mercoledì 4 settembre 2013

Rovocrazia: apologo sulla Democrazia

Tolto dal contesto biblico in cui è inserito, il discorso di  Jotham agli abitanti di Sichem può essere inteso come un apologo sulla democrazia che mal si concilia con la cosiddetta meritocrazia. Una diversa lettura del brano biblico è quella di Franco Bifani che troverete più sotto.    

Max Ernst
Si misero in cammino gli alberi
per ungere un re su di essi.
Dissero all'ulivo:
Regna su di noi”.
Rispose loro l’ulivo:
Rinuncerò al mio olio,
grazie al quale
si onorano dèi e uomini,
e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero gli alberi al fico:
Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose loro il fico:
Rinuncerò alla mia dolcezza
e al mio frutto squisito,
e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero gli alberi alla vite:
Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose loro la vite:
Rinuncerò al mio mosto,
che allieta dèi e uomini,
e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero tutti gli alberi al rovo:
Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose il rovo agli alberi:
Se davvero mi ungete re su di voi,
venite, rifugiatevi alla mia ombra;
se no, esca un fuoco dal rovo
e divori i cedri del Libano”.

Gdc 9, 6-15

L'umanità arborea nel commento di Franco Bifani

Volendo istituire un paragone tra fauna arborea ed esseri umani, si potrebbe ipotizzare che l'umanità arborea senta la necessità di creare un capo supremo, una guida politica da seguire nella vita quotidiana. 
L'ulivo, che serve per oliare, lubrificare e condire via cose e gente, fa lo snob e declina l'invito. Il fico, che potrebbe addolcire tante pillole amare da mandar giù, si tira indietro. La vite, abituata a rendere la gente incapace di intendere e di volere, con i suoi derivati inebrianti, non ne vuole sapere di spendersi per il volgo plebeo che nome non ha. 
Il rovo, spinoso, scostante, di basso profilo umbratile, ma capace di offendere e di difendersi con i suoi spini, magari pure velenosi, invita, da millantatore di se stesso, tutti gli alberi a “rifugiarsi” sotto i suoi perigliosi viluppi contorti. E minaccia pure, in caso di rifiuto, di scatenare fuoco e fiamme ad incenerire il più nobile degli alberi, il cedro del Libano, dal legno profumato e resino. 
Io assimilerei l'ulivo al PD, che ha sempre cercato di condire via i suoi elettori, in mille modi, il fico a certe frange cattoliche del tipo di CL e dintorni ed a tutto l'alto clero, che celebra i suoi trionfi al Meeting di Rimini, la vite al PdL, abituato ad ubriacare i suoi sostenitori con palle e canzoni di vario genere, sempre scadente, mentre il minaccioso rovo mi parrebbe accostabile al M5S, che offre mazzi di spine micidiali, presentando solo critiche feroci, continue e distruttive, ma non ancora qualche cosa di alternativo e di costruttivo.

Franco Bifani
















1 commento:

  1. Originale interpretazione. Chi, se non Biffo?

    Io mi limito a darvi la versione in dialetto borghigiano.

    Èl pianti is möttn in mòtt e i van
    pr a-bžuntèr un re sura 'd lûr.
    I dižn a l'ülîv: "Régna sura nüätar".
    L'ülîv äl ga risponda.
    "Hoja d'arnunsièr a dèr èl me òli,
    ca'fa tânt bon a j'òmän e äi diu,
    par gnîr a svuländrèr insìma äl pianti?"
    E 'l pianti i dižn äl fîgh:
    "Véna te a regnèr sura nüätar".
    Mo 'l fîgh äl ga risponda:
    "Hoja d'arnunsièr äl me sücar
    e a la buntè di me fiurón,
    par gnîr a žaržäclèr sura èl pianti"?
    E 'l pianti i dižn a la vida:
    "Véna te a regnèr sura nüätar".
    Mo la vida la gh risponda:
    "Puréssia me arnunsièr äl me ven,
    ca fa cäntèr j'òmän e i diu,
    par gnîr a svuläsèr sura 'l pianti?"
    Älura tütt èl pianti i dižn al räžär:
    "Dai...Véna te a regnèr sura nüätar".
    E 'l räžär äl ga diž:
    "Sè vri ca dventa re,
    gnîv a arsurèr sùtta la me umbrìa;
    mo sè vri mîa,
    diu ca däi me spen, riva föra un fögh,
    ca'l brüža-sö anca i cédar del Libano toh!"

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