Grazie, UNRRA! - parte 2
Fagioli e salamini in colonia
Nel '54 o '55, sempre a Marina di Massa, passammo di fronte alla piccola casa d'accoglienza, in un grande edificio, che pareva un convento, immerso in una sterminata pineta. Dormivamo in camerate enormi, sorvegliati da una suora, cui era riservato, un angolino, protetto da tendoni. Noi ridevamo come matti, nel sentire, quando si spogliava, il fruscio di decine di panni che le cadevano di dosso. L'incubo di questa colonia era costituito dal fatto che si pregava, anche con una breve giaculatoria, decine di volte al giorno; pareva di stare in un seminario per frati trappisti. Lo si faceva al risveglio, prima di colazione, dopo, prima di fare il bagno in mare, dopo; il pomeriggio, sempre, visita in cappella con preghiere.
Poi ancora prima e dopo cena e prima di andare a nanna: che palle! Un giorno mio fratello lo disse, chiaro e tondo: punizione a base di Atto di dolore. Il cibo era poi sempre a base di formaggi e marmellate UNRRA, ma arricchito, quell'anno da fagioloni neri in ogni forma e salsa. In mensa, ci divertivamo a posare un fagiolo sul manico del cucchiaio e a pestar giù un colpo sulla parte cava, facendo schizzar via il legume, in una battaglia tra le varie tavolate. Dopo poco tempo, il pavimento era ricoperto di legumi in umido, con o senza salsa; era allora che faceva il suo ingresso in scena, sdrucciolando sul pastone di fagioli, suor Maria. Ella, con fare severo, quasi feroce, con voce stentorea, annunciava: “Alta le destraaaa!...”. E via con il segno della croce e la preghiera, seguita dal cazziatone della suora per il tappeto di fagioli spiaccicati per terra. Al pomeriggio, pennichella obbligatoria, tra emissioni continue e sonore di certi scorreggioni mefitici ed asfissianti. Se non ne venivano, ne inventavamo di artificiali, con una mano sotto un'ascella o sotto le ginocchia, e schiacciando il braccio o la gamba, per comprimere l'aria. Un nostro compaesano di Salso, si dilettava nel raccontare storie assurde, come quella di bimbi tenuti prigionieri in un tetro maniero, che si liberavano, facendo esplodere i peti, accumulati, pazientemente e di nascosto, nelle federe dei cuscini. Un altro salsese aveva una gamba rattrappita ed allora, quando andavamo in spiaggia, per tenersi equilibrato, scendeva nel fosso a lato della stradina con la gamba buona, e procedeva così, bello spedito. Era lui che aveva inventato la storia, surreale e picaresca, di un bimbo, affamato, cui la mamma, premurosa, aveva offerto un salame, appeso con una corda al soffitto. Lui l'aveva mangiato in un sol boccone, ma non riusciva poi ad evacuare, perché il salametto gli aveva otturato l'alvo. Allora la mammina, sempre più premurosa, aveva afferrato la picaja che gli pendeva dal sederino, e, tirando con forza, lo incoraggiava, dicendo: “Punta, punta,, che la m...viene!”. Noi ci spaccavamo dalle risate. Erano sempre presenti, anche quell'anno, dei cremonesi, tendenti al troglodita. Ad uno di essi, mio fratello, mentre giocavamo a far rimbalzare i piattoni sull'acqua, sollevò mezzo scalpo, centrandolo nella nuca.
Un altro, che chiamavamo “Il Negus”, per via della pelle scura, e che aveva un testone grosso e tondo come un cocomero, lo seppellimmo fino al collo, in una buca nella sabbia, modello lapidazione. Le suore non gradirono le iniziative. Ci facevano cantare, ogni sera!, al cospetto della superiora, una canzone in suo onore; noi invece di cantare “Madre gioiosa, cara e generosa..” urlavamo “Madre schifosa, brutta e pelosa...”. La direttrice del coro, dopo un po', se ne accorse, diede segno agli altri di smettere, all'improvviso, ci “squattò”, ed ancora una volta non gradì la variazione canora.
Infine, fu in quella pineta, all'età di 10 anni, ancor puro, candido e vergine, che provai il mio primo incanto di fronte alla femminilità di una bimba, mia coetanea. Era una cosa tenera e stupenda, con un abitino blu, una camicetta bianca, bionda come il miele, un cappellino di paglia sulla testolina, le scarpette nere di vernice. Io rimasi incantato a contemplarla, mentre se ne andava su e giù, sull'altalena, come paralizzato da un dardo al curaro. Mi sentivo tutto molle e tiepido, come un budino o una crema catalana, e mi calava in cuore una strana dolcezza indefinibile. Me la ricordo ancor oggi, dopo 60 anni di altri approcci femminili; forse, quello rimane il più struggente.
Franco Bifani
Altri riferimenti:
Quando ho letto il titolo: FAGIOLI E SALAMINI, ho pensato che UNRRA, avesse fatto grandi differenze nel distribuire i suoi prodotti, perchè nella nostra colonia, i salamini non si sono mai visti. D'altra parte in quali altri stati o nazioni o continenti, i norcini (mässlén), sapevano confezionare i nostri "salamini"? Continuando a leggere ho capito. Belle le foto.
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