Dai “martiri” del LOMBARDO-VENETO
... allo stradario fidentino
Guerra, eroi e martiri...un passato da non dimenticare.
Ogni celebrazione ha valore se segna un passo avanti nella
conoscenza, se induce una riflessione che giovi a renderci migliori e senza
dubbio ritengo che la Storia, qualsiasi strada abbia percorso, ha da insegnare
alle persone di buona volontà.
La conclusione della “Prima Guerra Mondiale” con la sconfitta
dell'Austria chiudeva per l'Italia il periodo del Risorgimento, in particolare
la questione del Lombardo- Veneto.
Tra i primi a cadere furono “i martiri di Belfiore”, così
ricordati dal luogo presso Mantova in
cui furono giustiziati.
Quasi tutti coinvolti nei fatti del 1848, in cui si erano
distinti, avevano continuato anche dopo a perseguire gli ideali mazziniani.
Mantova era una delle quattro roccheforti del Quadrilatero insieme a Peschiera,
Verona e Legnago, la pressione dell'esercito austriaco era forte, gli arresti
erano continui, spesso grazie a delazioni di conoscenti, ad un certo punto
erano talmente numerosi che il Castello di San Giorgio non bastava ad
accogliere i patrioti in attesa di processo, che furono distribuiti in alcune
caserme.
Il primo martire fu don Giovanni Grioli che subì
l'impiccagione il 5 novembre 1851 nella valletta di Belfiore.
Seguirono altri arresti, il giudizio finale di vita o di
morte spettava al governatore generale Radetzky, che firmò una sentenza di pena
capitale, letta ai condannati il 4 dicembre 1852 ed eseguita il 7 dello stesso
mese, per Giovanni Zambelli, Angelo
Scarsellini, don Enrico Tazzoli, Bernardo de Canal e Carlo Poma.
Nel Castello una schiera numerosissima di patrioti attendeva
il giudizio del consiglio che il 13 febbraio 1853 emanò una sentenza di morte
per altri tre arrestati: Carlo Montanari, Tito Speri, don Bartolomeo Grazioli.
Saranno seguiti sulla forca da Pietro Frattini il 19 marzo 1853, sentenza
eseguita nonostante quel giorno fosse proclamata la cosiddetta “clemenza
imperiale” che ordinava il perdono per tutti i prigionieri politici e i muri
della città ne portassero gli avvisi.
Ancora non era finita: in carcere ormai da tanti mesi si
trovava Pietro Fortunato Calvi che il 4 luglio 1855 venne impiccato al nuovo
“modello” di forca, già utilizzato per gli altri.
Le autorità austriache vietarono la sepoltura di questi
martiri in terra consacrata. I loro corpi furono ritrovati solo per caso
durante scavi per il rafforzamento di contrafforti e trasferiti segretamente di
notte in una chiesa cittadina. Hanno ora degna collocazione nel Famedio di San
Sebastiano, tempio eretto dal 1460 su disegno del grande architetto Leon
Battista Alberti (1404-1472).
Nello stradario di Fidenza vengono ricordati Carlo Poma e
Tito Speri.
Carlo Poma era nato a Mantova il 7 dicembre 1823,
proprio il giorno in cui 29 anni dopo subirà il martirio. Il padre era
consigliere di tribunale e condivideva con la moglie l'amore per la cultura, la
carità, la famiglia e la Patria. La morte del padre lasciò Carlo orfano a
tredici anni e sarà la madre a seguire il figlio fino alla laurea in medicina
presso l'Università di Pavia. Assunto all' ospedale di Mantova mostrò la sua
capacità di accoglienza verso i poveri e i bisognosi. In attesa dell'esecuzione
così si espresse: Il mio programma è ancora vero e resta saldo. Imperocché altra cosa è che si combatta in campo aperto ed altra che vadano per la città
degli emissari per pugnalare questo e quello...Egli infatti aveva ignorato
l'ordine impartito di pugnalare durante le feste di carnevale un personaggio della
città.
Tito Speri nacque il 2 agosto 1825 a Brescia. Il padre
era un vecchio soldato napoleonico che raccontava spesso le sue avventure di
guerra. Erano racconti di soprusi, di perquisizioni, di arresti e fucilazioni
che alimentavano l'amore per la Patria e il desiderio di respingere lo
straniero. Fu combattente nel '48 e tra gli organizzatori dell'insurrezione di
Brescia nel '49. Si dice che per rispetto ai due compagni che con lui sarebbero
stati impiccati, egli abbia chiesto di essere l'ultimo.
Gli altri “martiri” inseriti nella stessa pagina sono legati
all'Irredentismo delle terre che a fine '800 ancora si trovavano sotto il
dominio austriaco e che in termini un po'semplicistici vengono citate con i
loro capoluoghi: Trento e Trieste.
Anche a questi Fidenza ha intitolato tre vie cittadine e un
largo.
Fabio Filzi nacque a Pisino d'Istria nel 1884, in
territorio sottomesso all'Austria. Con il trasferimento del padre insegnante di
filologia classica nei licei, la famiglia ritornò a Rovereto da cui proveniva.
Dopo il diploma il giovane entrò nei primi anni del 1900 in contatto con i
movimenti irredentisti e conobbe Cesare Battisti. Per alcune sue azioni fu
bollato come “politicamente sospetto”. Laureato in giurisprudenza presso
l'università di Graz esercitò l'avvocatura a Rovereto.
Alla dichiarazione di guerra disertò l'esercito
austro-ungarico per arruolarsi come volontario per l'Italia nel Battaglione
Vicenza. Fatto prigioniero il 10 luglio 1916 con Cesare Battisti di cui era
subalterno, venne riconosciuto, processato e condannato a morte per alto
tradimento.
Secondo il trattamento riservato ai disertori, fu impiccato
il 12 luglio 1916 nel Castello del Buon Consiglio di Trento.
Il 2 gennaio 1919 gli fu conferita la Medaglia d'oro al valor
militare.
Giuseppe Cesare Battisti nacque a Trento nel 1875 da
Cesare, commerciante, e dalla nobildonna Maria Teresa Fogolari. Dopo il Liceo Classico si iscrisse alla
Facoltà di Giursprudenza di Graz che abbandonò per seguire gli studi umanistici
prima a Firenze e poi a Torino, dove si avvicinò ai primi fermenti socialisti.
Tornato a Graz nel 1895 cominciò ad essere nel mirino dell'Austria e fu
processato per aver violato la legge sulle Associazioni.
Gli studi proseguivano e si laureò a Firenze a pieni voti con
una tesi di geografia fisica ed antropica del Trentino. Nel frattempo si sposò
con Ernesta Bittanti Battisti (1871-1957).
Si avvicinò ai movimenti irredentisti ed anche a causa del rigore
austriaco nel concedere cattedre ai laureati in Italia, rinunciò
all'insegnamento e rilevò una tipografia a Trento in cui cominciò a stampare un
giornale socialista e opere di geografia. L'11 agosto 1914 abbandonò Trento per trasferirsi in Italia
seguito dalla moglie e dai tre figli.
Fervente interventista, alla dichiarazione di guerra si
arruolò volontario nel Battaglione Alpini Edolo. Durante uno scontro fu
riconosciuto con Filzi e tradotto a Trento, 12 luglio 1916, per essere
processato e condannato a morte con impiccagione.
2 gennaio 1919 -Medaglia d'oro al valor militare
20 novembre 1916- Medaglia d'argento al valor militare
21 agosto 1915- Medaglia di bronzo al valor militare
Damiano Chiesa nacque a Rovereto nel 1894. Fin da piccolo si rifiutava di ritenersi austriaco e detestava la lingua tedesca. Dopo aver conseguito la maturità liceale decise che non avrebbe più parlato quella lingua e che avrebbe continuato gli studi in Italia , si iscrisse pertanto al Politecnico di Torino. Da fervente irredentista il 28 maggio 1915 si arruolò nell'esercito italiano, VI Reggimento Atiglieria da Fortezza. Durante un'azione fu fatto prigioniero. Riconosciuto da alcuni suoi concittadini, fu processato per alto tradimento, ma non avendo mai fatto parte dell'esercito austriaco non fu ritenuto disertore. Per questo , condannato a morte , fu fucilato il 19 maggio 1916.
Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Nazario Sauro nacque a Capodistria nel 1880, in terra quindi di dominazione austriaca. I genitori erano di origine romana, il padre era un marittimo. Il giovane mostrò presto di preferire il mare agli studi per cui il genitore decise di portarlo con sé a bordo delle navi. Divenuto capitano marittimo fu al comando di piroscafi passeggeri e da carico.
Era di fede democratica e repubblicana e auspicava, secondo
l'idea mazziniana, un' Europa di nazioni libere e indipendenti, aveva inoltre
la visione di unità d'Italia che comprendesse anche le terre d'Istria e della
Dalmazia. Egli continuava, nonostante gli ordini, ad imbarcare solo marittimi
italiani finchè le autorità austriache nel maggio 1914 lo fecero
dimettere. Con la dichiarazione italiana
di guerra egli si arruolò nella Regia Marina. Durante una missione fu intercettato
e fatto prigioniero. Processato a Pola il 10 agosto 1916, fu condannato alla
pena di morte per alto tradimento tramite impiccagione. Il suo corpo fu
sotterrato di notte, in maniera segreta e in area sconsacrata.
Medaglia d'oro al valor militare -decreto dello stesso re Vittorio
Emanuele III del 20 gennaio 1919.
Marisa Guidorzi
Particolarmente umiliante, volutamente, fu la fine di Cesare Battisti, portato in abbigliamento mortificante, su una carretta, al patibolo, tra sputi ed insulti. Là, un perverso boia asburgico, nonostante la corda si fosse spezzata, si guardò bene dal risparmiarlo, rifece il nodo, gli si aggrappò alle gambe e gli torse lentamente il collo. Poi, un bel gruppo di crucchi, antenati degli odierni che dichiarano che "Sud-Tirol ist nicht Italien", si fecero fotografare accanto al morto, sghignazzanti. E su un sentiero di montagna del Trentino, una lapide che ricorda Battisti, è continuamente vandalizzata, dai nipotini dei suddetti.
RispondiEliminaPurtroppo, Prof. Bifani, è proprio così.
RispondiEliminaI libri di storia raccontano i fatti, le biografie ricostruiscono i profili dei personaggi, ma a volte viene da chiedersi se sia sempre "vera Storia". Ero giovane e ho cominciato presto a conoscere il Trentino in cui vivevano anziani che quaranta o cinquanta anni prima avevano vissuto sulla loro pelle la Grande Guerra e ho potuto constatare che non sempre le loro opinioni coincidevano con quanto mi veniva insegnato sui libri. In particolare ricordo una signora ottantenne che espresse pareri poco lusinghieri sull' operato di Cesare Battisti, non sui suoi ideali, piuttosto sulle sue azioni.
RispondiEliminaA Riva di Trento, parecchi anziani mi confidarono che, per loro, si stava meglio sotto gli Asburgo, quando c’erano ordine e disciplina. E a Trieste, sempre alcuni anziani, rimpiangevano gli austriaci, quando la città era un fiorente porto trafficatissimo, da e per l’Austria. Però, visto da uno come me, nato nel 1945, gli austriaci non mi sono mai stati molto simpatici, in genere, sono ancor più altezzosi del tedeschi di Germania.
EliminaNon per essere polemico e nemmeno per il semoplice gusto di apparire nei "commenti", ma mi pare che il quadro dipinto circa la morte di Cesare Battisti - un italiano che credeva nella Patria - si possa adattare anche a Piazzale Loreto, dove a sghignazzare non erano i crucchi, ma gli italiani che - caso mai - sino a poco tempo prima cantavano Giovinezza !
RispondiEliminaNon credo proprio che Battisti abbia fatto soffrire ai crucchi impiccatori di italiani da decenni quello cui Mussolini ha sottoposto gli italiani per più di 20 anni, con più di 600mila morti in una guerra inutile. Che ne dice, Nino Secchi?
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