Il
giorno dell'8 di settembre del 43, esattamente settant'anni fa, si
concluse quel breve periodo in cui le speranze ed i timori degli
italiani furono, rispettivamente, delusi e confermati. Fu chiamato in
vari modi questo giorno in cui gli italiani si sentirono traditi,
dallo Stato, dal Re e dal governo. L'armistizio firmato a Cassibile
fu reso pubblico dagli americani, stanchi delle titubanze badogliane,
le massime cariche dello stato rapidamente misero in atto un piano di
fuga accuratamente preparato, la liberazione di Mussolini,
prigioniero al Gran Sasso in Abruzzo faceva parte di questo piano.
Non
ci fu attenzione alcuna con quegli italiani che la guerra aveva
portato lontano sui vari fronti, quasi un milione di uomini nei
Balcani ed in Albania, in Grecia e nelle Isole dell'Egeo, ma anche in
Francia, senza disposizioni precise, senza preparazione.
L'eroismo
di alcuni non bastò, l'arrendevolezza dei molti, sbandati senza
ordini, non giovò; in balia dell'alleato, ormai nemico, tedesco fu
la resa e la prigionia, quando non fu l'eccidio e la latitanza nella
maggior parte dei casi disarmata.
L'Italia
si spaccò in due stati e sotto il tallone di due eserciti in lotta
nelle città e nelle campagne d'Italia. Non era l'Italia un fronte
principale e proprio per questo le operazioni belliche si
prolungarono rendendo più doloroso il contributo in vite umane e in
distruzioni.
Al
nord, sotto il tallone tedesco, reazioni isolate furono rapidamente
represse, la resistenza era di pochi ancora isolati. Importante fu il
contributo della popolazione e delle donne italiane nel sostenere chi
in quel momento si trovava in maggiore difficoltà, e questo avvenne
anche nei nostri luoghi.
Ma
tutto questo ormai lo sappiamo, e per ricordare questo giorno dell'8
settembre 1943 trascriviamo sotto le pagine di un diario di un
soldato britannico, un ufficiale il cui nome di comodo o reale è
Robert, che visse quella giornata all'interno del campo di
concentramento di Fontanellato e che il giorno dopo insieme ad altri
seicento militari si sparse nelle nostre campagne e colline. I più
riuscirono a raggiungere l'approdo della Svizzera aiutati da uno di
loro che mise in piedi con l'aiuto di persone delle nostri parti un
vero e proprio centro di smistamento in località Trinità nell'alta
val Stirone. Robert insieme a Joseph Cahalane, irlandese, trovò
riparo per circa un'intero anno nei pressi di Vigoleno aiutato dalle
fidentine sorelle Vajenti, ivi sfollate.
Poco
sappiamo di Robert, maggiore la conoscenza che possiamo vantare per
Joseph Cahalane i cui figli ci hanno fatto visita l'anno scorso. La
pubblicazione di questo diario nella lingua originale da parte di una
organizzazione britannica ha permesso di allacciare questo rapporto
tra famiglie nel ricordo di quei giorni.
Questa
parte del diario si conclude con “ c'erano molte esplosioni in
lontananza”, in quelle cannonate il dramma ed il sacrificio dei
carristi partiti da Fidenza a sostenere il tentativo di resistenza
che si ebbe a Parma. (A.P)
LE PRIME PAGINE DEL DIARIO
Una pagina del diario con mappa del campo P.G. 49 |
Accadde
la sera dell' 8 settembre. Ero seduto alla tavola di legno coi
cavalletti nella nostra mensa del P.G. 49, gustando una bottiglia di
aranciata ghiacciata, pensando a niente di particolare eccetto forse
che le serate stavano diventando più accettabili per temperatura in
confronto a quelle insopportabili dei mesi estivi, e anche, forse,
guardando alle superfici sporche del tavolo, che Griffiths non si era
preso abbastanza disturbo per mantenerle pulite, lui che aveva preso
proprio il mio posto.
Il
C.P.G. 49 era un orfanotrofio riconvertito situato alla periferia di
Fontanellato,un piccolo ma apparentemente importante centro per
contadini che vivevano nella zona circostante, giudicando dalla folla
che appariva sempre in "festa" in quei giorni, e i camions
i trattori che andavano e venivano nei giorni lavorativi.
Il campo P.G. 49 di Fontanellato |
Poco
più avanti sulla tavola, alla mia destra, una discussione era in
corso tra un gruppo di sedicenti generali su un certo tratto della
linea principale tedesca dell'avanzata in Calabria. Si fermarono e
tutti si piegarono sulla mappa, tagliata dal Corriere della Sera e
poi ripresero a parlare tutti insieme all'improvviso, come facevano
di solito. Alla tavola dietro un'altra discussione era in corso,
qualcuno diceva "Non c'è ragione per cui la guerra non debba
fmire domani" e una voce triste lentamente :"No! Altri due
anni". Ma ne avevo incontrati tanti nei campi di prigionia come
loro!. Dall'altra parte della mensa uno arrabbiato ruggiva al ragazzo
che vendeva vino perché non lo vendeva abbastanza in fretta. Sopra
il ronzare di molte conversazioni e discussioni attraverso la porta
perveniva alternativamente uno miagolio e un grugnire simile a un
gatto e un maiale da ingrasso, il gatto come se gli avessero pestato
una zampa e il maiale come se lo stessero trascinando per le
orecchie. Era il trombettiere che suonava giocherellando alcune
combinazioni in preparazione della mezz'ora di ballo prima del pranzo
di domani con l'orchestra del campo. Era proprio poco dopo le otto.
Guardando
attraverso la finestra, un soldato italiano apparve alla porta della
capanna: con un ghigno che gli divideva la faccia in due, i pugni
stretti, leggermente incurvato sulla soglia. Improvvisamente fu
catapultato lontano da dove stava, da quattro o cinque dietro di lui.
Alcuni di loro guardarono nella nostra direzione e sollevarono i
pollici in aria, altri corsero in direzione dei loro dormitori,
urlando una volta arrivati, il resto dava calci agli elmetti
buttandoli in aria. Guardando oltre la capanna, alla strada la vita
stava cominciando ad accelerare: i ciclisti pedalavano più veloce,
quelli che stavano passeggiando si misero a correre, e in breve tempo
una nuvola di polvere inondò la strada sollevata da ciclisti che
pedalavano follemente e altri che correvano più veloci che potevano.
All'interno della mensa le discussioni si allentarono e uno o due si
prendevano in giro in modo indagatore. Una delle ragazze"Killer"
vedendo che stava succedendo qualcosa, rischiò la galera e chiamò
la sentinella sulla torretta e chiese quale fosse il motivo di tale
eccitazione. "Tutto finito" rispose. Cosa significa chiese
qualcuno, pensando tutti, ma non osando suggerire che egli potesse
riferirsi alla guerra, perché sbagliarsi in qualche modo sulle
notizie di guerra avrebbe portato rimproveri e prese in giro da tutte
le parti.
L'eccitazione
si sparse: qualcuno che era stato a parlare con la guardia al
cancello rientrò e disse che la guerra era finita. Immediatamente io
e alcuni altri uscimmo e incontrammo due Carabinieri ma non sapevano
niente e passarono oltre per ritornare poco dopo per riferire che
c'era stato un armistizio. Dissi, pensando ai tedeschi: " Perché
. . . . .. non aprono i cancelli" Ma nessuno rispose.
Salii
al piano superiore nella stanza che condividevo con altri 30
prigionieri alla sommità della costruzione. Aprii la porta. C'era
calma all'interno: tutti stavano facendo qualcosa: chi leggeva,
dormiva, rammendava, parlava sottovoce. Dissi con la voce più
normale possibile "Fate i bagagli, gente si torna a casa"
proprio come se stessi ricordando loro "Porridge a colazione di
mattina", come avevo sempre fatto prima. Il silenzio continuò.
Qualcuno che aveva alzato la testa quando parlai, si rimise a fare
quello che stava facendo. "Non sono allodole" ( Non è uno
scherzo) Continuai. Qualcuno che stava guardando fuori dalla fmestra
"Qualcosa accade, comunque, sono tutti svaniti, fuori"
Allora tutti si alzarono insieme. Golden entrò e disse che erano
tutte balle, tutti stavano parlando, Entrarono altri. Alcuni andarono
alla finestra e salutarono gli italiani con le mani, alcuni dei quali
alzarono i loro fucili verso le finestre come sempre facevano quando
erano eccitati.
Lasciai
di nuovo la stanza e scesi nella stanza principale aspettando che
accadesse qualcosa, (benché non fossi esattamente sicuro di cosa
sarebbe dovuto accadere). Ogni sera, in questa stanza si giocava a
bridge, e anche quella sera avevano cominciato a giocare prima della
cena. Ma ognuno aveva la mia stessa idea e una regolare corrente
passava tra le porte. Gli entusiasti del bridge persero presto il
loro entusiasmo e anche i più accaniti furono costretti a smettere
per la gene che spingeva vicino al tavolo e ogni tanto S.B.O. saliva
sulla sedia per parlare e sembrava che ognuno dei 600 P.O.W. si
infilasse nella stanza per ascoltarlo. Non ricordo esattamente cosa
disse, ma era relativo a quanto era accaduto in un campo precedente.
Ci raccontò di quando Mussolini aveva fatto i bagagli. Naturalmente
ce lo aveva già detto altre volte.
Improvvisamente,
un numero non meglio precisato di ufficiali aveva cominciato a
baciare i Carabinieri, pensando che la guerra fosse finita.
Ovviamente non si era visto nulla di simile prima, ma ora dovevano
realmente saperlo. Disse anche che un armistizio non voleva dire
assolutamente nulla e che le ostilità avrebbero potuto comunque
ricominciare in ogni momento. Bene, una nazione sarebbe stata delusa.
Gli eventi successivamente gli avrebbero dato ragione. Finì col dire
che ciascuno doveva continuare a fare quello che faceva come se nulla
fosse accaduto, il che era sicuramente chiedere molto.
Non
appena salii le scale per andare al piano di sopra, sentii qualcuno
dire che i Gerries stavano andando via e la via Emilia era intasata
di veicoli che andavano verso Nord, che quello che il Carabiniere
aveva riportato la mattina doveva essere stato corretto. Gli eventi
provarono che la prima parte era del tutto errata e che il
carabiniere non distingueva il nord dal sud. Più tardi, quando
l'eccitazione si era calmata e ciascuno era in grado di pensare con
più calma, sembrò ridicolo supporre che i tedeschi si sarebbero
ritirati in questo modo lasciando alle forze britanniche di
raggiungere i confini della Germania combattendo solo un'azione di
retroguardia.
Ma
io non avevo alcun dubbio, che fosse l'eccitazione di quel momento e
quel fasullo generale, che avevano generato il mio dubbio iniziale su
quello che la Germania avrebbe fatto.
Solo
alcuni giorni prima dell'armistizio, in risposta una domanda che un
ufficiale mi aveva posto a proposito di quando saremmo tornati a
casa, dissi "dipende da quello che questi Gerries faranno qui.
Se è un'occupazione militare, ci si può aspettare di essere in
Germania molto presto. Dopo l'arresto di Mussolini le truppe tedesche
si sparsero in Italia e si videro andare avanti e indietro giù per
la strada del campo, ogni giorno. Ogni giorno su biciclette, cavalli
e carretti, moto a due tempi, macchine e carrozze, camion, ogni cosa,
come non avevo mai visto nei due anni e mezzo precedenti, se non due
soldati tedeschi, a Piacenza, sulla stanza tra Rezzanello e
Fontanellato. Aveva riso e aveva detto che lui non la pensava così :
andai a letto quella sera non pensando più ai tedeschi.
Parlando
con Les Woodwards e John Rogers proprio prima di girarmi, dissi
“sento che qualcosa sta per accadere. C'è troppa calma."
Quando rividi Rogers circa una settimana dopo mi ricordò quelle
parole. Non era così felice allora, dopo aver dormito tre o quattro
notti sotto.... (?) sulla riva di un fiume molto umida senza una
cerata sotto la schiena e solo una mezza coperta.
9
settembre
Mi
svegliai quella mattina, proprio quando cominciava ad albeggiare,
circa alle sei. Mentre me ne stavo sdraiato, sveglio, pensando di
alzarmi dal letto, realizzai che c'erano molte esplosioni in
lontananza. Più tardi venimmo a sapere che c'era una battaglia tra
tedeschi e italiani per la stazione ferroviaria di Parma.
…................................
Ringrazio Fernanda Campanini per il fondamentale contributo alla traduzione del diario in lingua italiana. Il testo completo in lingua inglese lo trovate alla pagina: http://www.pegasusarchive.org/pow/frames.htm
(A.P)
Nessun commento:
Posta un commento