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lunedì 13 gennaio 2014

Il dialetto non crea appalti



I Consiglieri Provinciali Manfredo Pedroni e Barbara Zerbini hanno presentato oggi al Consiglio provinciale di Parma un Ordine del Giorno avente per oggetto la tutela del Dialetto come parte del patrimonio culturale. 

Risulta infatti l’abolizione della L.R.45/94 per la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e letterario rappresentato dai dialetti presenti nella Regione Emilia – Romagna.
Il disinteresse della nostra regione contrasta con quanto avviene in altre regioni come la Sardegna, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, la Toscana, la Campania, la Puglia e la Sicilia.
I promotori chiedono pertanto che venga rivista l’assurda decisione di abolire la L.R. 45/94 e che la Provincia dia concreto a sostegno di tutte le attività culturali, teatrali, musicali, scolastiche ed editoriali a supporto della cultura del dialetto.
Abbiamo chiesto parere alla vestale del dialetto borghigiano e ne uscito questo pezzo che proponiamo auspicando che su di esso si innestino altri interventi, anche critici, sull'argomento del dialetto.



Perché dobbiamo sostenere questa battaglia


L'intento di abolire la L.R. 45/94, non mi colpisce perché toglierà gli opportuni finanziamenti a chi si occupa di dialetto in quanto io, come "insegnante di dialetto" non ho mai percepito nulla ad eccezione di una volta (1986). Si tratta dell'anno in cui, ben 50 classi, tra Elementari e Medie, aderirono all'iniziativa di portare la grammatica e la sintassi del vernacolo nelle aule scolastiche; iniziativa perorata dal dr. Bonvini, all'ora direttore delle Elementari e dalla Prof. Genzia Boni, insegnante di Lettere alle Medie. Fu la stessa Prof. Boni a richiedere al Comune di Fidenza ch'io venissi retribuita per la grande ed inaspettata mole di lavoro che mi impegnava ogni giorno della settimana (ben volentieri). Mi furono corrisposte 820mila lire per tutto l'Anno Accademico e ne fui lietissima.
Ribadisco, quindi, che non ne faccio una questione di denaro, ma mi rammarico profondamente perché, ogni giorno di più, la cultura e la conoscenza vengono spinte verso un burrone dal quale non sarà possibile risalire.

Qualche dialettofobico può dire: Cultura e Dialetto cos’hanno da spartire? Ci vorrebbe un quinquennio accademico per riuscire a spiegar loro ciò che vado dicendo e scrivendo da trentacinque anni ed in questa sede, mi limiterò alle cose essenziali.

La Cultura è un diamante a più sfaccettature ed il dialetto è una di esse (copertina di 4ª ...Sì...Tò Surèlla Cävala a n’Òppi).
Il dialetto non è una sottolingua o una corruzione della lingua nazionale; è una lingua autonoma con la sua grammatica, la sua sintassi la sua interessantissima etimologìa, indagando la quale, veniamo a conoscere la Storia, la Geografia, le tradizioni e persino la politica della nostra zona.  

Il dialetto non è il giullare delle lingue; quello col quale ridere e raccontare barzellette, neppure è solo la lingua delle Commedie dialettali, ma è la nostra Lingua Madre, cioè espressione di preghiere, di dolore, di cultura, di conoscenza, di tradizioni (non soltanto contadine).

Non è neppure vero che il dialetto sia una lingua morta. È molto più languente l’Italiano, soffocato dai neologismi e dall’anglosassone imperante.

È errato pure il concetto che sia solo una lingua parlata: la poetessa Saffo scriveva in un dialetto eolico; Iacopone da Todi, scriveva in dialetto, così come Framcesco d’Assisi. Per non parlare di Dante che ha scritto La Comedia in dialetto fiorentino, pur non ritenendolo adatto a diventare la Lingua Nazionale (non è stato profetico, perché, invece, lo è diventato). Nelle mie ricerche, sapeste quanti documenti scritti in dialetto ho trovato. Quelli a conoscenza di tanti sono: La Carta Capuna = Sao ke kelle terre etc; L’Indovinello Veronese = Sè pareba boves etc. fino ad entrare nei documenti giuridici del X-XII-XII sec. dove, per la nostra zona, ho trovato termini in uso ancor oggi nel nostro vernacolo.


Conoscere il dialetto e impararne la traduzione italiana, diventa un arricchimento linguistico senza pari e noi, in Italia, possiamo contare su un patrimonio di varietà dialettali simile solo all’India. Attualmente, siamo ricchi quasi esclusivamente di dialetti, di varietà culinarie, di antichi monumenti e dobbiamo puntare su queste cose per salvaguardare la nostra identità. Dobbiamo amarci di più, rispettarci di più, avere più fiducia in noi proprio attraverso queste cose che sono Mare Nostrum. E..intèl reni, la francofilìa, l’anglofilìa, la chinofilìa e la tugnötfilìa.
Claretta Ferrarini

Citazione:
I dialetti rimangono unica memoria di quella prisca Europa, che non ebbe istoria e non lasciò monumenti.
Cattaneo

3 commenti:

  1. Come vernacolista e come comune borghigiana emiliana, ringrazio i consiglieri provinciali Manfredo Pedroni e Barbara Zerbini per la tenacia e la fede con le quali portano avanti questa battaglia. Tutelare i dialetti significa anche salvaguardare l'Italiano, infatti se la nostra lingua nazionale non avesse tratto le sue origini dai dialetti, oggi parleremmo un italiano molto più povero e molto meno espressivo. Inoltre, permettetemi, esimi detrattori della L.R.45/94, lo sapete che mi scappa persino da sorridere nel pensare che, molti di voi non si accorgono di parlare in tanti dialetti pur credendo di esprimersi in un perfetto italiano. Ed ecco un assaggio: pizza; mozzarella; camorra (dial. campano); mafia (siciliano); persona, mondo, satellite (etrusco); bufalo (osco umbro); gondola, basilico (bizantino); cotecone (bolognese); caffè, assassino (arabo); lama, patata (iberico) e potrei continuare ad oltranza. Donca: insla beata a chi dice che i dialetti non appartengono alla vera cultura.

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  2. Sante parole le tue, cara Claretta, io inorridisco a sentire i miei figli parlare una lingua ibrida che alla fine storpia la grammatica ed il voacabolario della lingua italiana ed esula da quelle che sono le nostre radici relative al dialetto, più volte mi sono arrabbiato con loro, ma ahimè senza ottenere risultato alcuno. So che succede così quasi a casa di tutti, ma di questo passo dove finiranno le nostre radici linguistiche? Ricordiamoci quel famoso detto: il popolo che ignora le proprie radici e la propria storia è un popolo senza futuro

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  3. Il dialetto, almeno dal secondo dopoguerra, si è ristretto vieppiù, dinanzi al dilagare di neologismi,e non solo d'importazione straniera, ma riguardanti la scienze e la tecnica. Man mano che vengono introdotti vocaboli nuovi, a designare oggetti e persone di recente utilizzo, il dialetto si trova dinnanzi all'impossibilità di denominarli con sostantivi ed attributi suoi proprii e si limita a dialettizzarli. Il dialetto si è sempre fermato ad un livello espressivo quotidiano, sulla base di un lessico e di regole grammaticali e sintattiche ancestrali, anteriori al latino, addirittura con radicamenti a linguaggi pre-indoeuropei. Ora è sempre più assediato e sormontato da un italiano bastardo, composto da un substrato, pure lui millenario, ma frammentato in centinaia di diverse forme, molto spesso inintelleggibili tra loro. Il dialetto, infatti, non è una deformazione del latino, divenuto poi italiano,ma costituisce una varietà notevole di linguaggi, indipendenti gli uni dagli altri, specie quando non esisteva circolazione di idee e di scritti. Un bresciano, un sardo, un genovese, un calabrese, non parlano varietà di italiano modificato dal popolino, ma idiomi, simili all'italiano, ma tra di loro incomprensibili e con scarse affinità reciproche.

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