Ricordando il "maestro, appassionato cultore e raccoglitore di memorie patrie", pubblico alcune pagine da un "manoscritto che don Guglielmo Laurini depositò a suo tempo presso l'archivio comunale".
Furono pubblicate da "il Risveglio", settimanale diocesano da lui diretto per molti anni, nel 1950 in occasione del primo anniversario della morte avvenuta nel giorno di san Silvestro del 1949 di cui ricorre quest'anno il settantesimo.
Il manoscritto parla di un evento storico avvenuto a Borgo san Donnino che solo lontanamente ci rimanda alla famosa "Lega di Pontida", i personaggi sono diversi ma all'episodio noi abbiamo comunque dedicato una piazza chiamata appunto "Pontida", non è proprio quella che oggi porta quel nome ma comunque è lì accanto.
In quegli anni Borgo San Donnino era al centro di un complesso gioco di equilibri politici e territoriali e, a mio avviso, subì l'avvenimento e il cuore dei suoi cittadini guardava altrove.
Un quadro di Amos Nattini nel corridoio di accesso alla Sala del Consiglio Comunale ricostruisce liberamente l'avvenimento che avvenne nella chiesa del monastero di S. Giovanni. Cavalli e pedoni poggiano i piedi in quella che oggi è Piazza G. Verdi.
In quegli anni Borgo San Donnino era al centro di un complesso gioco di equilibri politici e territoriali e, a mio avviso, subì l'avvenimento e il cuore dei suoi cittadini guardava altrove.
Un quadro di Amos Nattini nel corridoio di accesso alla Sala del Consiglio Comunale ricostruisce liberamente l'avvenimento che avvenne nella chiesa del monastero di S. Giovanni. Cavalli e pedoni poggiano i piedi in quella che oggi è Piazza G. Verdi.
Ambrogio Ponzi
Una vecchia piazza di Fidenza conserva un solenne ricordo della storia medioevale italiana
La “Lega di Pontida” riconfermata in Borgo San Donnino
La slealtà di Arrigo sdegnò sommamente i Parmigiani, i quali si proposero di recuperare Borgo, e sembra, anzi, che vi siano riusciti coll’aiuto dei Marchesi di Malaspina poiché vediamo che l’imperatore tornò ad impegnare di nuovo Borgo al comune di Piacenza, arricchendolo anche, a premio della di lui lealtà, del dazio di Fiorenzuola e di Borgo stesso.
Fremevano i parmigiani e con loro ardevano pure di sdegno altre città del Lombardia, specialmente per i frequenti atti di slealtà e di prepotenza che l’imperatore svevo andava compiendo. Egli, infatti, dopo d’aver venduto ai piacentini Borgo e Bargone, aveva anche ceduto Crema ai cremonesi, della qual cessione si erano adontati in particolare i milanesi, e poscia aveva posto al bando Brescia.
Appena Arrigo si pose in via per ritornare in Germania, i milanesi mossero a tumulto quante città mai poterono, facendo loro conoscere come fosse da temere un imperatore di fede così malsicura e prava, per cui comprometteva in tal modo i popoli.
Poche furono le città che non condividessero tale massima, e, volendosi indire un convegno venne scelto Borgo S. Donnino, dominato dai piacentini.
Ivi infatti, sulla fine del luglio dell’anno 1195 convennero i Rettori e Legati di Milano, Brescia, Pavia. Mantova, Verona, Bologna, Faenza, Modena. Reggio Emilia, Piacenza, Tortona e Gravedona e strinsero una lega fortissima con le città delle Romagne e delle Marche, rinnovando così contro Arrigo quell’alleanza che già il 17 aprile 1167 avevano giurato tra loro ed altre Città in Pontida, ai danni di Federico Barbarossa.
Di questo Convegno parlano storici tra i quali il Muratori e il Cherier. Costui però dice erroneamente che il convegno ebbe luogo il 20 luglio nella chiesa maggiore di S. Donnino, mentre si tenne il 30 luglio e non già in S. Donnino bensì accanto al monastero di S. Giovanni e la lega fu giurata nella Chiesa dello stesso Santo come si ricava dall'atto di questa assemblea riportato dal Muratori e dal Sigonio,
In quest’atto si legge “Tertio Kal. Augusti 1195 – Haec omnia facta sunt prope Burgem Sancti Domnini, justa Monasterium Sancti Domnini, justa Monasterium Sancti Joannis Baptistae. Eadem die in Ecclesia supradicti Sancti, Pauolo post, isti, qui inferius legentur, praedictum sacramentum juraverunt”.
Ed ecco la formula di giuramento che ciascun legato pronunciò:
“Ego iuro in omnibus civitatibus Lombardiae, Marchiae et Romaniae me concessiones, promissiones et paciones, quae in tabulis pacis inter legatos Imperatoris et Moderatores Legatosque civitatum foederatorum compositae continentur, ratos habiturum”.
L’atto fu esteso, per ordine dei Rettori della città rappresentati nel convegno, da Iacopino notaio di Arrigo Imperatore, alla presenza di Gambarina, notaio di Verona, di Giovanni, notaio di Mantova, e di Addrigeto, notaio di Padova.
Al convegno erano presenti: Giordano Valitta, Rettore, Corrado Giudca e Manfredo Pozzobello per Milano; Balduino di Sala, Rettore, Gualperto da Cavalcora, Desiderio Giudice e Guglielmo da Sala per Brescia; Quiliano Vica Domino, Rettore, Bonaventura Giudice e Aldebrandino da Agnello per Mantova; Ugo di Corado Rettore, Matteo Giudice e Roccabadata per Reggio Emilia; Oberto de Balso Rettore e Guido Lambertino per Bologna; Ugone da Sasso, Rettore, per Faenza; Olderigo da Roncovetere, Rettor, per Piacenza; Assaia Rettore e Rogato Giudica per Padova; Pacato da Gorzano e Gandolfo, Giudica per Modena; Giovanni Cavazza Rettore ed Umberto da Lambersoni per Gravedona, ecc.
I parmigiani che vollero partecipare al convegno studiavano come avrebbero potuto impadronirsi del nostro Castello i cui abitanti dimostravano di non essere del tutto contenti della Signoria di Piacenza. Infatti il Canonico Campi dice che nel 1197 “dubitando i piacentini che gli abitanti della terra di san Donnino non si ribellassero, con nuovo giuramento di fedeltà nella chiesa loro li fece obbligare”,
Anche nell’anno precedente i piacentini avevano preteso lo stesso giuramento non solo dai cinque consoli del nostro borgo, ma da ben centocinque notabili del luogo.
Però i parmigiani risoluti di ricuperare Borgo presero a fabbricare a rio Sanguinaro un castello per essere così più vicini a combattere i borghigiani. Ma i piacentini alla loro volta vigilavano e mandavano per il contado spie ad indagare l’animo delle persone con processi e minacce.
Papa Innocenzo III dolendosi che fra i parmigiani e i piacentini continuassero ad ardere tali inimicizie aveva probabilmente, dice l’Affò, commesso a Pietro campana Cardinale Diacono di Santa Maria Inviolata, che nel ritornare dalla sua Legazione di Polonia, vedesse di adoperarsi per pacificare le due città in contesa.
Guglielmo Laurini
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