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venerdì 13 ottobre 2017

Il medioevo raccontato da Umberto Primo Censi e Gianandrea Allegri e la Faida Borghigiana

Maria Pia Bariggi con Gianandrea Allegri e Umberto Primo Censi

Mercoledì 27 settembre Umberto Primo Censi e Gianandrea Allegri, invitati a spiegarci se, come, quando e perché l'asino volò, prima s'offendono della insolita richiesta metastorica poi, riprese le sembianze loro di veri storici, ci spiegano il tutto. 


L’incontro è stato introdotto da Maria Pia Bariggi, assessore alla cultura. Al termine Censi ed il suo collega Allegri hanno risposto ad alcune domande e richieste di precisazioni venute dal pubblico mentre Maria Pia Bariggi, non smentendo la sua lunga esperienza didattica, ha sviluppato una breve sintesi di quanto emerso nel ricco incontro.  
L'iniziativa era propedeutica alla rappresentazione scenica del "Volo dell'Asino" in Piazza della Repubblica il 7 ottobre 2017 che come sappiamo ha riscosso un eccellente successo di pubblico. 
Qui sotto riportiamo il testo della conferenza di Umberto Primo Censi e di Gianandrea Allegri.


Mappa dell'Archivio Di Stato Parma
"La faida borghigiana Pallavicino-Pincolini
e la sua composizione"

Buona sera a tutti e ai Borghigiani-Fidentini un serenissimo San Donnino. Mi è stato cortesemente chiesto di tenere una comunicazione in questo splendido Ridotto, ringrazio l'Amministrazione comunale, rappresentata della prof. Maria Pia Bariggi, per l'opportunità offerta.
Da 7 anni con l'amico Gianandrea Allegri approfondiamo la Storia di Borgo San Donnino nel Medioevo. Pian piano sono emersi molti fatti, alcuni noti, altri nascosti o dimenticati, altri ancora più o meno negletti. 
Tra quelli sovente celebrati emerge la composizione del conflitto tra Pallavicino e Pincolini(1220).
Per la verità, nei 15 anni che vanno dal 1220 al 1235c., a Borgo vi furono tanti eventi importanti di cui ne ricordo alcuni. 
1) Nel dicembre del 1220 Federico II, ricordato come "stupore del mondo", subito dopo l'incoronazione a Roma rilasciò un famoso diploma ai "fedeli castellani" Borghigiani sancendo a Borgo, appartenente in modo speciale alla Camera dell'Impero, l'esercizio dell'alta e bassa giustizia (merum et mixtum imperium). 
2) Dopo 6 anni nella Chiesa di S. Donnino, durante la permanenza dello stesso imperatore durata circa 2 mesi, contornato dalla corte e da circa 1000 uomini del seguito, al termine della dieta convocata qui vicino nell'accampamento della "Salmeria", mise al bando le città della rinata Lega lombarda che si erano ribellate alla sua autorità e all'impero. 
3) L'anno successivo il giudice Ugo procedette a definire i confini del distretto territoriale di Borgo. 
4) Infine, verso il 1235, il Comune borghigiano promulgò gli Statuti, cioè le leggi che sarebbero entrate in vigore nel suo territorio.
Innanzi a tali fatti straordinari e non solo per Borgo, mi ha stupito che tra quelle pepite oggi sia stato invitato a mostrarvi una pagliuzza, costituita non tanto dalla composizione della faida tra Pallavicino e Pincolini, ma dalla celebrazione di quell'evento nel 1955 del secolo scorso (forse preceduta da una analoga nel 1905), culminata in una simulata battaglia tra figuranti in costume. In altre parole si è un medievalismo, cioè la rappresentazione, più o meno romanzata e plausibile, d'un fatto non proprio di primo piano. 
La rivisitazione assomiglia a quella avvenuta alla metà dell"800 a Siena quando si decise di travestire con costumi medievali rinascimentali la sfilata dei personaggi del Palio delle Contrade. Niente di nuovo: l'Ottocento è ricchissimo di medievalismi: si pensi alle opere di Giuseppe Verdi "La Battaglia di Legnano", "I vespri siciliani, "I Lombardi alla prima crociata" e ai dipinti omonimi di Francesco Hayez altrettanto pregevoli, anche se meno famosi.
Qualora il motivo della scelta risieda nei principi etico-morali della pacificazione e della fine delle contese, occorre dire che la storia, di solito, ne tiene poco conto.
Introducendo il tema della faida tra Pallavicino e Pincolini, mi sia consentito d'iniziare a mia volta con un'altra narrazione. Per la verità più che di una narrazione, si tratta d'una deformazione o ancor meglio di rifrazione ottica rappresentata dal mito della "cortesia cavalleresca". 
Dante nel "Convivio" si soffermò su quel costume con languore nostalgico: "Onestade e cortesia è tutt'uno. Nelle corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, sì come oggi s' usa il contrario". 
Il rimpianto espresso da Dante per il tramonto della cortesia cavalleresca, situata in un passato indistinto, induce a credere che l'immagine e la consistenza di quei modelli esistessero in primo luogo nella sua mente, costituendo uno dei tanti esempi della topica della lode del bel tempo perduto (laudator temporis actz) o del mito dell"'età dell'oro" 
All'esame della critica storica il garbo, le buone maniere e la gentilezza contavano tanto quanto la perizia venatoria, il cavalcare in modo elegante e assai meno della destrezza e del coraggio esibiti durante giostre e tornei. Gradita era l'arte d'intrattenere piacevolmente le signore con una conversazione leggera e scherzosa; apprezzata la fama d'invincibilità nel gioco degli scacchi (uno dei 2 giochi consentiti dagli Statuti di Borgo, l'altro era il gioco ad tabulas con le pedine di cui parla Francesco Petrarca), tranne però con le dame, poiché era segno di cavalleria, come racconta in una novella Giovanni Boccaccio, concedere loro di vincere la partita.


La poesia e la cultura cavalleresca delle Chansons de geste d'origine francese entrarono in Italia attraverso le vie dei pellegrini e quei temi con i loro archetipi figurativi lasciarono un'impronta a Borgo nei bassorilievi della cattedrale che illustrano la leggenda di Berta e Milone, madre e padre dell'eroe Orlando. 
Se la poesia cavalleresca aveva una diffusione limitata alle corti dell'alta aristocrazia, i poemi epici e i romanzi cavallereschi ebbero indubbiamente una divulgazione più ampia. Anche nell'onomastica si possono cogliere tracce di quell'influenza considerando la propagazione di nomi quali: Orlando, Rolando, Oliviero, Rinaldo, Ruggero e Galvano, naturalmente a livello delle famiglie di primo piano o più sensibili a quei richiami.
A questo punto bisogna però fare chiarezza per evitare la persistenza di miti e di medievalismi "incipriati". 
La cortesia cavalleresca, ben più che ispirare i comportamenti concreti, o restava legata a una letteratura e a racconti d'evasione oppure costituiva semplicemente un involucro esterno. 
Nello specchio letterario "l'alta società" del tempo si contemplava o, piuttosto, guardava e ammirava l'immagine "cavalleresca" che desiderava offrire di se Johan Huizinga, che pure amava i colori accesi del tramonto e le tinte autunnali rutilanti del Medioevo, da par suo, esprimeva questi concetti in modo molto più efficace: "Nella civiltà alla fine del Medioevo l'abbellimento delle forme della vita aristocratica con gli orpelli dell'ideale, con la luce artificiale del romanzo cavalleresco sparsa sulla vita e la società appariva camuffato con le vesti pompose della Tavola rotonda. Il divario tra le rappresentazioni della vita e la realtà è troppo grande; la luce è falsa e abbaglia"
Dopo quanto detto bisogna ricercare altrove i modelli culturali concreti ispiratori della vita di milites e nobili. Al riguardo non compaiono novità: il primo posto spettava al potere, poi il possesso di terre e uomini, quindi la guerra e il denaro, solo piuttosto in basso compariva l'onore che veniva difeso e tutelato non con la cortesia, ma con le rappresaglie e la vendetta tipiche della faida in quanto risposta alle offese che ferivano l' onore.
La faida, un termine germanico (fëhida) latinizzato e quindi italianizzato, costituiva il modo consueto con cui le famiglie tutelavano e accrescevano il prestigio dei lignaggi. 
Nella primissima fase della vita cittadina, anche crimini molto gravi, come l'omicidio, erano soggetti a giustizia negoziata tra l'autore e l'entourage della vittima.  Anche successivamente tra quelle stirpi la vendetta era ritenuta una prerogativa perfettamente praticabile accanto a quella esercitata dalla giustizia pubblica. 
Gli Statuti di Parma del 1315 sancivano che la vendetta di sangue non dovesse compiersi sulla pubblica piazza, se non era proprio indispensabile. Andrea Zorzi e Jean-Claude Maire Vigueur hanno dimostrato che la faida possedeva un'importante funzione socio-politica e, in quanto elemento  'equilibratore dei conflitti", serviva anche a comporli.  
Quegli scontri scaturivano dalla competizione per accaparrarsi cariche nelle magistrature del comune, da liti per divisioni ereditarie, da contese per impossessarsi di benefici ecclesiastici, da scambi di donne tra famiglie poiché il mercato matrimoniale e quello immobiliare avevano frequenti punti di contatto e di frizione. Chi ha  approfondito il tema negli ambiti della città di Parma, condivide la tesi secondo cui i tentativi di mediazione e i percorsi di conduzione degli scontri tra lignaggi in epoca comunale devono essere liberati tanto dallo sprezzo verso ciò che alcuni potrebbero definire "sopravvivenze barbariche o feudali" quanto dal "paradigma" statolatrico", cioè dalla fiducia, talora ottimistica, per il culto dello stato e della sua giustizia.  
Nello specifico del tema un errore grossolano o una leggerezza (che mi dicono siano stati commessi) è stato quello di etichettare come Ghibellini i Pallavicino e Guelfi i Pincolini. Storicamente quei termini compaiono in Italia nel 1246 13, cioè 25 anni dopo il lodo scaturito dal compromesso che pose temine alla lite.
La faida provocava non solo conflitti, ma anche alleanze tra stirpi rivali di altri lignaggi, non era mai sfrenata, anzi obbediva a regole rigorose. che, se rispettate, li disciplinava. Anzitutto la faida per potersi dispiegare esigeva tempo per accordarsi sui modi, sui tempi per attuarla, su chi colpire e, durante questa pausa gli ardori di vendicare immediatamente l'offesa potevano sbollire. 
Dopo aver ricevuto un affronto, si discuteva a lungo all'interno delle famiglie appartenenti al medesimo lignaggio, coinvolgendo anche i membri della consorteria o della fazione a cui la stirpe apparteneva. Si soppesavano diverse opzioni commisurate alla gravità dell'oltraggio: quelle dei "falchi" si contrapponevano alle proposte delle ''colombe"; si ragionava sulle possibili risposte ricercando una mediazione tra i pareri emersi e solo dopo si ricorreva all'azione. In secondo luogo la faida dava luogo a tentativi di pacificazione, compromessi, mediazioni e arbitraggi. 
Tra gli storici francesi si confrontano due diversi approcci: il primo di carattere antropologico struttural-funzionale, il secondo di tipo psicologico-emozionale: entrambi sono accettabili e possono integrarsi. Detto questo, la faida comunque non era certamente "un mezzo per l'attuazione del diritto, ma principalmente lo strumento per tutelare e promuovere l'onore della famiglia. Il conflitto tra i Pallavicino e i Pincolini, che datava da lungo tempo, sanato dal notaio Alberto Schivabagno nel 1220, può venire classificato tra le contese originate per l'esercizio di diritti riguardanti benefici ecclesiastici. 
Non siamo affatto certi che la pacificazione tra quelle casate sarebbe stata più equa e soprattutto più efficace qualora la questione fosse stata ventilata(discussa) innanzi al podestà di Borgo o di Parma. Il principio del potere dello stato che esercita il monopolio della violenza legittima, di cui parla Max Weber, non si era affermato ed è fuorviante evocarlo come termine di confronto. Tra le funzioni svolte dai podestà, che garantiva il mantenimento del  'pacifico stato della comunità", vi era anche quella di avviare e ricercare una composizione alle liti che sfociavano in una soluzione extragiudiziale. Inoltre occorre ricordare anche che non tutti potevano permettersi d' affrontare un processo a causa del suo costo per le spese anticipate a procuratori, fideiussori, per cauzioni, pareri di periti esperti e tasse varie procedurali. Gli Statuti di Borgo non proibivano la vendetta né puntavano alla sua soppressione, anzi la riconoscevano e nei capp. 272 e 273 era previsto che le penalità applicate per chi rompeva  l'accordo venissero corrisposte per metà al Comune e per metà alla parte offesa. Insomma è improprio ritenere la faida un costume atroce e incivile, poiché consisteva nell'organizzazione e nella gestione del conflitto anche ai fini di una composizione.
Un'osservazione riguardante l'aspetto militare si rende, a questo punto, necessaria: nel Medioevo era impossibile distinguere il mondo militare da quello civile; non solo, ma esisteva un rapporto tra la prerogativa di portare armi e l'accesso al godimento pieno dei diritti civili e politici. In altre parole era consentito il loro uso non solo per difesa, ma anche quando chi aveva subito un'offesa intendeva ricorrere alla vendetta privata. Per i nobili il ricorso alla vendetta (vindictam sumere, sumere ultionem) costituiva un segno del proprio status. D' altra parte la spada costituiva il simbolo dell'uomo libero. In epoca altomedievale la Chiesa proibiva di portarla solo ai peccatori pubblici e in età comunale era lecito usarla per la difesa della Chiesa Romana (lmpugnationis arma secum fratres non deferant, nisi pro defensione Romanae Ecclesiae, christianae fidei, vel etiam terrae ipsorum de suorum licentia ministrorum). 
La medievistica italiana, salvo eccezioni, continua a considerare di dubbio gusto occuparsi di guerra. Il disinteresse, quale ne sia il motivo, ha scarse giustificazioni. La guerra, piaccia o non piaccia, è fenomeno onnipresente che pervade tutta l'età medievale sotto l'aspetto politico, economico, sociale,  culturale, tecnico e morale.
In ambiti locali, la prova definitiva della liceità della faida è contenuta negli Statuti di Parma della metà del '200 in cui si affermava che il podestà avrebbe applicato una multa a chi portasse armi "desuete" come lo schinibio (una daga a lingua di bue), il burdone (forse un bastone "animato"), il lanzone (o "lanzalonga" asta lunga anche 3-4 metri) e i ferri Imolesi. Insomma le altre armi erano "pacificamente" consentite per difendersi e tutelare il prestigio. Il rispetto del codice dell'onore costituiva una sintassi rigorosa della vita familiare: Dante nell'Inferno tra i seminatori di discordia incontrò un suo lontano parente, Geri del Bello, la cui morte violenta non era ancora stata vendicata e quell'onta ricadeva su ogni membro della famiglia: cioè era "consorte" del disonore. 
A Parma nel 1287 Salimbene racconta che venne ucciso Pinotto della Gente, figlio di Giberto signore di Parma, un "uomo di bell'aspetto, audace, superbo come tutti quelli di Parma, ma anche un poco di buono". Il suo commento a quel delitto, prescindendo dal giudizio morale sulla persona e dal motivo della vendetta che ne sarebbe seguita, è molto chiaro: "per l'onore del suo casato e per compiacere i costumi del mondo. 
Anche altri statuti comunali più antichi riconobbero i conflitti violenti durante le faide: vindicta parentum quod faidam dicimus(la vendetta dei parenti detta faida) tra i lignaggi, confermando la liceità della vendetta. Se talora i poteri pubblici tentarono di regolare o limitare l'uso privato della forza, non intesero mai eliminarla. Gli Statuti di Borgo del 1391 non riservavano nessun cenno al divieto di portare armi, tranne di notte dopo il terzo suono della campana o durante una sollevazione. Poiché le armi vietate non potevano essere portate nel palazzo comunale o nella piazza (cap. 295), questo sottintendeva che "girare armati" era ritenuto perfettamente lecito.
Umberto Primo Censi e Gianandrea Allegri

2 commenti:

  1. Da leggere con attenzione per un richiamo al discernimento e alla riflessione su opinioni consolidate nel tempo, in cui, tuttavia, emerge sempre l'uomo con comportamenti che rimangono immutati.

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  2. Mi inchino a tanta conoscenza e sapienza...da studiare!
    Complimenti agli storici medievalisti Censi e Allegri, ai quali esprimo la mia ammirazione per aver dedicato tempo e fatiche allo studio così approfondito del passato nelle nostre terre.
    Mirella

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