Cerca nel blog e nelle pagine collegate

giovedì 1 giugno 2023

La Strada Maestra viaggio artistico fra le opere di Rino Sgavetta


La Mostra di Rino Sgavetta.

 La pioggia battente e i tanti eventi in contemporanea del “Francigena Fidenza Festival”, non hanno impedito a molte persone di partecipare all’inaugurazione della Mostra “La Strada Maestra viaggio artistico fra le opere di Rino Sgavetta” nello Spazio Espositivo di Via A. Costa 8, sabato 20 maggio scorso: amici (tra loro le pittrici Ivana Bianchi e Mary Quarantelli), conoscenti ed estimatori del pittore, e chi ne aveva solo sentito parlare. Presente il Vicesindaco Davide Malvisi con il suo bimbo in carrozzina (f. 1).

L’Assessore alla Cultura Professoressa Maria Pia Bariggi ha salutato i convenuti a nome dell’Amministrazione Comunale, aprendo l’incontro. Come sempre meravigliosamente disponibile, competente, pacata nelle sue parole - pur impegnata sul filo del minuto a presenziare le varie manifestazioni in corso, spostandosi, in bicicletta, da un posto all’altro di Fidenza - ha espresso con piacere la sua soddisfazione per essere riuscita a realizzare questa prima Mostra a due anni dalla morte del pittore - meritevole di grande attenzione - dopo la proposta fatta lo scorso anno alla famiglia di esporre a Casa Cremonini, non accolta perché era in corso la catalogazione delle opere. 

Contento il figlio Gianni, perché Rino aveva desiderato in vita di esporre anche in quegli spazi e non vi era riuscito.

Lo scultore Giorgio Varani, curatore della Mostra, appena tornato da un viaggio a New York dove ha visitato i tre più grandi musei, il Metropolitan, il Moma e il Guggenheim, ha detto con convinzione che alcune opere di Sgavetta, potrebbero stare tranquillamente tra quelle raccolte.   

Nella parete di fronte all’ingresso dello Spazio Espositivo accoglie il visitatore un Autoritratto del pittore con berretta (olio su tela a spatola, 1979), dove i piani di luce e ombra danno rilievo e vita alla figura che sembra passare dietro a una finestra. L’espressione decisa dell’uomo che guarda lo spettatore è tutto un programma sul suo carattere e la sua personalità, quasi una sfida di sicurezza del suo ruolo nell’arte, con i colori bruni tipici della sua tavolozza (f. 2).  



Nell’angolo a sinistra un suo cavalletto, prezioso strumento e compagno di lavoro quasi sempre al seguito nel suo peregrinare tra le terre padane e anche oltralpe alla ricerca di un luogo, di uno scorcio, di qualcosa, per fissare sulla tela la visione di un momento unico di vita, un’emozione irripetibile.

Sopra, un cartone con lo schizzo di Due figure

Alcuni vecchi disegni appesi, sempre su cartone (Nudo seduto, 1981; Mucca, 1982; Uomo che legge, chiaroscurato con tratteggio,1983) sono esempi di suoi studi.

Uno particolarmente grande presenta l’abbozzo di una Donna con fazzoletto in testa che sta rastrellando: sicuramente la moglie Maria, che l’aiutava nel lavoro dei campi, ripresa anche nel dipinto delle stesse dimensioni, con una fascina in spalla, che ho sempre visto alle pareti della sua casa.

Appoggiata su un supporto di vetro una tavolozza con gli ultimi colori che stava usando e le spatole di diverse misure.

Anche il dipinto a destra: Ruderi a Sinopoli Basso (RC), olio su juta a spatola, 2001, è significativo per il caseggiato ripreso, lo spessore dell’impasto e le tonalità dei colori. La Calabria è stata una terra molto amata dal pittore, da là proviene infatti Antonella, moglie di Gianni, come pure la grande radice di ulivo da cui ha tratto la scultura con motivo a linea chiusa La Pietà donata alla Chiesa di San Giuseppe.   

Di questo quadro, pubblicato anni fa sul calendario del Risveglio, avevo scritto: Nell’inquadratura, le vecchie case, addossate le une alle altre, sembrano sorreggersi a vicenda quasi a interpretare i bisogni degli uomini che le hanno costruite e abitate, ora che il tempo ha inciso in modo inesorabile sulle loro architetture. Le tonalità intense delle pareti sgretolate e in precario equilibrio, conservano ancora, intimamente, memoria di chi vi ha vissuto. Le pietre dei muri paiono sfaldarsi diventando ancora terra, e uscire dalla tela, quasi per tornare alle origini... (f. 3).


 La stanza successiva è tutta dedicata ai ciclisti, la grande passione di Rino. Anche qui mi ripeto: Il tema è stato particolarmente sentito dal pittore: in gioventù ha ammirato questo mezzo di trasporto che non si poteva permettere, nella vita ha seguito con passione le gare. Sempre affascinato dalla velocità, dalla volata del gruppo, dalla fuga del solitario, dai colori, dai suoni, dai rumori, dalle voci, tutte emozioni che fa rivivere nei “suoi” ciclisti, con le tecniche pittoriche più varie. Nel tempo, ha analizzato il soggetto anche in scultura, riprendendolo più volte con sempre maggior essenzialità, fino ad arrivare al movimento puro, a un tutt’uno dell’uomo con la bicicletta, dell’uomo con la ruota, della ruota sola...

In Pista, 1999: una curva pericolosa.

I Tre fuggitivi, 1997: visti da dietro, immediati, spontanei, leggeri, leggeri, che sembrano sparire da un momento all’altro.

Il Solitario nella nebbia: un uomo solo con le proprie forze che stanno calando, nel buio della fatica...

Pantani, acquerello, 1999: a testa bassa verso impegnativi traguardi, come solo lui sapeva fare. Al grande ciclista fatto finire tragicamente, Sgavetta aveva dedicato anche una notevole opera in ferro dove la sua figura si riconosceva tra i compagni di gara.

Gruppo, 1998: nell’insieme, le menti si annullano per dedicare tutta l’energia possibile ai corpi, di rosso spessore sulla tela nuda, che sembrano uscire dal quadro e venirci incontro.

Nell’angolo: Scultura in ferro verniciata di rosso, in cui il corridore si fonde con le ruote e diventa un’unica linea che riesce magicamente a dare il senso di un movimento velocissimo, che quasi l’occhio non percepisce... bloccandolo.

Appesa al muro, ancora una Corsa con il gruppo compatto visto da bordo strada, dove sembra di sentire il fruscio delle ruote (f. 4).


Nell’altra parete, da sinistra: Tre velocisti, olio su juta a spatola, 2016; Due ciclisti, acquerello, 1996; Fuggitivi, collage di tele colorate - che Rino solitamente andava a comperare al mercato, ma usava anche stracci, fogli di giornale, cartone e altri materiali come inserti - e spatola, 2018, dove i due sembrano fondersi con l’aria che attraversano.     

Nella stanza attigua: la scultura Intimità, legno d’olmo, 2008, in primo piano; in fondo altra scultura verniciata di nero lucido, su base di marmo.  


Il Gelso di Pieve di Cusignano, olio su juta a spatola, 1994: memoria storica di un albero secolare che avevo visto anch’io molti anni fa (f. 5).

Susino in fiore, Alseno (PC), olio su juta a spatola, 1991.

Dal mio calendario: Il tema del paesaggio, molto caro all’artista, sempre ripreso rigorosamente dal vero, col passare degli anni, viene continuamente interpretato, semplificato, quasi scarnificato, ridotto alla terra, all’emozione data dall’atmosfera, dai colori; qui il fascino della primavera che si risveglia in un albero fiorito esplode nelle intense spatolate bianche. L’essenzialità che emerge è profonda e ricca di significati, ma si capisce meglio se si conosce l’artista che con grande carica umana, passione ed entusiasmo fissa le sue sensazioni nel quadro; non è in ogni modo frutto di improvvisazione, ma nasce da una rielaborazione personale sentita e sofferta, legata ad un’onestà interiore e ad un senso religioso della vita mai traditi (f. 6).  


Neve d’aprile, 1996.

Neve a Cabriolo, 1985.

Verde collina, 1988.

Ciliegi d’autunno, 1983.

Atmosfera invernale a Pellegrino Parmense, 1993.

Castello di Bardi, olio su juta a spatola, 1993: il diaspro rosso dello scoglio su cui sorge, diventa il colore delle sue mura.

Incendio (di colori?), 1997.


Colori d’autunno nei pressi dello Stirone
(Fidenza), olio su collage di tele colorate e spatola, 1989 (f. 7).

Porticciolo di Marina di Ravenna, olio su juta a spatola, 2002: lo spessore del colore crea l’effetto dell’acqua increspata, dell’onda (f. 8).

Il Mulino Zanchi, 2014.

I quadri di Sgavetta, per i temi e per i suoi personali accostamenti cromatici efficacemente materici, richiedono grandi spazi per cogliere alle diverse distanze i mutamenti delle infinite tonalità di colore e, difficili da fotografare, vanno visti dal vero per lasciarsi catturare dai rilievi corposi, fra riverberi di chiaroscuro che si manifestano col variare della fonte luminosa, in particolare con la luce radente.

Due barche, 1976.

IL Gozzo a Sestri Levante, olio su juta a spatola, 1979.

 “Quando andavo in ferie in Liguria, i miei soggetti preferiti erano le barche da pesca...”.

Il gozzo, barca ligure, bianco come certe nuvole del cielo di primo mattino, è tirato in secca, la sabbia si fonde nel mare. C’è un senso di calma e di pace, lontano dal vociare dei bagnanti sulla spiaggia, che porta alla riflessione di una memoria senza tempo (f. 9).


I Girasoli, 1987.

Rotoli di plastica, 2001: l’importanza data alle piccole cose.

Gli ultimi pagliai a Grotta di Pellegrino Parmense, olio su juta a spatola, 1985.

Rino li ha fissati sulla tela, perché sapeva bene che era un’arte anche fare quei covoni, sovrapponendo il fieno o la paglia o l’erba medica in modo compatto al centro con spioventi per la pioggia sempre più piccoli fino in cima (f. 10).

Montmartre, 1986.

Le mie rose rampicanti, 2006.

Sotto la pioggia, 2017.

Ho avuto il privilegio di conoscere Rino Sgavetta, mi sono trovata in sintonia con lui e con molte delle sue opere. Non voglio convincere alcuno del suo valore, ma per me è stato grande: piccolo di statura, ma grande di temperamento e di cuore, in particolare pensando alle sue origini, alla sua umiltà, alla sua tenacia, alla sua passione, alla sua vasta e complessa produzione artistica, alla sua generosità.

Si è conquistato un suo spazio personale nel panorama dell’arte di queste terre, senza imitare alcuno, e io, davanti alle sue opere, rivivo l’emozione del momento ripreso e lo sento vicino.

 Vorrei ricordare, a proposito di “Francigena Fidenza Festival” che celebra “La bella Via dell’Europa”, dove si inserisce la Mostra, il grande quadro Il pellegrino sulla Via Francigena,1988, donato al Comune dal pittore e collocato nella torre medievale di Casa Cremonini, Sede dell’<Associazione Europea Vie Francigene>.

Credo sia stato un bel regalo a Fidenza che si trova in posizione strategica sulla importante Via di Pellegrinaggio, esattamente a metà del percorso di 3200 km fra Canterbury e Santa Maria di Leuca!

Avevo scritto: Realizzato a Santa Margherita, riprende una scena di vita reale anche se insolita: parte di una famiglia tedesca (marito e moglie) che percorreva la Via Francigena verso Roma, con una ventina di cavalli al seguito, in una sosta al Caseificio Censi. L’uomo con barba e capelli lunghi sembra spronare il suo cavallo, ormai stanco come gli altri attorno, alcuni dei quali portano in groppa zaini e tende arrotolate. Emblematico della fatica del cammino della vita che comunque deve proseguire. Per i colori, dove predomina un acceso e coinvolgente rosso violaceo, per il tema, quasi sacro, per le dimensioni, pure per la rilevante cornice, è una delle opere più significative di Sgavetta, la cui donazione è stata definita dall’allora Sindaco Cerri “un gesto molto nobile, accolto con grande soddisfazione”.

La Mostra prosegue fino all’11 giugno prossimo.

Fidenza 31 maggio 2023

II anniversario della morte.                                         Mirella Capretti

 

 


1 commento:

  1. Un pezzo di critica d'arte di non comune sensibilità che spinge letteralmente il lettore a precipitarsi alla mostra. Un evento da non perdere.

    RispondiElimina