"Altra riflessione è quella d'osservarvi incastrata nel torriolo di mano diritta nell'entrare in Chiesa, l’istoria di Berta che filava a due rocche che come lasciarono scritto vari autori, seguì il fatto che poi passò in favola del 1181 in Padova al tempo di Federico I. Se non ve la posero i nostri e se la elessero per il segno della popolare dirisione delle solennità e giochi secolari."Tra le carte "Materiali per servire alla Storia della città di S. Donnino" dell'abate don Pietro Zani, concittadino nostro, don Amos Aimi trovò negli anni settanta questa interessante annotazione.
Ma come vediamo dalla nota stilata dall'Abate Pietro Zani la dedicazione ad Alessandro Magno del bassorilievo medievale presto si perse. Per lungo tempo, secoli, prevalse la credenza che la formella rimandasse a "Berta che Filava".
Vi fu chi identificò Berta con la madre di Corrado II, uno degli imperatori che accordarono a Borgo San Donnino particolari privilegi.
Altri eruditi vi videro la rappresentazione simbolica della Chiesa, mentre la fantasia popolare individuò nell'enigmatica figura l’immagine di una strega. Ma queste interpretazioni non intaccarono la convinzione che fosse proprio Berta, non importa di quale Berta, ma sempre Berta e sempre "filante".
Questa nella sintesi di Wikipedia la romanzata storia di Berta o delle "berte":
L'episodio della leggenda di Berta si svolge nel 1084 quando Enrico IV, imperatore del Sacro Romano impero e l'imperatrice Bertha di Savoia, in fuga da Roma e di ritorno in Franconia, fecero visita ai signori Da Montagnon, nelle terre degli Euganei, rinomate per gli effetti benefici delle loro acque termali. Mentre l’imperatrice in passeggiata si trovava a rientrare a palazzo, una contadina, anch'essa chiamata Berta, si avvicinò alla regina per chiedere la grazia per il suo sposo, prigioniero nelle segrete del castello per non aver pagato la decima dovuta al padrone del feudo. La regina prende a cuore il dramma della poverella e concede la grazia. Non sapendo come ringraziare la regina per l’immenso dono ricevuto, la filatrice vuole regalare all'Imperatrice il suo filo. Fu così che la nobildonna che mai si sarebbe aspettata un dono spontaneo da una plebea, si commuove al punto da voler premiare tanta generosità e concede alla giovane filatrice Berta tanto terreno quanto il filo della matassa ne poteva contenere. Le donne del paese, saputa la grande fortuna toccata alla concittadina, si precipitano dalla regina portando ognuna una matassa di filo. Ma la sovrana si rivolge a loro ammonendole con il detto che ancora oggi viene usato per alludere ad un passato finito e che non può più tornare: “È finito il tempo in cui Berta filava".
Lo Zani ci da anche un'altra notizia: "... la elessero (la formella) per il segno della popolare dirisione delle solennità e giochi secolari".
Dando voce all'ipotesi, poi ripresa da altri studiosi locali, che attorno a questa effige si svolgessero delle feste dove, confondendo sacro e profano, il popolo, dilettandosi, metteva alla berlina la nobiltà, impegnata nei suoi riservati tornei, e il clero, a sua volta impegnato a promuovere la virtù che si guardava bene dal praticare.
Se la storia non ci ha lasciato sicurezza che questo avvenisse proprio di fronte all'effige o in "altro loco", qualcosa di più ci dice circa il come ed il cosa venisse rappresentato in tali feste. Lo potremmo benissimo descrivere cosa avveniva in queste feste, ma lo faremo un'altra volta.
A. Ponzi
Grazie Ambrogio, sempre tanta cultura!
RispondiEliminaDomenica 12 agosto 1821, ai rintocchi dell'Ave Maria, lasciava questa terra l'abate Pietro Zani. Confidiamo per il 200* di tributare un degno ricordo per questo illustre figlio di Fidenza, allora Borgo San Donnino.
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