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venerdì 2 marzo 2018

Gillo Dorfles: critico e pittore.

Milano, 2 marzo 2018 - Si è spento all'età di 107 anni Angelo Dorfles, detto Gillo. Nato a Trieste il 12 aprile nel 1910 è stato un importante critico d'arte, pittore e filosofo. A renderlo noto è stato il nipote spiegando che le condizioni fisiche dell'artista erano peggiorate nelle ultime 24 ore. 
Gillo Dorfles era nato a Trieste nel 1910. Un pittore che ha anche scritto numerosi saggi di estetica. Nel 1948 fonda il MAC (Movimento Arte Concreta, o Movimento Arte Concreta) insieme con Monnet, Soldati e Munari.
Lo ricordiamo con questo articolo che avevamo pubblicato il 16 maggio 2011 e che ora abbiamo dovuto aggiornare.

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Gillo Dorfles "L'arte è l'unica passione alla quale sono rimasto fedele. Saba era un vero presuntuoso, Svevo sempre adorabile"


Bisogna essere cauti nel chiedere a Gillo Dorfles notizie del suo passato. Non risponderà volentieri e semmai preferisce parlare al passato prossimo che al passato remoto. I ricordi, per quest'uomo che ha superato i 101 camminando sempre diritto ed elegante, leggendo sempre a occhio nudo, parlando con tono fermo e voce chiara, sono un fastidio che lo fa sbuffare di noia: «Preferisco ricordare il presente e vorrei ricordare il futuro, naturalmente». La sua quotidianità? "Niente di ufficiale". 
Ma si sa che nella sua giornata, tra l'altro, c'è la pittura e c'è il pianoforte, che è qui in un angolo del salone. "Niente vita privata, e niente autobiografia, quella uno avrebbe diritto di farla solo dopo morto. Lo scriva, per piacere". Scritto. 
Però almeno un accenno al papà ingegnere navale e alla sua città: 
"Sono rimasto a Trieste fino a 4 anni, quando è scoppiata la prima guerra ci siamo trasferiti a Genova, la città di mia madre. Poi sono tornato a Trieste in epoca di ginnasio». Sono gli anni in cui Dorfles entra in contatto con l'intellighenzia locale. Tanti nomi, a cominciare da quello dell'amico del cuore Bobi Bazlen, lettore accanito, consulente editoriale e traduttore. «Da piccolo avevo la passione dei libri belli: un giorno nel negozio d'antiquariato di Saba ho chiesto ai miei genitori un volume antico, credo un classico. Saba mi ha detto: "Non xè par ti, non puoi capirlo...". In realtà a me interessava la rivestitura di cuoio, non il testo". Poi, grazie all'amicizia stretta con la figlia Linuccia, il poeta sarà un incontro quasi quotidiano: "Aveva un carattere pessimo, poco espansivo, presuntuoso, nevrotico. Svevo era l'opposto, impacciato, affabile, simpatico...".
Il passato conterà anche poco per Dorfles, ma quanti possono dire oggi: ho conosciuto l'impiegato Ettore Schmitz... "Ero amico delle ragazze della famiglia, che faceva parte della buona borghesia triestina e aveva la capostipite in Olga Veneziani". La Veneziani era proprietaria della fabbrica di vernici sottomarine in cui Svevo, dopo aver sposato Livia, la figlia di Olga, era stato assunto come impiegato. "Nella Villa Veneziani si riunivano ogni domenica amici che arrivavano anche dall'Italia, tipo Giacomino Debenedetti e Montale. Un giorno accompagnai Bazlen in posta a spedire in Francia una copia di Senilità. Nel '25 era uscito l'omaggio di Montale, ma prima dell'investitura Svevo era conosciuto da pochissimi e scriveva romanzi con grande irritazione della suocera, che considerava la sua passione letteraria una perdita di tempo. Svevo aveva un carattere delizioso, aureo direi"
Subito dopo la guerra, Dorfles scrisse un articolo sulla "Lettura" sulla casa bombardata dei Veneziani come il regno del cattivo gusto in cui Svevo era un incompreso: "Le figlie della vecchia Olga hanno scritto a mia madre chiedendole di punirmi per quell'articolo". 
Già da tempo Dorfles era amico di Montale, Eusebio per i più intimi e dunque anche per Gillo: "L'ho conosciuto a Genova, grazie a Bobi. Avevo 18 anni. L'ho ritrovato poi a Firenze e a Milano. Io e mia moglie andavamo spesso a trovare lui e la Mosca, la sua compagna. La Mosca era furibonda di gelosia quando ha saputo dell'infatuazione di Montale per la Spaziani. Mia moglie a un certo punto le ha detto: ma non preoccuparti, sarà un amoraccio senile... Così la Mosca, offesissima, ha rotto i rapporti con noi. Eusebio da un lato era sensibile e gradevole, dall'altro riservato e scontroso. Sapeva quel che valeva, era ambizioso, ma anche timido". 
Un passo indietro per ricordare che Gillo digerì giovanissimo la grande cultura mitteleuropea, a cominciare da Kafka, Strindberg, il "triestino" Joyce, la psicoanalisi che in città aveva un esponente illustre in Edoardo Weiss, allievo di Freud. Gli studi di medicina a Roma, con specializzazione in psichiatria, non lo avrebbero comunque distratto dall'arte. Ma prima ancora c'erano il servizio militare a Torino e la vicinanza alla casa editrice Einaudi: 
"Ero nel Nizza Cavalleria, di cui sempre mi vanto, essendo il reggimento chic del momento, frequentato da tutta la "haute" torinese e comandato dal genero del nostro reuccio. Per fortuna, poi, non sono stato richiamato, ho lasciato la Milano bombardata e ho passato il periodo della guerra vicino a Volterra con i miei genitori. Ma con la rottura della Linea Gotica e il passaggio del fronte, la situazione si era fatta pericolosa anche lì". Le amicizie torinesi? "A Torino avevo conosciuto soprattutto Leone Ginzburg e Cesare Pavese. Einaudi era un tipo non comodo, che voleva imporre le sue idee, ma grazie all'egemonia della sua casa editrice sono stato beneficiato della pubblicazione di sei libri. Negli anni Cinquanta avrei conosciuto Giulietto Bollati, una persona di prim'ordine, molto merito di quei libri era suo".
I primi interventi come critico d'arte del dottor Dorfles?
"A vent'anni ho cominciato a collaborare con la Fiera letteraria. L'arte è l'unica passione a cui sono rimasto sempre fedele, sin dalle prime folgorazioni dell'astrattismo di Klee e di Kandinsky. Nei due anni che ho passato a Milano prima di andare a studiare a Roma, ho conosciuto i vari Birolli e Cassinari, ma non mi interessavano più che tanto. Preferivo i primi astrattisti: Reggiani, Radice, Munari... Ho combattuto la mia battaglia per l'astrattismo che apriva la strada alle successive esperienze nucleari e spaziali, contro la banale figurazione paesaggistica". 
L'incontro precoce con Lucio Fontana, negli anni romani, ha fatto il resto: "L'ho conosciuto prima della guerra, quando ancora faceva statue di ceramica e non era ancora l'artista bizzarro dei buchi nelle tele. Ma io sono stato tra i primi a insistere sulla sua grandezza, prima che fosse scoperto da decine di critici". In un angolo della sala c'è un bel «concetto spaziale» di Fontana. Quante rotture nel Novecento artistico: «Il XIX secolo, anzi il XX (dimenticavo di averlo già passato...), è stato uno dei secoli più ricchi: futurismo, cubismo... gli anni Dieci sono stati i veri iniziatori dell'arte di oggi". 
Che effetto fa avere attraversato un secolo intero, per di più un secolo come il Novecento, che sembra sommare tanti secoli in uno? Neanche un minimo di vertigine? 
"Nessun effetto particolare. Il passato ho cercato di dimenticarlo per fare spazio al presente e tenere un po' di posto per il futuro». Neanche guardando la Milano d'oggi viene voglia di confrontarla con quella di una volta? «Troppo facile dire che è decaduta. A suo tempo aveva una maggiore intimità e insieme un maggior entusiasmo. Ora si spera che con l'Expo riesplodano le nuove iniziative architettoniche che sembrano aver dormito per mezzo secolo: è l'unica speranza di Milano. Io ci credo. Spero di poter vedere qualche architettura importante dopo Palazzo Pirelli, Casa Moretti e la Torre Velasca: da allora non c'è stato più niente di nuovo". 
Intanto, ci sono il design e la moda. Qualcuno dice il trionfo dell'effimero:
"Io credo nella moda e nel design, che è la moda dell'arredamento. In Mode & modi dimostravo come sin dalle epoche barbariche l'uomo abbia voluto trasformare il suo vestiario e il suo modo di essere: il concetto di moda significa creare novità che non durino molto, perché dopo un po' ci si annoia. Anche delle forme artistiche ci si annoia, per questo l'arte deve saper utilizzare la moda. Quel che non sopporto è il cattivo gusto, perché la moda può facilmente scivolare nel Kitsch". 
Una sana dose di insofferenza (da cui il titolo di un suo libro, Irritazioni), del resto, fa parte del carattere di Dorfles. Per la religione, per esempio: «Non parlo di queste cose. È un problema che non mi riguarda». Per la scaramanzia no: "Credo nella iella e nel malocchio: esistono persone che portano male e cerco di evitarle. Sono molto irrazionale, la mia attività, del resto, è irragionevole». Per la televisione sì: «Non ha migliorato il gusto degli italiani. Potrebbe fare molto di più, anche nel campo della cultura, però si limita al Grande Fratello e all'Isola di non so cosa». Per la politica: "Non ne parlo. Sono stato molto antifascista e me ne vanto. Ma non mi sono mai occupato di politica. Il problema destra-sinistra è aleatorio, sarebbe facile dire che sono di sinistra: in altri Paesi c'è una tradizione di destra accettabile, da noi non la vedo". Per i giovani sì e no: "Un tempo, con i gruppi e i movimenti, c'era maggior adesione. Oggi vedo un individualismo sfrenato. Poco entusiasmo e poca coscienza sociale e politica". 
Irritazioni e altre irritazioni: 
"Beh, per certi conformismi: perché tutti con i jeans? O con le giacche di incerata nera? O con la minigonna senza saperla portare? La persona veramente elegante è démodé. Il conformismo è una maniera comoda di adattarsi alla vita. Per non dire del conformismo del non conformismo: quelli che per non essere conformisti finiscono per diventare snob o radical-kitsch, sono molto frequenti, soprattutto nella buona società. L'eccesso di buone maniere è pericoloso come la maleducazione". 
La carica (vitale) dei 101 (anni).
Paolo Distefano
6 maggio 2011

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