La Mostra di Rino Sgavetta.
L’Assessore alla Cultura Professoressa Maria Pia Bariggi ha salutato i convenuti a nome dell’Amministrazione Comunale, aprendo l’incontro. Come sempre meravigliosamente disponibile, competente, pacata nelle sue parole - pur impegnata sul filo del minuto a presenziare le varie manifestazioni in corso, spostandosi, in bicicletta, da un posto all’altro di Fidenza - ha espresso con piacere la sua soddisfazione per essere riuscita a realizzare questa prima Mostra a due anni dalla morte del pittore - meritevole di grande attenzione - dopo la proposta fatta lo scorso anno alla famiglia di esporre a Casa Cremonini, non accolta perché era in corso la catalogazione delle opere.
Contento il figlio Gianni, perché Rino aveva desiderato in vita di esporre anche in quegli spazi e non vi era riuscito.
Lo scultore Giorgio Varani, curatore della Mostra, appena tornato da un viaggio a New York dove ha visitato i tre più grandi musei, il Metropolitan, il Moma e il Guggenheim, ha detto con convinzione che alcune opere di Sgavetta, potrebbero stare tranquillamente tra quelle raccolte.
Nella parete di fronte all’ingresso dello
Spazio Espositivo accoglie il visitatore un Autoritratto
del pittore con berretta (olio su tela a spatola, 1979), dove i piani di luce e
ombra danno rilievo e vita alla figura che sembra passare dietro a una
finestra. L’espressione decisa dell’uomo che guarda lo spettatore è tutto un
programma sul suo carattere e la sua personalità, quasi una sfida di sicurezza
del suo ruolo nell’arte, con i colori bruni tipici della sua tavolozza (f. 2).
Nell’angolo a sinistra un suo cavalletto,
prezioso strumento e compagno di lavoro quasi sempre al seguito nel suo peregrinare
tra le terre padane e anche oltralpe alla ricerca di un luogo, di uno scorcio, di
qualcosa, per fissare sulla tela la visione di un momento unico di vita, un’emozione
irripetibile.
Sopra,
un cartone con lo schizzo di Due figure.
Alcuni
vecchi disegni appesi, sempre su cartone (Nudo
seduto, 1981; Mucca, 1982; Uomo che legge, chiaroscurato con
tratteggio,1983) sono esempi di suoi studi.
Uno
particolarmente grande presenta l’abbozzo di una Donna con fazzoletto in testa che sta rastrellando: sicuramente la
moglie Maria, che l’aiutava nel lavoro dei campi, ripresa anche nel dipinto
delle stesse dimensioni, con una fascina in spalla, che ho sempre visto alle
pareti della sua casa.
Appoggiata su un supporto di vetro una tavolozza con gli ultimi colori che stava usando e le spatole di diverse misure.
Anche il dipinto a destra: Ruderi a Sinopoli Basso (RC), olio su
juta a spatola, 2001, è significativo per il caseggiato ripreso, lo spessore
dell’impasto e le tonalità dei colori. La Calabria è stata una terra molto amata
dal pittore, da là proviene infatti Antonella, moglie di Gianni, come pure la
grande radice di ulivo da cui ha tratto la scultura con motivo a linea chiusa La Pietà donata alla Chiesa di San
Giuseppe.
Di
questo quadro, pubblicato anni fa sul calendario del Risveglio, avevo scritto: Nell’inquadratura,
le vecchie case, addossate le une alle altre, sembrano sorreggersi a vicenda
quasi a interpretare i bisogni degli uomini che le hanno costruite e abitate,
ora che il tempo ha inciso in modo inesorabile sulle loro architetture. Le
tonalità intense delle pareti sgretolate e in precario equilibrio, conservano
ancora, intimamente, memoria di chi vi ha vissuto. Le pietre dei muri paiono
sfaldarsi diventando ancora terra, e uscire dalla tela, quasi per tornare alle
origini... (f. 3).
In Pista, 1999: una curva pericolosa.
I Tre fuggitivi, 1997: visti da dietro, immediati,
spontanei, leggeri, leggeri, che sembrano sparire da un momento all’altro.
Il Solitario nella nebbia: un uomo solo con le proprie forze che
stanno calando, nel buio della fatica...
Pantani, acquerello, 1999: a testa bassa verso impegnativi
traguardi, come solo lui sapeva fare. Al grande ciclista fatto finire
tragicamente, Sgavetta aveva dedicato anche una notevole opera in ferro dove la
sua figura si riconosceva tra i compagni di gara.
Gruppo, 1998: nell’insieme, le menti si annullano
per dedicare tutta l’energia possibile ai corpi, di rosso spessore sulla tela
nuda, che sembrano uscire dal quadro e venirci incontro.
Nell’angolo: Scultura in ferro verniciata di rosso, in cui il corridore si fonde
con le ruote e diventa un’unica linea che riesce magicamente a dare il senso di
un movimento velocissimo, che quasi l’occhio non percepisce... bloccandolo.
Appesa
al muro, ancora una Corsa con il
gruppo compatto visto da bordo strada, dove sembra di sentire il fruscio delle
ruote (f. 4).
Nell’altra parete, da sinistra: Tre velocisti, olio su juta a spatola, 2016; Due ciclisti, acquerello, 1996; Fuggitivi, collage di tele colorate - che Rino solitamente andava a comperare al mercato, ma usava anche stracci, fogli di giornale, cartone e altri materiali come inserti - e spatola, 2018, dove i due sembrano fondersi con l’aria che attraversano.
Nella stanza attigua: la scultura Intimità, legno d’olmo, 2008, in primo
piano; in fondo altra scultura
verniciata di nero lucido, su base di marmo.
Susino in fiore, Alseno (PC), olio su juta a spatola, 1991.
Dal mio calendario: Il tema del paesaggio,
molto caro all’artista, sempre ripreso rigorosamente dal vero, col passare
degli anni, viene continuamente interpretato, semplificato, quasi scarnificato,
ridotto alla terra, all’emozione data dall’atmosfera, dai colori; qui il
fascino della primavera che si risveglia in un albero fiorito esplode nelle
intense spatolate bianche. L’essenzialità che emerge è profonda e ricca di
significati, ma si capisce meglio se si conosce l’artista che con grande carica
umana, passione ed entusiasmo fissa le sue sensazioni nel quadro; non è in ogni
modo frutto di improvvisazione, ma nasce da una rielaborazione personale
sentita e sofferta, legata ad un’onestà interiore e ad un senso religioso della
vita mai traditi (f. 6).
Neve d’aprile, 1996.
Neve a Cabriolo, 1985.
Verde collina, 1988.
Ciliegi d’autunno, 1983.
Atmosfera invernale a
Pellegrino Parmense, 1993.
Castello di Bardi, olio su juta a spatola, 1993: il diaspro
rosso dello scoglio su cui sorge, diventa il colore delle sue mura.
Incendio (di colori?), 1997.
Porticciolo di Marina di Ravenna, olio su juta a spatola, 2002: lo spessore
del colore crea l’effetto dell’acqua increspata, dell’onda (f. 8).
Il Mulino Zanchi, 2014.
I quadri di Sgavetta, per i temi e per i
suoi personali accostamenti cromatici efficacemente materici, richiedono grandi
spazi per cogliere alle diverse distanze i mutamenti delle infinite tonalità di
colore e, difficili da fotografare, vanno visti dal vero per lasciarsi
catturare dai rilievi corposi, fra riverberi di chiaroscuro che si manifestano
col variare della fonte luminosa, in particolare con la luce radente.
Due barche, 1976.
IL Gozzo a
Sestri Levante, olio su juta a spatola, 1979.
“Quando andavo in ferie in Liguria, i miei
soggetti preferiti erano le barche da pesca...”.
Il
gozzo, barca ligure, bianco come certe nuvole del cielo di primo mattino, è
tirato in secca, la sabbia si fonde nel mare. C’è un senso di calma e di pace,
lontano dal vociare dei bagnanti sulla spiaggia, che porta alla riflessione di
una memoria senza tempo (f. 9).
I Girasoli, 1987.
Rotoli di plastica, 2001: l’importanza data alle piccole cose.
Gli ultimi pagliai a Grotta di
Pellegrino Parmense, olio
su juta a spatola, 1985.
Rino
li ha fissati sulla tela, perché sapeva bene che era un’arte anche fare quei
covoni, sovrapponendo il fieno o la paglia o l’erba medica in modo compatto al
centro con spioventi per la pioggia sempre più piccoli fino in cima (f. 10).
Montmartre, 1986.
Le mie rose rampicanti, 2006.
Sotto la pioggia, 2017.
Ho avuto il privilegio di conoscere Rino Sgavetta, mi sono trovata in sintonia con lui e con molte delle sue opere. Non voglio convincere alcuno del suo valore, ma per me è stato grande: piccolo di statura, ma grande di temperamento e di cuore, in particolare pensando alle sue origini, alla sua umiltà, alla sua tenacia, alla sua passione, alla sua vasta e complessa produzione artistica, alla sua generosità.
Si
è conquistato un suo spazio personale nel panorama dell’arte di queste terre,
senza imitare alcuno, e io, davanti alle sue opere, rivivo l’emozione del
momento ripreso e lo sento vicino.
Credo sia stato un bel regalo a Fidenza che si trova in posizione strategica sulla importante Via di Pellegrinaggio, esattamente a metà del percorso di 3200 km fra Canterbury e Santa Maria di Leuca!
Avevo scritto: Realizzato a Santa Margherita, riprende una scena di vita reale anche se insolita: parte di una famiglia tedesca (marito e moglie) che percorreva la Via Francigena verso Roma, con una ventina di cavalli al seguito, in una sosta al Caseificio Censi. L’uomo con barba e capelli lunghi sembra spronare il suo cavallo, ormai stanco come gli altri attorno, alcuni dei quali portano in groppa zaini e tende arrotolate. Emblematico della fatica del cammino della vita che comunque deve proseguire. Per i colori, dove predomina un acceso e coinvolgente rosso violaceo, per il tema, quasi sacro, per le dimensioni, pure per la rilevante cornice, è una delle opere più significative di Sgavetta, la cui donazione è stata definita dall’allora Sindaco Cerri “un gesto molto nobile, accolto con grande soddisfazione”.
La Mostra prosegue fino all’11 giugno prossimo.
Fidenza
31 maggio 2023
II
anniversario della morte.
Mirella Capretti
Un pezzo di critica d'arte di non comune sensibilità che spinge letteralmente il lettore a precipitarsi alla mostra. Un evento da non perdere.
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