Il Risveglio in distribuzione oggi, venerdì 16 novembre, pubblica una parte importante dell'intervista a Claretta Ferrarini effettuata dopo la presentazione del suo libro “Genesi” nel Ridotto del Teatro Magnani di Fidenza di venerdì 12 ottobre. Il libro è il risultato di un lavoro impegnativo, come si può capire dal titolo del libro stesso “Genesi”. Si tratta della trasposizione nell'idioma (parlare di dialetto può sembrare riduttivo) fidentino o meglio borghigiano del primo libro della Bibbia.
Nella corso della presentazione, dopo l'introduzione del Sindaco Mario Cantini, il nostro Vescovo Carlo Mazza si è soffermato sul significato di ogni traduzione della Bibbia. Il suo discorso non conferisce certo un imprimatur al libro, ma gli riconosce l'importanza nei limiti e nella relatività che la traduzione dei testi sacri può avere in qualsiasi lingua.
Rileggendo i pochi appunti e riascoltando certi passaggi registrati del discorso del Vescovo ho quindi maturato l'idea di sentire Claretta Ferrarini stessa, ne è nata questa intervista che propongo integralmente.
- Volente o non volente hai “nobilitato” il nostro "dialetto" ad accogliere il testo biblico, prima con i Vangeli ora con il racconto della Genesi, in questo ti sei assunta anche una bella responsabilità. Probabilmente non ci sei arrivata a caso, quali sono le motivazioni di questa scelta?
Ho
capito che mi ero assunta una grossa responsabilità, quando, per i
Vangeli, l'allora Assessore alla Cultura, Vanicelli, mi telefonò per
riferirmi che si era presentato da lui un ateo il quale,
emozionatissimo, lo aveva ringraziato dicendogli che aveva capito il
messaggio evangelico leggendo la mia traduzione. La cosa mi ha
turbata perché non era quello il mio intento, né avevo tradotto i
Vangeli ad uso della sola Chiesa Cattolica, tantè vero che sono
stati comprati anche da credenti di altre confessioni. È la forza
del dialetto puro che ha fatto la sua parte.
Sono
arrivata alla decisione quando, una notte, non riuscendo a dormire ho
aperto la Bibbia e mi sono trovata con Luca; leggevo e le parole,
nella mia mente, si formavano in dialetto. Ho chiuso e riaperto il
testo molte volte, ma, il risultato era lo stesso. Mi sono alzata in
preda ad una certa agitazione; sulla tavola c'erano un foglio ed una
matita con i quali i miei nipotini avevano disegnato una cosa per
Nona Caleta.
Ho
girato il foglio; ho scritti "Cära èl me Teofilo"... e
non c'è più stato verso di fermarmi. Qualche giorno dopo venne a
casa mia Fausto Negri per farmi acquistare un C.D. a favore
dell'Associazione "Amici del Togo". Gli lessi la prima metà
di Luca e lo vidi, prima arrossire fortemente, poi impallidire tanto
che pensai di aver scritto qualcosa di abominevole e di blasfemo. Lui
non parlava. Terminata la lettura queste furono le sue parole: "È
straordinario! Questo va pubblicato". Fu lui a darmi la forza di
continuare addossandosi il gravoso onere di battere tutto a computer
con le difficoltà degli accenti e dei segni diacritici (sono
noiosissima per il dialetto). Correva da casa sua a casa mia o
viceversa andavo io da lui, per le correzioni dovute ad errori di
battitura. Era l'estate 2003, con 40° all'ombra. Fausto perse 7 kg
ed io ogni tanto mi collassavo, ma ci siamo riusciti.
- Se ho ben capito il Vescovo ha parlato di un testo "dopato" rispetto a quello di partenza. Ha poi aggiunto che ogni traduzione è in un certo senso un rifacimento, una interpretazione. Come s'inquadra questo concetto con la tua "traduzione"? In altre parole, leggere la Bibbia in dialetto aggiunge o toglie qualcosa a chi, conoscendo il dialetto, legge il tuo lavoro o, da persona semplice, si accosta al Libro nella lingua italiana?
- Tu dici che il dialetto è una lingua parlata, forse oggi lo è meno, quale futuro vedi per la nostra lingua locale? Hai pensato a questo futuro quando ti sei accinta ad opere così impegnative?
- Pensi di aver onorato degnamente la storia e le tradizione della nostra gente per conservare memoria? Più direttamente: c'è malinconia nel tuo impegno?
- Ormai ti collochi appieno in una tradizione di personaggi che amano la nostra città e la nostra terra, mi hai recentemente parlato in modo quasi (o senza quasi) reverente del "Maestro" Vittorio Chiapponi, che insieme ad altri ha formato una generazione di grandi "borghigiani". Come vedi invece la nostra generazione in rapporto alla città, alle sue tradizioni, alla sua storia ed alla promozione di una cultura che sappia essere cittadina e non provinciale (nel senso negativo di questo termine)?
- Ora ti pongo la domanda più difficile, dimmi quale domanda avrei dovuto porti con quale desideravi confrontarti? Logicamente rispondendo a questa domanda formulerai sia la domanda che la risposta.
Ambrogio
Ponzi
15
ottobre 2012
Tutto questo andrebbe proposto ad un pubblico più numeroso; non tutti aprono e leggono con il p.c. Mandare un'intervista del genere ad un programma televisiso o radiofonico.....non sarebbe una novità interessante ??
RispondiEliminaCaro Jet
RispondiEliminal'ho letta tutta! Eccellente.
Sia nelle domande che le belle risposte. Condivido molte cose dette che hanno valore per chiunque in qualunque luogo.
Radici, anima dei luoghi, dialetto, tutte cose che coltiviamo credo sempre in minor numero, ma meglio pochi e buoni,
ciao, complimenti bello davvero,
voster Umbe ex-sacrista Fidentiae
Sono Nello
RispondiEliminaPenso anch'io che questa intervista debba essere proposta ai max-media, anche per attirare (e maturare) i giovani alla cultura locale.
Oggi nei giovani d'oggi manca quella fraternità, solidarietà e cultura, popolare,che legava il popolo di Borgo... ma le generazioni cambiano, e con esse cambia la mentalità e la socialità
In questa intervista si denota tutta la cultura e la saggezza di una vera borghigiana, e... credo, che saranno i posteri ad elevare agli "Altri della Cultura" la nostra beneamata Claretta.
BRAVA... io apprezzo molto quello che fai per la nostra città. CIAO