Pubblichiamo il testo integrale del discorso ufficiale di Luca Ponzi a chiusura della cerimonia di commemorazione dell'uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato 35 anni fa (3 settembre 1982) dalla mafia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente di polizia Domenico Russo. La cerimonia si è svolta al cimitero della Villetta questa mattina 3 settembre 2017.
Buon giorno a tutti.
Trentacinque anni sono un tempo importante. Sufficientemente lungo per fare qualche valutazione, un primo bilancio.
Trentacinque anni sono passati dall'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo.
Così vorrei provare oggi, nel giorno del ricordo, della celebrazione della loro memoria, a tracciare con grande umiltà un bilancio.
Il generale era un militare, un uomo d'azione a cui un momento rituale, per quanto sentito, probabilmente non sarebbe bastato.
Chiara a tutti è l'importanza del suo lavoro al servizio dell'Italia, come patriota prima, e poi come carabiniere, quando ha affrontato le due grandi emergenze criminali del nostro paese: il terrorismo e la mafia.
Ha vinto contro i terroristi, ma dalla mafia è stato ucciso.
Ci sono stati processi e condanne, per la morte del generale, della moglie e dell'autista. Ma c'è anche un passaggio, nella sentenza che certifica la sconfitta non del prefetto Dalla Chiesa, ma di tutti noi, dello Stato.
Scrivono i giudici:
"Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale".
Non sono parole a caso. D'altronde, nella sua ultima intervista tre settimane prima di morire, il prefetto Dalla Chiesa aveva risposto a Giorgio Bocca, grande giornalista piemontese e schietto come lui, che la lotta al terrorismo era stata in un certo senso più facile perché
"allora avevo dietro di me l'opinione pubblica, l'attenzione dell'Italia che conta"
È facile intuire che cosi come i giudici che abbiamo citato prima, anche un uomo come Carlo Alberto Dalla Chiesa scegliesse con cura le parole da affidare ad un quotidiano, destinate a rimbalzare in pubblico e nelle stanze del potere. E con questa frase ci ha voluto costringere a capire come non tutta l'Italia che conta fosse impegnata nella lotta alla mafia. Fosse convinta di questa priorità. Purtroppo, è una verità che resta tremendamente attuale 35 anni dopo. Lo hanno dimostrato le ultime, più recenti inchieste giudiziarie, come ad esempio l'indagine Aemilia, che hanno coinvolto anche la nostra città. Non tutti, emerge, si sono impegnati a contrastare la malavita organizzata. Molti, troppi, anche ad alti livelli istituzionali, hanno preferito far finta di non vedere, hanno consentito ad una cosca di straccioni di far man bassa delle risorse dell'Emilia
Romagna e, grazie proprio a quelle risorse, diventare forte e pericolosa.
Il generale Dalla Chiesa era perfettamente consapevole di quanto stava accadendo in Italia, di quali concreti vantaggi il Paese e parte delle sue istituzioni stavano concedendo ai mafiosi.
Basta rileggere un altro passaggio di quell'ultima intervista, che alla luce di quanto accaduto 23 giorni dopo diventa una sorta di testamento.
"La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali"
Ognuno di noi si può interrogare su quanto queste parole siano vere anche oggi. Anche qui. Il generale proseguiva poi nella stessa risposta:
"Mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere"
Basta sedersi qualche ora in un'aula giudiziaria del nord Italia, anche qui vicino a noi, a Bologna o a Reggio Emilia, ed ascoltare una deposizione a caso, di un investigatore, di un testimone qualsiasi, per avere la nitida contezza di quanto le affermazioni del prefetto Dalla Chiesa fossero esatte.
Non si trattava di preveggenza, non si trattava di intuizione investigativa. Ma, come ho detto prima, di consapevolezza. È per questo che la mafia ha deciso di uccidere il generale, la moglie Emanuela e l'agente Domenico Russo.
Perché non esiste una mafia lontana dal denaro e dal potere politico.
E chi si avvicina a questi due pilastri della struttura criminale deve essere tolto di mezzo. Anche se è un prefetto. Anche se è la massima espressione dello Stato.
Commemorazioni come questa sono importanti, non lo nego. Per rispetto di chi è morto. Per vicinanza a chi è rimasto a piangerlo. Ma rischiano di restare solo dei momenti, scogli isolati in un mare di omissioni, dilazioni, rimpalli di responsabilità.
Il messaggio che dovrebbe rimbombare da questa tomba è invece chiarissimo.
La lotta alla mafia si fa qui, oggi, a Parma, in Emilia Romagna, nel nord Italia, quando ci chiediamo con chi stiamo facendo affari, a chi consegniamo una concessione edilizia o una licenza commerciale, a chi apre la strada il nostro piccolo abuso o la nostra richiesta di raccomandazione.
Il sacrificio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Emanuela Setti Carraro, di Domenico Russo, non sarà mai vano. Perché sono morti credendo in qualcosa.
Ma se non raccoglieremo il loro messaggio, ad esser vane saranno state le nostre esistenze.
Grazie
Buone parole e buon intento. Giusto commemorare per non dimenticare che queste ed altre morti hanno lasciato a chi rimane il compito di continuare la logoro opera interrotta.
RispondiEliminaSe però non provvediamo con ogni mezzo affinché i nostri figli e i nostri nipoti assimilino dei valori sacrosanti di onestà , di legalità, di giustizia e di responsabilità civile, ci ritroveremo a ripetere i soliti gesti validi solo per chi tali principi li vive ogni giorno.
Il generale Dalla Chiesa non è stato ucciso dalla mafia, ma da alcuni membri del,governo, di cui la mafia è stata solo l'esecutrice materiale, come le BR per Moro, Fioravanti e la Mambro per la bomba di Bologna.
RispondiEliminaLuca, Bravo e coraggioso.
RispondiEliminaDella Tua Meditazione, che condivido,
ho assistito a diverse commemorazione, in tutte ho ascoltato molto retorica,
Luca ci ha portato la sua testimonianza di giornalista esperto in materia giudiziaria, un invito chiaro e preciso agli uomini che gestiscono il potere politico, di decidere sempre con la consapevolezza che le loro semplici decisioni, anche quelle che possono essere considerate di poco conto, possono favorire o ostacolare il proliferare il fenomeno mafioso,
grazie Luca.
L'Anonimo di Borgo
Bravo Luca, anche da parte mia.
RispondiEliminaLuca si documenta, sa essere profondo, dicendo la verità senza buttarla in faccia, una verità che fa male, ma che onora un lavoro, quello del giornalista, che, se condotto con onestà - sembra impossibile - sta diventando sempre più difficile e rischioso anche nella nostra cara Italia.
Due cose:
- Non un cenno, sulla Gazzetta di oggi, del discorso di Luca nell'articolo che riguardava la commemorazione alla Villetta...
- In un flash di un TG di ieri, ho visto la figlia del generale Dalla Chiesa, Rita, avvicinarsi al luogo dove hanno ucciso il padre con una bandiera italiana piegata in mano: le hanno impedito di stenderla...
Io non so commentare.
Mirella