferita riportata nello scontro con l’esercito regolare piemontese, occupandosi dell’anestesia. Nel ’67 è ancora al suo fianco nella battaglia di Mentana.
Nel 1870, in contrasto con il marito che abbandona le strategie politiche mazziniane e garibaldine, segue il generale nella campagna dei Vosgi in Francia.
Qui incontra il “nostro” Luigi Musini, presente come ufficiale medico
(Una grande foto - formato gabinetto - là scattata nel marzo 1871, visibile nella raccolta del Museo cittadino, ritrae Jessie White con Musini e Davis - altro garibaldino - in uniforme, a figura intera).
D’ora in poi lascerà i campi di battaglia e il ruolo di “Inviata di guerra” per dedicarsi alla scrittura di libri di memorie.
Il suo più importante scritto, resta l’inchiesta condotta sulle condizioni dell’Italia meridionale, uscita prima in una serie di articoli su “Il Pungolo”, poi nel volume La miseria in Napoli.
Per documentarsi, visita ogni angolo della città, passa al setaccio la società in tutti i suoi aspetti e vede che larga parte della popolazione vive in grotte, in condizioni sanitarie pietose. Descrive allora i bassi, i brefotrofi, gli ospizi, le carceri, i luoghi della povertà estrema, della prostituzione e della criminalità.
In quel libro, giunta ormai a una fase della vita in cui poteva guardare gli eventi vissuti con distacco, esprime anche il suo pensiero politico sulla forma di governo alla quale l’Italia deve pensare, in stretto rapporto con la necessità di dare soluzione alla disuguaglianza sociale:
“Ora inutile parmi discutere sulle forme di Governo. Monarchia oggi. Repubblica unitaria o federale domani: finché le moltitudini sono condannate all’ignoranza assoluta, e ad intollerabile sofferenza, il corpo sociale non può risanare, né l’anima sociale rigenerarsi. Base del sistema del Mazzini è il dovere. E il dovere implica una cosa da farsi. Nel passato era dovere creare una patria, perciò bisognava cospirare, tentare, ritentare, sfidare prigione e morte sulla forca o sulle barricate. Oggi la patria esiste, e il dovere parmi consista nell’aiutare tutti gli Italiani a rendersi degni dei nuovi destini, affinché quella divenga fautrice di bene e di progresso dell’umanità”.
Si occupa anche del problema della pellagra nelle campagne, data dalla cattiva alimentazione dei braccianti; della salute dei minatori nelle solfatare siciliane, denunciando il lavoro minorile; della questione scolastica e dell’analfabetismo, che diffonde la criminalità. Descrive i briganti come nemici reazionari alleati dei clericali; denuncia l’eccessiva ingerenza della Chiesa cattolica nelle organizzazioni assistenziali, e rimprovera alle donne italiane un atteggiamento passivo nei confronti del potere maschile.
Molto successo hanno le sue biografie dei patrioti del Risorgimento.
Dopo la morte del marito nel 1883, ne raccoglie gli scritti, che pubblica con il sostegno di Giosuè Carducci.
Negli ultimi anni impartisce lezioni di inglese al Magistero di Firenze, e in quella città muore, in povertà.
Le sue ceneri riposano nel cimitero di Lendinara, accanto al marito, il principale patriota polesano, originario di quel comune nei pressi di Rovigo.
Fidenza 21 marzo 2023 Mirella Capretti
Non conoscevo bene la storia di queste donne coraggiose! Grazie Mirella, è sempre un piacere leggerti!
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