Nell'ultimo quarto del secolo XVI la Rocca di San Secondo, ormai adibita a residenza del casato dei Rossi, fu abbellita tanto da farne una piccola reggia e un salone fu interamente dedicato a ricordare le gesta dei Rossi con un apparato iconografico ed architettonico imponente: 20 metri di lunghezza, 11,65 di larghezza e 14 ca. di altezza con oltre 1.200 metri quadrati di affreschi. In tredici grandissimi quadri-arazzo sono raffigurate le gesta gloriose dei Rossi a partire dal 1199.
Il primo quadro alla destra narra l'impresa di Orlando Rossi che libera dall'assedio di piacentini e milanesi Borgo San Donnino.
Nella parte alta risalta la rappresentazione di Borgo San Donnino chiusa tra le mura, la vista è da nord-est e guarda verso la porta di San Michele con l'imponente torre Salvaterra che verrà poi abbattuta per lasciar posto al Palazzo delle Orsoline.
Appena oltre, a destra della porta ma entro le mura, vediamo la chiesa di San Michele, proseguendo a destra troviamo la torre del municipio e quindi la torre campanaria e le due torri della facciata del Duomo.
Sulla destra vediamo infine il complesso fortificato della rocca di Fidenza che si ergeva su un dosso, pure fortificato, verso la pianura. Da questa parte la città era pertanto sopraelevata rispetto alla campagna e guardava verso il letto abbandonato del torrente Stirone. Oggi il dislivello è racchiuso tra il terrapieno della ferrovia e la piazza del palazzo comunale.
Dobbiamo comunque tener presente che rispetto al fatto d'arme rappresentato il dipinto è di tre secoli posteriore.
Pastello di Ettore Ponzi |
Scomparso il muro fortificato la rocca all'inizio del novecento si presentava nella sua imponenza come si può vedere da questo pastello che riprende la costruzione da nord-ovest ed include la vista della torre del comune.
A sinistra si vede la bassa costruzione ottocentesca collegata alla rocca, era l'asilo cittadino (oggi asilo C. Battisti) che nel primo novecento verrà portato nel luogo in cui è tuttora. I bombardamenti dell'ultimo conflitto mondiale danneggiarono la rocca che fu poi completamente rasa al suolo nel dopoguerra.
Per approfondimenti sulla Rocca di San Secondo Parmense si consiglia di visitare il sito
1455 arch. stato milano - visconteo - missive
RispondiEliminaFRANCESCO SFORZA AD ANTONELLO DA LUGO CASTELLANO DEL CASTELLO DI BORGO SAN DONNINO CHE TENGA I SOLDATI FISSATIGLI: DISTINO ALMENO VENTI MIGLIA
DA SAN DONNINO, SIANO DESCRITTI, COME VOGLIONO I COLLATERALI, E FACCIANO LE DEBITE MOSTRE.
CESSIONE DEL CASTELLO SOLO CON LETTERA DUCALE E CON IL CONTRASSEGNO CHE HA CON LUI. PER LE SUE USCITE OCCORRE CHE ABBIA UNA LETTERA DUCALE CON UNA CORNIOLA PICCOLA IN CERA ROSSA. INGRESSO DA DUE PERSONE IN SU SOLO CON LETTERA DUCALE CON LA CORNIOLA BIANCA IN CERA BIANCA.
DIVIETO DI TAVERNA E DI BECCARIA.
1455 gennaio 8, Milano.
135v Ordines servandi per castellanum arcis nostre burgi Sancti Donini.
Mediolani, die octavo ianuarii MCCCCLV.
Li infrascriptì sono li ordini che noy dicimo a ti, Antonello da Lugo, castellano della nostra rocha et forteza del borgo Sancto Donino del diocesi parmesano, li quali volimo debbi molto bene intendere et observare integramente et tenerli secreti, non contrafacendoli in cosa alcuna sub pena capitis.
Primo, volimo che ti, Antonello predicto, tegni et servi quella nostra forteza et rocha del borgo Sancto Donino ad nome fidelità et obedientia nostra, tenendola fornita del compito numero delle paghe deve tenere secondo in la lettera patente te havimo concessa se contene, le quale paghe siano delle terre et lochi nostri longe et distanti da quella terra del borgo Sancto Donino per spatio de vinti miglia almanco et che siano apte sufficiente bene fidate, et per la mità balistreri et l’altra mità pavesani, secondo in dicte nostre littere se contene, delle quale ne farai la debita scriptione qui alla bancha predicta di collecterali nostri di soldati et le monstre ad ogni requisicione d'essi collecterali et tucte le altre cose che rechiedono l'ordini della bancha predicta
Secondo, dicta rocha et forteza non consignarai may ad homo né persona alcuna del mondo et sia chi se voglia senza nostra littera sottoscripta de nostra propria mano, come è qui de sotto et senza la parte del contrasigno, quale havimo con ti.
Tertio, non volimo che may debbi ussire fora del ponte de dicta rocha senza nostra littera soctoscripta de nostra propria mano con la nostra corniola picola in cera rossa, como sta qui de socto.
136r Quarto, non volimo che dentro da quella possi né debbi receptare gente né persona alcuna da doe persone in suso senza littera sottoscripta de nostra propria mano et con la nostra corniola grande in cera biancha como sta qui de sopra.
Quinto, volimo che tucte le monitione sonno in quella rocha vel gli faremo mettere per l’avenire, debbi bene guardare et conservare et de quelle non ne movere nè consumare cosa alcuna, nè picola nè grande nè per littere nè ambasiate te fossero scripte o facte darne veruna a persona del mondo, se non te lo scrivemo nuy per littere sottoscripte de nostra propria mano como e' questa.
Sexto, volimo che per tucto mazo proximo avenire te debbi havere fornito de monitione delle toe per sei mesi et così staghi continuamente fornito de monitione delle toe per sey mesi co[mo] fanno tucti l’altri nostri castellani et l’ordini nostri rechiedono.
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Septimo, volimo che in quella nostra forteza non faci nè lassi fare taverna nè becharia alcuna et che te debbi portare bene et honestamente.
Franciscus Sfortia Vicecomes manu propria subscripsit.
Cichus.
Conosco questo brano che ho esaminato, anni fa, per indagare su alcune parole, le quali nel XV secolo, avevano una forte impronta dialettale. Qualcuno sa individuarle?
RispondiEliminaStaghi e tegni?
RispondiEliminaDue le hai beccate, Ambrogio.
RispondiEliminaMamma mia, ma in quale italiano orribile scrivevano, allora? D'accordo che il Visconte Sforza non fosse un letterato umanista e rinascimentale, ma proprio mancava di dimestichezza con l'idioma italico; scrive in un gramelot o pastiche o gergo che della lingiua del Bel Paese contiene solo una minima parvenza, tutto il resto è redatto in ostrogoto, né italiano né dialetto. Rimirando il pastello di tuo padre, Ambrogio, non posso che rinnovare la mia ammirazione per lui, che ho avuto l'onore ed il piacere di conoscere, da ragazzo e da collega, più tardi.
RispondiEliminaL'altra è "beccarìa" di certissima origine gallica. Io, Valdo Censi e pochi altri, diciamo ancora ändèr in a-bcarìa (o pcarìa) e bcär o pcär. Quando parlo di dialetto DOTTO intendo proprio l'uso di questi termini. Però, ormai tutti dicono "mäcelerìa e mässlär.
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