giovedì 5 giugno 2014

Salvare il dialetto si può: l'appello di Manfredo Pedroni, aiutiamolo!


Ambrogio,
                   come vedi anche il nostro O.d.G. a difesa dei dialetti ha contribuito a far si che la memoria, la nostra cultura, non andasse perduta, sarebbe bello e interessante se attraverso il Tuo Blog venissero avanzate proposte, di integrazione alla proposta di legge in discussione, il tempo stringe, l’ultimo Consiglio provinciale è programmato per il 16 giugno, se ho proposte valide potrei predisporre un nuovo O.d.G., per contribuire alla stesura di una legge rispondente ai nostri bisogni a tutela della cultura e delle nostre tradizioni, chiuderei in bellezza il mio mandato.
Saluti, 
Manfredo Pedroni

In Regione si discute una nuova legge per proteggere i dialetti dell’Emilia, anche se sui modi migliori per non perdere la parlata dei nostri nonni ancora non c’è accorso.
È iniziata in commissione Cultura della Regione Emilia-Romagna la discussione di due progetti di legge finalizzati alla salvaguardia e valorizzazione dei dialetti. Il testo-base è stato depositato da nove consiglieri dei gruppi Pd e Sel-Verdi, l’altro documento è a firma Giovanni Favia del gruppo misto. Nelle intenzioni espresse in entrambi, si tratta di rilanciare gli obiettivi non raggiunti con la Legge regionale 45/1994, abrogata nel dicembre scorso. L’Emilia aveva infatti già una norma salava-dialetti, ma è stata un fallimento. La legge abrogata aveva affidato all’Istituto per i Beni culturali il compito di conservare, proteggere e trasmettere quello che a tutti gli effetti è un bene culturale: i diversi dialetti della Regione. L’Istituto a sua volta si era proposto di farlo attraverso l’istituzione di un osservatorio linguistico, di un archivio lessicale, di un corpus di documentazione toponomastica e di una banca dati della memoria contadina, artigiana e industriale. Troppo! Per fare tutto questo sarebbero serviti molti soldi, che invece non c’erano. La vecchia legge è morta proprio per mancanza di denaro.
Il progetto di legge della maggioranza propone una serie di interventi pro-dialetti: la promozione di studi e ricerche sui dialetti locali in collaborazione con Università e centri di ricerca; l’organizzazione di seminari, convegni e corsi di aggiornamento; la costituzione di un fondo bibliografico specialistico e un archivio documentale consultabili on-line; la messa in rete degli archivi e dei fondi pubblici e privati esistenti in lingua dialettale e la creazione di specifiche sezioni nelle biblioteche. Sono previsti anche progetti didattici rivolti alle nuove generazioni ed il sostegno a manifestazioni artistiche e letterarie di vario genere, premi e sovvenzioni per studi e ricerche, tesi di laurea e di dottorato, associazioni impegnate nell’attività di tutela e diffusione dei dialetti regionali.
Chi dovrebbe occuparsene? L’Istituto dei beni artistici, culturali e naturali della Regione. Mentre un comitato scientifico di undici persone (non retribuite) avrebbe il compito di dare consigli e vigilare sul rispetto alle azioni previste. Sul bilancio 2014, si propone di stanziare 50mila euro.Il progetto di legge Favia mette invece al cenro la diffusione dei dialetti a scuola, anche se pure qui si prevedono “interventi di valorizzazione delle lingue locali storicamente utilizzate nel territorio regionale, attraverso attività di studi e ricerche storiche, seminari, sostegno alle attività editoriali, culturali teatrali e cinematografiche”. Anche in questo caso, l’attuazione della legge sarebbe affidata all’Ibacn e la Regione dovrebbe garantire l’assegnazione all’Istituto di un finanziamento annuale.
Il parmense Roberto Garbi (Pd) ha suggerio anche di “prevedere di fissare la memoria orale in dizionari stampati” e di incentivare le “compagnie teatrali che si esibiscono in dialetto, anche conservado i canovacci alla base di queste recite”.

6 commenti:

  1. Sono d'accordo sul salvataggio e la conservazione dei dialetti; però, non fissiamoci troppo suun falso problema. Ancor oggi, c'è gente che si esprime in un patois tra dialetto e lingua, storpiando, spesso, entrambi i linguaggi. I tempi di "Non è mai troppo tardi" non sono così lontani. Non parliamo poi dell'italiano usuale e corretto, dove fior di diplomati e di laureati scrivono sfondoni, a destra e a manca, sia con la tastiera del PC, che con una penna, utilizzando una calligrafia orribile ed illeggibile. Ben venga la difesa dei dialetti, ma cerchiamo, nel contempo di istituire corsi di lingue straniere, fin dalle Elementari, come fanno persino nei Paesi del Quarto Mondo. Noi italiani siamo del tutto ignoranti ed ignari di altre lingue, non sappiamo spicciare una frase in inglese, francese o tedesco. Ripeto, non riusciamo nemmeno ad esprimerci in un italiano corretto.

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    1. Non è un "falso problema": la diversità linguistica è anche diversità culturale, e come tale è da difendere con le unghie e con i denti dalla montante marea dell'omologazione e della globalizzazione selvaggia. Non per niente l'UNESCO censisce anche le lingue a rischio di estinzione, tra cui (guarda caso) anche l'emiliano-romagnolo.

      L'idea che la conoscenza del "dialetto" (termine ormai improprio) sia poi dannosa per la conoscenza delle lingue è una leggenda metropolitana: studi scientifici in tutto il mondo dimostrano anzi che la conoscenza di più registri linguistici sin da bambini (come possono essere emiliano e italiano) dà la possibilità di apprendere molto più rapidamente le lingue straniere, dona più flessibilità e apertura al cervello e, addirittura, previene il manifestarsi dell'Alzheimer.
      La scarsa conoscenza dell'italiano (tutta da dimostrare, poi) va imputata a un modello scolastico che, evidentemente, ha dei grandissimi limiti.
      Pietro Cociancich
      Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici
      Portavoce nazionale

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  2. Di proposte "valide" sai che ne ho a iosa. Non ultima quella di aver dato al dialetto della nostra piccola isola linguistica, una dignità letteraria con la traduzione di Tutte le Sacre Scritture grazie alla quale, molte persone che non avevano mai letto né il Nuovo, né il Vecchio Testamento, vi si sono avvicinate. Inoltre, attraverso il faraonico lavoro di ricerca etimologica del nostro vernacolo, una volta pubblicato il DEB, potremo consegnare a tutti, una forma di cultura che abbraccia ogni settore dello scibile locale.
    La cultura è un diamante a più sfaccettature e il dialetto, è una di esse.
    Il dialetto non è il giullare delle lingue; non serve solo per raccontare barzellette o rappresentare farse e commedie; esso è la nostra Lingua Madre e attraverso le sue specificità, grammaticali e sintattiche, possiamo pregare, maledire e filosofare. Come ho scritto in prefazione ad alcuni libri, forte e tremenda era l'invocazione di mia nonna: "Sgnûr... jütm a l'ingròssa, parché a la mnüda ät fè pö in têmp".

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  3. Facciamo attenzione a non gettare in un unico calderone i dialetti, sotto le voci di: Dialetti Settentrionali o Dialetti Emiliani/ Milanesi/Liguri/ Piemontesi/Veneti/ Friulani ecc., perché ne sortirebbe 'na putiöla, insipida e fuorviante. I dialetti si differenziano, di campanile in campanile e sta lì la loro essenza, il loro DNA, a seconda se la zona era abitata da artigiani o da contadini o da commercianti. Per il nostro vernacolo (dialetto indigeno borghigiano), vi basti sapere che, nel 1600, a Borgo San Donnino (Fidenza) non poterono costituire la Classe Mercantile, in quanto vi erano soltanto 3 commercianti. Anche in questo caso, bisogna specificare che per "commercianti" che dessero modo di costituire la "Classe " di cui sopra, non si intendeva "i budgär", ma gli import export di allora. Per cui, nel nostro dialetto, mancano i termini di quel settore. Tânt par dirni vüna.

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  4. Gentile dott. Cociancich, apprezzo ogni cosa evidenziata da Lei e vorrei aggiungere che l'Unesco, non sa un'accidente della molteplicità di dialetti emiliano-romagnoli. Il solo fatto che si parli al singolare, attraverso l'espressione "dialetto emiliano.romagnolo", denota superficialità e misconoscenza. Noi, a Borgo (Fidenza) siamo emiliani, ma il nostro vernacolo è molto diverso da quello romagnolo. Lo è per la diversità della flora e della fauna che contraddistinguono i due territori. Lo è per la differente storia fatta di dominazioni disgiunte l'una dall'altra. Lo è per il diseguale modo di procacciarsi il cibo e il lavoro, infatti da noi, nessuno avrebbe potuto fare il pescatore di mestiere. Da noi erano sconosciuti i nomi in dialetto dei pesci marini. Facile capire il perché. Sono d'accordo con lei circa il definire "termine improprio" il vocabolo "dialetto" perché il termine, dal greco diàlektos, significa lingua parlata e non risponde a verità, perché il "volgare" è sempre stato anche scritto. Si legga la poetessa Saffo, che scriveva in un dialetto eolico e non nel greco classico.

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  5. Ma ecco, signor Cociancich, il motivo per cui io sono un minus habens mentale, intellettuale e culturale! I miei, tra di loro, parlavano non dialetti emiliani o romagnoli, ma il meneghino di fine '800, primi del '900, ormai estinto da decenni e sostituito da un patois di brianzolo, varesotto e vernacoli meridionali. Per l'Alzheimer, spero proprio di evitarlo, per ora sono solo di una distrazione inverosimile; è una malattia che mi terrorizza.

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