Molte opere (codici miniati, capitelli, vetrate, sculture lignee, affreschi e pale d’altare) testimoniano la straordinaria diffusione del culto di San Donnino nelle regioni del nord e centro Italia, ove si contano più di cento chiese, cappelle e oratori a lui dedicati. Preziose immagini di san Donnino sono inoltre presenti in alcuni tra i più importanti musei e collezioni d’Europa.
A Budapest, nel Museo di Belle Arti si conserva, ad esempio, questa splendida tavola quattrocentesca, una classica sacra conversazione con San Donnino, san Pietro Martire e la Vergine col Bambino, assisa su un maestoso trono marmoreo.
La figura di Donnino ha i tratti e l’abito di un aristocratico cavaliere rinascimentale con la lunga spada che ricorda il suo status di ufficiale imperiale (cubicularius) e il martirio subito in riva dello Stirone. Gli altri attributi identificativi sono il calice impugnato nella destra, simbolo della sua speciale “medicina” antirabbica, e il cane accucciato ai piedi del santo, a conferma delle numerose guarigioni ottenute grazie alla sua intercessione.
La tavola di Budapest, studiata da Federico Zeri (1948), reca la data 1479 e la scritta che rimanda ad Antonio di Agostino di ser Giovanni, detto Antonio da Fabriano (sec.XV), una personalità di spicco del rinascimento marchigiano caratterizzata dallo stile tendenzialmente nordico e fiammingheggiante.
L’origine del dipinto, già nella collezione Andrenassy di Budapest, va senz’altro ricercata nell’antica Marca, dove tra il 1454 e il 1489 è documentata l’attività del pittore fabrianese, ma anche perché in questa storica regione di confine la devozione al Santo era molto sentita, come conferma l’esistenza di questa seconda tavola quattrocentesca, di proprietà della Banca Popolare di Pesaro ma proveniente dalla chiesa di Tavullia, piccolo centro nelle vicinanze di Pesaro. Il dipinto, molto semplice e essenziale, ripropone san Donnino nelle sembianze di un uomo di corte rinascimentale. Datato 1472, esso reca la firma di Antonio da Pesaro, discendente da una famiglia di pittori di origine parmense, la cui attività, attestata anche a Borgo San Donnino, è ancora tutta da indagare.
Da notare un curioso particolare iconografico: si tratta del pane che il santo martire tiene nella mano destra, come antidoto contro la rabbia canina, richiamata dai due cani, uno ammansito e l’altro ringhioso: probabilmente, a Pesaro, come in altre località delle Marche (Ancona, Urbino, Peglio, Camerino ecc. ), il rituale di guarigione contro l’idrofobia o rabbia canina prevedeva (soprattutto come medicina preventiva) la distribuzione del pane benedetto in alternativa al tradizionale calice con il vino e acqua benedetta. Di questa consuetudine, forse contaminata da pratiche magiche o semplicemente superstiziose, si parla anche nei documenti ufficiali. Da segnalare è il divieto emesso dal sinodo di Pesaro nel 1580: “Non si faccia più uso del pane con segni tracciativi sopra né si tolleri di scrivere parole o tracciare segni sul pane per darlo ai cani al fine di liberarli dalla rabbia come si usa nei giorni di San Donnino e Dionigi” (cit. da Costa-Galli-Ponzi, San Donnino. Immagini di una presenza …”, 1983)
Ad Antonio Vivarini, uno dei più importanti artisti del primo rinascimento nonché capostipite della omonima famiglia di pittori veneziani, rimanda invece questo sontuoso polittico del 1464 conservato presso la Pinacoteca Vaticana. Il complesso apparato ligneo è incentrato sulla figura scolpita in rilievo di sant’Antonio Abate, che ricorda l’appartenenza dell’opera all’omonima Confraternita di Pesaro, alla quale fu sottratta nel 1783 dai Francesi. Riportato in Italia dal Canova il polittico di Pesaro entrò poi a far parte delle collezioni pontificie.
Il fondatore monachesimo d’oriente è dunque al centro della composizione, seduto in cattedra con l’abito pontificale nella sua qualità di abate fondatore: lo affiancano le immagini di San Sebastiano, San Cristoforo, San Terenzio, San Donnino, Cristo in pietà, San Girolamo, San Pietro, San Paolo e San Ludovico da Tolosa.
La figura di San Donnino, la prima a destra in basso si presenta elegantissima e decisamente slanciata; anche il cane, forse un levriero, sembra voler rafforzare questa visione cavalleresca del santo taumaturgo, che, come nell'altro dipinto pesarese, ostenta al posto del tradizionale calice il pane benedetto.
Ma il particolare che più colpisce in questa immagine, talvolta confusa con quella di San Vito, è la sottile linea rossa che attornia il collo del martire per ricordarne decapitazione : un espediente iconografico che evidenzia il distacco con la tradizione fidentina, incentrata invece sul motivo tipicamente medioevale della cefaloforia., per cui Massimo D’Azeglio di passaggio da Borgo ricorda nel suo diario : “…San Donnino che va a spasso con la testa in mano..”.
Venerdì 4 ottobre 2013 - Anno 114 N° 34
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