giovedì 9 maggio 2019

"Votare: perché e per chi?" Messaggio del vescovo Ovidio




Votare: perché e per chi? La preghiera della Chiesa per l’autorità politica è una prassi antica; essa è segno di collaborazione responsabile e inderogabile della comunità cristiana finalizzato a perseguire il bene comune della polis; l’esortazione di Paolo ne costituisce un esempio illuminante: «Ti raccomando, dunque, prima di tutto, che si facciano preghiere, suppliche, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini: per i re e per quelli che hanno autorità, perché si possa vivere una vita serena e tranquilla in piena dignità morale e tutta dedita a Dio» (1Tm 2,1-2). 

Paolo fa presente che la comunità cristiana non può considerarsi estranea alla realtà sociale e politica in cui è inserita. 
La comunità cristiana, rifuggendo dalla tentazione di un isolamento introverso, contrapponendosi ad un pensiero di ostilità nei confronti del mondo, accoglie gli interrogativi, le preoccupazioni e le istanze, che il contesto storico-sociale suscita, restando fedele all’Evangelo. 
Una traccia politica della preghiera della comunità è già documentata in Ne 5,1-13. All’indomani del ritorno a Gerusalemme della comunità esiliata a Babilonia, il governatore Neemia convoca tutto il popolo, in seguito al lamento dei poveri di Israele, privati di ogni diritto politico e costretti a ridurre in schiavitù i loro figli per far fronte a ipoteche e ad interessi esorbitanti. Neemia denuncia senza equivoci il comportamento malvagio dei notabili e dei magistrati nei confronti dei loro stessi fratelli. In risposta a ciò si decide di restituire loro le proprietà e l’interesse di cui erano debitori (cfr. Ne 5,11- 12). 
Alla presenza dei sacerdoti i magistrati e i notabili giurano di adempire la promessa. La preghiera del credente non è mai estranea ad un contesto politico e sociale, affinché la ricerca della giustizia e del bene comune prevalgano sugli interessi esclusivi e particolari a favore di pochi. La Chiesa prega perché le scelte dell’autorità politica incontrino la volontà divina. La realtà politica e sociale sta a cuore ai cristiani; essi non assumono atteggiamenti né di fuga né di ostruzione (A Diogneto, V,1-4). Ne è prova il fatto che, anche nei momenti di difficoltà della comunità civile, i cristiani condividono con essa le medesime prove; per questo non si stancano di implorare il dono della pace e della concordia. 
Le preghiere, che la tradizione ecclesiale antica e recente ci documenta riguardano tutta la comunità civile nelle sue variegate componenti: cittadini e responsabili delle nazioni. Il compito al quale tutti sono chiamati è indicato dalla ricerca instancabile e concorde del bene comune per un vero progresso della città nella verità, nella libertà e nella giustizia. A tal fine si richiama il necessario 2 superamento di gretti particolarismi. In ciò il discernimento sapiente e la ricerca del bene comune nel governo della società civile sono guidati da una prospettiva più aperta, che conduce ad elaborare progetti politici oltre l’interesse immediato di una pubblicitaria visibilità a tutti i costi. Non meno decisiva è l’attenzione posta dalla Chiesa alle problematiche politiche, culturali e sociali, che interrogano credenti e no. 
I discepoli del Signore, che vivono nel mondo, fanno proprie le attese e le speranze di ogni uomo e di ogni donna, condividendo le fatiche, gli aneliti alla giustizia, alla salvaguardia della dignità della persona e del creato, allo stile dell’accoglienza senza pregiudizi, alla ricerca senza sosta della pace e della riconciliazione fraterna. I credenti, rifuggendo da ogni idolatria economica, che assolutizza le potenze mondane, pregano davanti a Dio perché susciti guide sagge per il popolo e lo guidino al vero progresso in cui è garantita la dignità di tutti e a qualsiasi età della vita. 
I cristiani non intendono giustificare alcuna latitanza o dispensa dal lavorare accanto a fratelli e sorelle nella fede o a non credenti, in tutto ciò che riguarda un coinvolgimento diretto nella realtà politica e sociale. Senza pretesa alcuna di indicare un cammino univoco, mortificando ogni prospettiva altra perché non confessionale, il discepolo del Signore contribuisce al progresso umano e spirituale di tutti. Egli compie ciò in forza della sua fede e non per la riconquista di una cristianità perduta, da contrapporre come baluardo al crescente secolarismo tecnocrate. Per il cristiano permane il riferimento al modello Gesù, venuto per servire e non per essere servito (cfr. Mc 10,45; Gv 13,1-20); egli assume su di sé tutta l’umanità nella sua condizione storica facendo proprie le sue attese e le sue speranze, strappandola all’illusione di una salvezza senza l’umano. 
Quando la Chiesa prega per l’autorità politica e civile non delega in modo ipocrita la responsabilità del governo, non domanda ai credenti di rimanere neutrali, non predica una fuga mundi per dedicarsi alle «cose dell’alto», bensì sottolinea l’impegno nell’orizzonte della croce del Servo, che ha assunto l’alienazione più radicale dell’uomo per redimerlo. Nello stesso tempo, la preghiera della Chiesa per l’autorità civile diventa appello critico a considerare ogni struttura e ogni programma politico come una realtà penultima, che da se stessa non salva, perché non può essere identificata con il regno messianico. La realtà politica rimane, comunque, un frattempo nel mondo; laddove, però, essa si lascia coinvolgere dal mistero di Cristo servo, allora si apre alla diakonía, smascherando la tentazione dell’esercizio di un potere dispotico fine a se stesso. 
Non stupisce, allora, trovare nelle preghiere per l’autorità e la comunità civile, non un programma politico, bensì la supplica davanti a Dio perché la loro azione concorra al vero progresso dei popoli, alla salvaguardia della dignità di tutti nella libertà e nella pace. La Chiesa quando implora il Signore con sollecitudine per coloro che governano, svolge un’azione politica profetica; essa contribuisce a discernere il senso del giudizio di Dio sul corso delle vicende storiche dell’umanità. 3 In questa prospettiva, la prossima consultazione elettorale per la Città di Fidenza e l’Europa (26 maggio), trova nella preghiera dei credenti un appello non marginale alla responsabilità. Infatti, la responsabilità domanda discernimento sapiente in vista della scelta delle persone chiamate a svolgere un compito politico e amministrativo per il bene comune; ciò esige che siano persone caratterizzate da trasparenza di intenzioni, coerenza e maturità umana, che è nobile virtù contro ogni forma di vanità, la rinuncia ad una polemica miserevole impegnata ad individuare sempre altrove un colpevole da condannare e al quale delegare la ragione di un malessere sociale. 
Lo richiamava Max Weber nel suo saggio «La politica come professione»: «L’uomo politico deve soverchiare dentro di sé, giorno per giorno, e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano: la vanità comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni ‘distanza’ e, in questo caso, del distacco rispetto a sé medesimi» [citazione da: L. Manicardi, Spiritualità e politica, Qiqajon, Magnano (BI) 2019, pp. 20-21]. 
Ciò richiede, in secondo luogo, che quanti si impegnano nella dimensione politica, amministrativa e sociale devono essere persone caratterizzate da profondità spirituale autentica. 
Questa spiritualità si declina in alcune caratteristiche proprie: intelligenza aperta; fatica del pensare e del discernere; immaginazione non frustrante; libertà interiore, che diventa creatività senza derive populistiche e senza equivoci demagogici; coerenza, quale riflesso di una unità interiore senza divisioni rispetto alla promessa annunciata; vigilanza sulla tentazione di onnipotenza, che fa del potere da conquistare e della visibilità a tutti i costi l’unico obiettivo della vita politica e non solo. 
Ogni azione di impegno sociale e amministrativo trova la sua radice nell’interiorità, che permette di fare politica in modo giusto, umano e intelligente; una politica orientata alla responsabilità di costruire un “noi”, “con” e “per” gli altri, ossia quella città – polis che è la casa comune in cui dimorare, non nella paura dell’altro, ma nella difficile speranza di chi crede che la fraternità è possibile.
 + Ovidio Vezzoli vescovo

1 commento:

  1. Ci vorrebbero tridui, novene, suppliche ed anche esorcismi, per settimane.

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