All’interno della quattrocentesca chiesa di Zibello di fondazione pallaviciniana si possono ammirare numerose opere di pregio, tra cui questa affollata scena biblica, collocata sulla parete di destra del presbiterio, che però non è “La raccolta della manna” come si è solitamente ritenuto, bensì “Mosè che fa scaturire le acque dalla roccia del monte Horeb” (Es. 17,3-7): solo così, infatti, si possono spiegare la verga impugnata dall’accigliato profeta, l’atteggiamento dei personaggi affaccendati con brocche e bacili in rame, ma anche in prezioso argento sbalzato, i bambini che si dissetano prendendo l’acqua dalle mani della mamma e infine il cagnolino che si abbevera alla corrente del ruscello.
Nessun dubbio invece per quanto riguarda l’autore, grazie alla scritta in basso a sinistra, dove, accanto alla data 1699, compare in evidenza il nome di Ferdinando Chieni ( “Pingente Ferdinando Chieni Ungaro”): nome italianizzato di Johannes Ferdinand Khien (Neusohl 1656 - Vienna 1723), valente pittore battaglista, di origine ungherese, la cui vicenda biografica e artistica, fino a ieri del tutto sconosciuta, è stata da poco ricostruita con grande accuratezza da Klara Garas (Lubiana, 2000). Di incerta formazione, ma figlio del pittore Johann Christoph, Ferdinando Chieni, citato dallo Zani come Chier o Chierici ( il suo cognome,“scritto sbagliato o letto sbagliato, capito sbagliato, interpretato secondo gli usi locali” è citato anche come Kien, Kuhn, Chien, Khuen, Tieni, Chiari ecc) appartiene a un’antica famiglia di artisti, pittori e scultori, attivi nel XVII secolo, tra cui abbastanza famoso Hans Jakob Khien (Khirn), pittore operante al servizio dell’arcivescovo di Bratislava e della famiglia Esterhazy a Eisenstadt (1669).
Tema ricorrente della maggior parte delle sue opere, a partire dalle prime tele datate al 1682, è la battaglia, con furibondi scontri tra cavalieri, chiaramente ispirati all’epica delle continue guerre contro i Turchi: circa una decina di dipinti finora individuati nelle principali collezioni di Salisburgo Vienna e Sibiu. Klara Garas, che ritiene probabile un viaggio in Italia di Khien negli anni Novanta, ignora tuttavia l’esistenza del quadro autografo della chiesa Zibello, la cui marcata impronta “battaglista”, è evidenziata dal cielo tempestoso, dal paesaggio scuro e tormentato e dagli accampamenti israeliti brulicanti di figure in movimento.
Sempre nella stessa chiesa parrocchiale, le guide locali attribuiscono a Chieni pure i tre quadri del coro: “La Madonna col Bambino e Santa Teresa d’Avila”, “Il miracolo di San Benedetto” e il “Martirio dei SS.Gervasio e Protasio”, ma solo quest’ultimo, composto in modo non del tutto convenzionale e con qualche richiamo alla cultura veneta e emiliana, può essere sicuramente assegnato al pittore ungherese. La sua sistemazione del tutto posticcia come pala d’altare fa inoltre dubitare che si tratti proprio dell’originario pendant del Mosè, la cui esistenza, sul lato opposto del santuario (attualmente occupato dalla “Gloria” domenicana del bavarese Ignaz Stern) è confermata dai documenti dell’archivio parrocchiale, in particolare dalle “Memorie Gardini”, che danno notizia del doppio incarico affidato dalla locale Confraternita del Santissimo Sacramento al poco più che trentenne artista ungherese, dimorante a Parma e forse in attesa di riprendere il suo viaggio di formazione alla volta di Firenze, Roma e Napoli: “La Venerabile Confraternita del Santissimo Sacramento della priorale Chiesa di Zibello ha fatto fare a sue spese sotto il priorato del Signor Giovan Battista Boni li doi quadri che sono nel Coro dalle parti dell’Altar maggiore per il quale ha dato lire 1400. cioè 700 per quadro; qual pittore è stato un tal signor Ferdinando Chieni, ongaro, di presente abitante in Parma et a di 14 agosto 1699 sono stati ataccati al muro di questa Chiesa da mastro Giovanni Biazzi, marangone, quale ha fatto le cornici”.
In questo secondo dipinto, che ci sembra largamente sottovalutato, Chieni ambienta l’episodio del martirio dei santi patroni in uno spazio aperto, proprio nell’attimo in cui il carnefice sta per sferrare il colpo fatale alla testa di Protasio, mentre in primo piano giace riverso in diagonale il corpo privo di vita di Gervasio, sul quale gli aguzzini hanno crudelmente infierito con i flagelli, rimasti abbandonati a terra vicino alla colonna del supplizio.
All’esecuzione dei due fratelli gemelli milanesi, figli di Vitale e Valeria pure essi martiri cristiani, assiste dall’alto del suo trono il crudele Astasio, la cui figura inturbantata è avvolta in un cono d’ombra, mentre dal lato opposto si affaccia il vecchio sacerdote pagano che tenta di indurre il giovane ad abiurare la fede cristiana e a rendere omaggio all’idolo in bronzo ( un Giove fulminante, ma la nudità lo rende molto improbabile), davanti al quale è collocata una sottilissima anfora da cui si espandono fumi d’incenso.
La composizione che si snoda con manieristica facilità tra le architetture del fondo, dove si intravedono un anfiteatro e le statue degli dei che evocano la Roma dei Cesari ( anche se la struttura dell’anfiteatro sembra piuttosto ricordare l’arena di Verona, forse la prima tappa italiana del suo viaggio), si avvale come quinta prospettica sul lato sinistro della sinuosa figura di un soldato romano, che si incrocia con quella di un innocente fanciullo dallo sguardo smarrito e col dito puntato verso il corpo livido e piagato di Gervasio. Non si conoscono di questo pittore altri quadri a soggetto devozionale.
Dopo le vigorose prove di Zibello, sull’attività di Chieni nell’ambito del Ducato le fonti locali offrono ben poche notizie. Esse sono sostanzialmente riconducibili all‘elenco dei quadri di Clara Zimmarani, redatto nel 1713 a Parma da L.Tremonti e I.Spolverini e riportato da Scarabelli-Zunti, dove l’artista ungherese figura come autore di due battaglie, e a un’ incisione di analogo soggetto, segnalata da Patrizia Consigli (”La battaglia nella pittura del XVII e XVIII secolo”, 1990) tra le stampe della Raccolta Ortalli della Biblioteca Palatina. (n. 8219).
Nuove tracce, molto interessanti anche se solo epistolari, portano invece a Venezia, dove il valente pittore risulta “commorante” tra il 1706-7. La sua presenza nella città lagunare è confermata da alcune lettere pubblicate da Franca Zava Boccacci in uno studio del 1996 dedicato alle origini della collezione Conti di Lucca, formata inizialmente da autori in prevalenza veneti, tra cui Carnevalis e Canaletto, ma anche da petits maitres di stanza nella città lagunare, pittori di genere più o meno conosciuti, come appunto il nostro Chieni (“I veneti nella Galleria Conti di Lucca”, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, v. 17, 1990).
Con una lettera inviata a Stefano Conti il 29 giugno 1707, Chieni, che si sottoscrive “ungaro pitore in Venetia” specificando ancora una volta la propria patria ungherese, dichiara di essere autore di quattro piccole tele, consegnate nel maggio dell’anno precedente. Di questi dipinti, difficilmente rintracciabili dopo la dispersione ottocentesca, egli fornisce, su richiesta dello stesso collezionista lucchese, una dettagliata descrizione, una sorta di “autentica”, nella quale sono indicati con precisione i soggetti e le misure: “due quadretti di battaglie di quarte 3 e 5 per traverso il mese di Magio 1706. E li altri due di quarte 5 e 7 per traverso di figure piccole esprimente uno il diluvio universale e l’altro quadro Noè entro nell’arca con molti animali e volatili, quali sono originali et depinti di mia propria mano”. Se si considera che la “quarta” corrisponde a un terzo di “braccio” veneziano, cioè 17 centimetri, le due battaglie dovrebbero misurare circa 59x85, mentre le scene bibliche 85x110. Dal tono della lettera, che accompagna l’attestato, si direbbe che il pittore non stia attraversando un buon momento, per cui non esita a sollecitare nuovi incarichi da parte del suo facoltoso committente: ”Sto aspetando qualche altro suo comando che mi faria gratia particolare, stante che io al presente ho pocho da fare promitendo con qualche vantaggio di farlo star ben servito suplicandola degli suoi stimatissimi comandi et …”
Ed è proprio nel solco delle ricerche veneziane di Franca Zava Boccacci, che si colloca l’illuminante contributo di Klara Garas, per cui da oggi possiamo guardare ai quadri di Zibello con un occhio diverso, meno condizionato dagli sbrigativi giudizi espressi in passato.
Guglielmo Ponzi
(Pubblicato dal settimanale diocesano il Risveglio 10 dicembre 2010)
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