domenica 16 aprile 2017

Contento come una Pasqua?

In questo articolo Franco Bifani ci parla di un'altra Pasqua, quella che nel secondo novecento si riteneva "tradizionale", arricchita dalle migliorate condizione economiche. Era quella forse la vera Pasqua?
Franco non risponde, raffronta la sua Pasqua con quella d'oggi e ne vede le differenze, il suo commento è "morbido", sa di nostalgia e di disagio verso il presente.



Caro Ambrogio,
non è che io voglia qui impiantare una discussione su come si sia ridotta la Pasqua, oggi, corredandola con lamentazioni savonaroliane; non sono un bigotto biascica-preci impenitente. Mi limito a qualche osservazione.
Da para-cattolico, pieno di dubbi e di stanchezze, qualche labile, tenue fiammella di fede, forse, sopravvive, celata dentro di me. Ma oggi, soffocato tra tonnellate di uova pasquali, di colombe, mandorlate o farcite, tra ricette di costolette e cosciotti di agnello e capretto -che io assolutamente non assaggio nemmeno!- , mi sovviene delle Pasque di una volta, confinate ormai all'Archeozoico della mia vita, giunta al 72° anno. Echi  perduti in un tempo ed uno spazio alla cui ricerca è vano incamminarmi, quale imitatore del grande Proust.
Era quando si andava alla Messa solenne, cantata, interminabile, tutta la famiglia, ed io e mio fratello ripetevamo le canzoncine, che ci aveva insegnato mio padre, di quando, a Pasqua, ci si sente puri e contenti, lo si scrive su tutti i muri, lo si grida ai quattro venti.
Oh, sì, anche allora, il pranzo era speciale, dagli antipasti, con salumi e riccioli di burro, alici piccanti Rizzoli, sontuosi primi e secondi, il fiasco di Chianti Ruffino, per mio padre; infine, un tocchetto di uovo di cioccolato, la stupefacente sorpresa, una fettina di colomba, solo mandorlata, allora.
Noi bimbi ci eravamo confessati e comunicati, ci pareva quasi di adire le porte sfavillanti del Paradiso.
Ora, invece, io, e forse non io solo, mi sento intristito, sperduto, sfiduciato e solo, fatico ad esprimere una sola breve, semplice, sincera preghiera. Se passo dinnanzi ad una chiesa, vedo ancora gente, che va e viene, entra ed esce. Sono forse gli ultimi superstiti di una fede sincera, o non fanno che reiterare abitudini e riti ancestrali?
Non so che pensare e che fare, non so come riempire questa sensazione di vacuità, che mi soffoca ogni invocazione alla Trascendenza.
Come alibi, devo forse, ancora una volta, dare la colpa alla società, alla TV, ai tempi che corrono, come fanno in tanti, troppi?
Franco Bifani




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