All'interno della novecentesca chiesa del Corpus Domini di Piacenza, la Cena di Emmaus di Giovanni Battista Tagliasacchi (1696-1737) si distingue nettamente per la vivezza dei colori e l'eleganza del disegno.
La pala, di certo tra le opere più felici e celebrate del pittore fidentino, è citata da tutte le antiche guide, che la descrivono nell'originaria collocazione sull'altare della cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale di Piacenza , da dove venne tolta agli inizi del secolo scorso, in seguito ai radicali restauri promossi dal beato Giovan Battista Scalabrini.
Una scritta sul retro, resa nota da Ferdinando Arisi (1990), precisa che la tela venne commissionata al Tagliasacchi, nell'anno 1732, dalla stessa Confraternita preposta all'altare del Santissimo Sacramento, su suggerimento di monsignor Gherardo Zandemaria, che fu vescovo di Borgo San Donnino dal 1 719 al 17 32 e venne ritenuto dai biografi il principale protettore e mecenate del nostro pittore.
Particolarmente significativo è ciò che scrive Luciano Scarabelli (1841) che non manca di sottolineare la lontana ascendenza parmigianinesca e bolognese dell'autore: "Quel faree delicato e grazioso del Gesù non trovebbesi che nelle opere del Mazzola o in quelle di Guido Reni. Fan vago contrasto le due teste dei rozzi discepoli, resi stupiti dallo svanire che fa dinanzi a loro come leggiera nebbia il Salvatore colla bontà nel cui volto spira una vera divinità".
Ma il quadro colpisce soprattutto per l'intensa e commovente interpretazione dell'episodio evangelico, come già si deduce dalla precedente testimonianza del Carasi (1780) che afferma: "La persona di nostro Signore è velata come da leggier nuvoletta rarissima, nella quale sembra voglia nascondersi, e verificare l'evanuit ab oculis eorum. Il suo volto ispira un non so che di divino; li discepoli nella faccia, e nella attitudine mostrano il lor stupore e la loro riverenza", Quella raggiunta dalla Cena di Emmaus, che il pittore neoclassico Gaspare Landi reputa il suo capolavoro, è l'ultima maniera del Tagliasacchi, che nei dipinti di questo periodo s'affida, come scrive Eugenio Riccomini(1977)" più ancora che ai vaghi sorrzsl delle Madonne e dei putti, ad una calcolata dosatura degli effetti di luce; ombre trascoloranti e vaporose, ove arretrano e emergono le figure, attraverso una vasta gamma di toni", Con un vibrare miracoloso d'illuminazioni, l'ispirato pittore borghigiano fissa il momento decisivo in cui la divinità del Figlio di Dio si rivela in tutto il suo splendore: questo Cristo dal volto radioso e diafano, che emana una luce quasi spettrale, è colto infatti nell'atto di spezzare il pane, provocando la reazione di stupore negli apostoli che in Lui riconoscono finalmente il Risorto. L'istantanea trasfigurazione, vera e propria teofania, è accompagnata da una gloria di angeli e cherubini, che aleggiano evanescenti, circondando il volto severo ma dolce di Gesù, decisamente caratterizzato dai tratti aristocratici e da una lunga chioma bionda e fluente, mentre l'intera sua figura sembra quasi dissolversi.
La scena è pervasa da un' atmosfera irreale che avvolge le figure degli astanti e dei servitori ai lati della mensa, mentre in primo piano risaltano con lampi di luce i corpi vigorosi di Cleopa e dell'altro apostolo con la conchiglia applicata alla corta mantella del pellegrino. Sulla tavola, coperta da una tovaglia di lino, un pollo dalle zampe stecchite è forse immagine della morte, secondo una controversa interpretazione iconografica proposta per gli analoghi dipinti di Caravaggio, dove lo stesso elemento compare con marcato realismo al centro della tavola. Ma è essenzialmente nel pane spezzato nelle mani di Gesù e nel suo gesto di offerta, che l'immagine rivela il suo importante significato teologico: è l'eucaristia che dà alla Chiesa il Cristo risorto e vivente per sempre.
"Lo riconobbero nello spezzare il pane": questo sconvolgente messaggio è rafforzato, come si è detto, dalle presenze celesti e dallo stesso atteggiamento meravigliato degli apostoli ma anche, ci sembra, dalle lampade che ardono al centro della sala, in asse con la figura di Cristo. La loro centralità non può essere casuale, per cui si può pensare a un richiamo in chiave simbolica del Vangelo, di cui gli apostoli sono ora chiamati a essere testimoni; ma le quattro fiammelle, che sembrano mosse da un leggero soffio di vento, potrebbero alludere anche alle lingue di fuoco, che nella Pentecoste indicano la venuta dello Spirito Santo, che accende e illumina il cammino dei fedeli. Non va infine dimenticata l'originaria collocazione del dipinto (simbolicamente ribadita dal titolo della chiesa dedicata al Corpus Domini) che, come si è detto, sovrastava il tabernacolo dell'altare riservato alla custodia delle sacre specie, là dove la presenza sacramentale del Risorto è perennemente segnalata dalla lampada ardente.
Guglielmo Ponzi (Dal settimanale diocesano il Risveglio del 2 aprile 2010)
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