martedì 10 dicembre 2019

"La v'ceta...", ricordi di un “mondo picccolo”


Ricordi di un “mondo piccolo”che ha fatto di noi 
le persone che siamo oggi...

Le feste, o meglio la loro attesa, cominciavano con la novena dell' Immacolata in una chiesa, la nostra, affollata soprattutto di donne vestite di scuro, imbacuccate per difendersi dal freddo ormai proverbiale del luogo, reso ancor più intenso in quella vastità sotto le alte crociere delle navate. 

Mi ricordo stretta nel banco tra mia nonna e mia mamma, assonnata e con l' unico desiderio di trovarmi nel letto caldo che un provvidenziale “prete"  teneva in serbo per me. Non ricordo che a scuola si facesse il presepe, ma neppure di albero si parlava. 
Preparavamo, invece le canzoni da cantare in chiesa. Il curato arrivava e con l'armonium e molta serietà cercava di mettere d'accordo le nostre voci e di farci rispettare il testo di Astro del Ciel e Adeste fideles... senza strafalcioni .
Arrivava Santa Lucia, che non si disturbava più di tanto e il discorso regali era chiuso prima ancora di cominciare, ma noi ormai avevamo un altro pensiero: la letterina di Natale e non era una preoccupazione da poco! Sceglierla bella, con i brillantini, che aprendola avesse figure che si alzavano, diversa dall'anno prima e che non costasse molto. Ne dovevamo parlare almeno con la mamma, per il papà doveva apparire  una sorpresa.
A scuola con la maestra ci sforzavamo di mettere insieme un testo in cui riconoscere i nostri comportamenti scorretti e trovare un equilibrio con le promesse di migliorare. Il momento impegnativo era la trascrizione, una goccia di inchiostro era sempre in agguato pronta a cadere nel bel mezzo del foglio e proprio l'ansia ci giocava brutti scherzi.
Le poste funzionavano a pieno ritmo, cartoline di auguri si intrecciavano tra parenti ed amici benché distanti pochi chilometri, ma il desiderio della vicinanza almeno con il pensiero era forte, simbolo di rapporti affettivi e familiari intaccabili e stretti intorno alla famiglia d'origine.
Cominciavano le vacanze che avevano un solo significato: non si andava a scuola!
La cucina si animava, la mancanza di frigoriferi obbligava a concentrare i preparativi negli ultimi giorni prima della festa. Profumi ed aromi inconsueti si diffondevano, erano il segnale di un'atmosfera nuova, di qualcosa che ripeteva un rito e noi bambini ne assorbivamo il senso, non capivamo tutto e neppure che il ricordo di quella cucina, del matterello che batteva sulla spianatoia, del profumo della noce moscata...ci avrebbe  ogni volta riportato con stringimento di cuore a quella cucina, a quella nonna e a quella mamma tanto presenti con il loro amore in tutto ciò che facevano.

Ero piccola, ma ho ancora viva la sorpresa per il piccolo presepe che la sera della vigilia nostro padre preparava mentre noi dormivamo. Su un deschetto da calzolaio nell'angolo della cucina al nostro risveglio ci attraeva una luce: in una grotta sagomata con carta da pacco stavano le statuette di Maria, di Giuseppe, del bue e dell'asino, sulla paglia era adagiato un bambolino giocattolo nudo che mia nonna si affrettava a ricoprire con un ritaglio di stoffa per proteggerlo dal freddo. 



Due pastori, una donna con l'abito verde e una manciata di pecorelle accosciate, tutte uguali completavano la scena su un tappeto di muschio, l'erba-tepa, come la chiamavamo noi e una delle abat-jour della camera da letto dava luce in trasparenza dietro la grotta.
Ogni anno si rinnovava una sorpresa: un amico di nostro padre, nato e cresciuto nelle nostre campagne, che aveva cercato e fatto fortuna lontano dal paese, non dimenticava i suoi compagni di giochi che erano rimasti e puntualmente arrivava  per ognuno  il panettone, grande, racchiuso in una “cappelliera” blu o marrone, Alemagna o Motta. 
Quel dolce era religiosamente conservato e da Natale all'Epifania per ogni festa ne veniva tagliata  una piccola fetta per ciascuno, eravamo in sei a tavola!

I giorni di vacanza avevano tante ore da riempire, non solo con i compiti. C'era la sorpresa per l'arrivo di qualche parente o conoscente, gli adulti stavano seduti e parlavano, ridevano, ripercorrevano ricordi e noi bambini intorno a quel punto caldo di familiarità, di amicizia consolidata imparavamo a conoscere, spesso curiosi del significato di parole sussurrate in un improvviso abbassarsi della voce ...

Vi sono sensazioni ed emozioni che ritornano uguali negli anni e mi rivedo nel caldo del letto con i vetri delle finestre arabescati di ghiaccio immersa nella lettura, immedesimata nei personaggi a vivere le loro avventure. 
Nulla ho dimenticato... 
E arrivava anche l'Epifania con i Magi nel presepe, che ogni giorno avevano fatto un piccolo passo.  Era la festa dei bambini, che aspettavano di vedere “la Vecia”, ma spesso lei  dimenticava  di fermarsi...
Marisa Guidorzi

3 commenti:

  1. Racconto fantastico! Sono commossa.

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  2. Sono ricordi che risvegliano tante emozioni e commozione. Amch'io sono vissuta in quel periodo di ristrettezze economiche, ma ricco di calore umano, di affetto, del saper essere felici del poco. Nei nostri occhi brillava la serenità. I bambini di oggi hanno tanti regali, tanto superfluo, ma i loro occhi sono disincantati, sperduti. Con tutto quello che mancava, allora eravamo più felici

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