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lunedì 27 maggio 2013

Cibo criminale. Il nuovo business della mafia italiana




Un libro inchiesta sulle falsificazioni del Made in Italy gestite dalle mafie

Una criminalità organizzata abilissima tanto che -come scrive il libro- “per finanziarsi è riuscita a fare incetta degli aiuti comunitari: per anni nomi di spicco di mafiosi e camorristi hanno incassato i finanziamenti all’agricoltura stanziati da Bruxelles, nonostante non ne avessero diritto”. Riproduciamo l' Introduzione del volume
Un ottimo libro che fotografa con grande meticolosità e precisione tutto il mondo delle frodi e delle sofisticazioni alimentari. Un libro inchiesta sulle tante falsificazioni del Made in Italy gestite dalla criminalità e dalle mafie con un titolo eloquente: “Cibo criminale. Il nuovo business della mafia italiana”.

Basta leggere l'introduzione per capire il valore documentaristico del libro scritto da due valenti giornalisti della carta stampata e della Tv, Mara Monti del quotidiano Il Sole 24Ore, e Luca Ponzi, della sede Rai dell'Emilia Romagna.

Nel forziere dell'agropirata ce n'è per tutti i gusti e il libro ne evidenzia molti aspetti: riciclo di formaggi scaduti provenienti dall’Asia e dai Paesi dell’Est; Mozzarella di bufala ricavata da cagliate provenienti dalla Germania; concentrato di pomodoro spacciato come italiano ma ottenuto allungando passata cinese; prosciutti di Parma contraffatti; formaggi confezionati con scarti avariati e quindi dannosi per la salute; olio proveniente da olive tutt'altro che nostrane.

Molti dei prodotti simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, che ogni giorno vengono venduti in tutto il mondo, sono il nuovo business di mafia, camorra e 'ndrangheta.

Il ruolo della criminalità

Una criminalità organizzata abilissima tanto che -come scrive il libro- “per finanziarsi è riuscita a fare incetta degli aiuti comunitari: per anni nomi di spicco di mafiosi e camorristi hanno incassato i finanziamenti all’agricoltura stanziati da Bruxelles, nonostante non ne avessero diritto”.

A questo proposito, il volume richiama il tema dell'agromafia, un fenomeno in crescita, “come dimostrano le stime dell'Eurispes: 12,5 miliardi di euro di fatturato all'anno, mentre le falsificazioni del marchio italiano nel mondo producono un danno per 60 miliardi di euro”.

La presenza della criminalità organizzata lo spiega bene il libro riportando le parole pronunciate da Pietro Grasso, oggi Presidente del Senato e allora procuratore nazionale antimafia che ai parlamentari della Commissione sulla contraffazione aveva detto con chiarezza: «Oggi, sotto il profilo dell’agroalimentare -ha affermato Grasso-, a parte gli aumenti dei costi e il fatto che gli alimenti sono di una qualità inferiore rispetto a ciò che ci si aspetta, è come se ogni italiano avesse aggiunto un posto a tavola per la criminalità organizzata: c’è un criminale che oggi sta seduto attorno a noi e che gode del fatto che, dovendo noi consumare dei pasti, paghiamo una parte di denaro in più rispetto a quanto dovremmo, a fronte di una qualità inferiore».

Un ampia parte del libro è dedicata alla “mafia dei prosciutti” dove si documenta, con una avvincente cronaca da “libro giallo”, di un delitto commesso nelle campagne reggiane per fare grandi affari con il Re dei prosciutti.

Un libro di sicura efficacia e utilità quindi, non solo per gli operatori del settore ma per tutti i cittadini che vogliono informarsi su una importante “partita criminale”, forse e purtroppo destinato ad ampliarsi come si evince da queste chiare righe apparse nel libro: “Una partita che i boss stanno giocando da una posizione di privilegio: la crisi ha indebolito l’economia, le banche si sono ritagliate un ruolo marginale puntando alla conservazione e strozzando le imprese. Il sistema è affamato di denaro: la mafia ne ha tanto e lo sa investire. Lo fa anche comprando terreni agricoli, che rappresentano il 20% dei beni immobili confiscati”.

Cibo criminale. Il nuovo business della mafia italiana di Mara Monti e Luca Ponzi

Prezzo di copertina € 9,90 Editore: Newton Compton (collana Controcorrente)



Riproduciamo, qui sotto, parte dell' Introduzione

La carne di cavallo nelle lasagne alla bolognese e nel ragù delle confezioni di pasta fresca, fino all’ipotesi più inquietante della carne di cane utilizzata per la preparazione dei cibi. Batteri coliformi solitamente presenti nelle feci scoperti in Cina nelle torte al cioccolato dell’Ikea, tranci di carne scaduta da otto anni trovati nei congelatori di un grossista di Milano. Nei primi mesi del 2013 i consumatori si sono dovuti improvvisamente rendere conto di non sapere che cosa stanno mangiando.

Normali truffe, qualcuno che voleva liberarsi di carne macinata in eccesso che il mercato non riusciva ad assorbire, qualcun altro che si è accontentato di materia prima poco costosa, senza verificare se fosse contaminata. Invece sono l’esempio di quello che sta accadendo in tempi di globalizzazione.

Un tema che interessa particolarmente l’Italia: da sempre il cibo è un vanto per il nostro Paese, che si è però scoperto fragile e sottoposto ad attacchi concentrici. Da una parte, la grande distribuzione controlla il mercato al dettaglio, determinando i prezzi e di conseguenza gestendo la sopravvivenza dell’intera filiera. Dall’altra, molti commensali famelici vorrebbero spartirsi una torta che vale un giro d’affari di 154 miliardi di euro, pari al 10% del prodotto interno lordo.

Questo libro raccoglie alcuni casi di attentati al made in Italy. Come il prosciutto di Parma, apprezzato in tutto il mondo, ma importato dall’estero e trasformato in prodotto locale falsificando il marchio di provenienza. Per nascondere la truffa, un macellaio tunisino che ricattava i suoi capi è stato ucciso. Le mani rapaci del clan dei Casalesi si sono allungate sulla famosa mozzarella di bufala campana, consumata perfino in Giappone, inquinata dalle cagliate tedesche spedite in gran quantità in Italia.

E' gestito dalla camorra anche il riciclo dei formaggi scaduti provenienti dall’Asia e dai Paesi dell’Est e destinati a diventare false eccellenze del made in Italy. E poi i pomodorini Pachino che arrivano dal Nordafrica e vengono spacciati come siciliani, così come il triplo concentrato acquistato in Cina per essere inscatolato come prezioso concentrato originario dell’Agro nocerino-sarnese, la patria del San Marzano: per la prima volta è stato stabilito che non basta allungare con un po’ d’acqua la passata cinese per poterla marchiare come made in Italy. La casistica annovera anche l’olio spremuto in Grecia, Spagna e Tunisia ed etichettato come prodotto nostrano: alle porte di Siena è stata scoperta la “lavanderia” dell’olio venduto come extravergine senza averne le caratteristiche.

La criminalità organizzata è abile e per finanziarsi è riuscita a fare incetta degli aiuti comunitari: per anni nomi di spicco di mafiosi e camorristi hanno incassato i finanziamenti all’agricoltura stanziati da Bruxelles, nonostante non ne avessero diritto. Una serie di situazioni diverse, lungo tutto lo Stivale, caratterizzate da una differente presenza delle grandi organizzazioni criminali, che aiutano a comprendere i rischi che affrontiamo ogni volta che mettiamo qualcosa nel piatto.

Pochi controlli, risorse limitate per contrastare le frodi, sanzioni risibili: che cosa succederebbe se anche in Italia si potesse ricorrere alla class action? Negli Stati Uniti i consumatori hanno fatto causa alla casa produttrice della birra Budweiser perché scoperta a diluire la birra con l’acqua, «con etichette false quanto al contenuto di alcol dei suoi prodotti.

Le grandi società non devono mentire ai clienti. La gente deve ottenere informazioni affidabili sui prodotti che acquista»2: è questo il tono esplicito della denuncia con cui si chiede il risarcimento dei danni a tutti gli acquirenti di Budweiser nel corso degli ultimi cinque anni. Come potrebbe difendersi il made in Italy se anche nel nostro Paese si potesse utilizzare questa potente arma legale?

Apparenza italiana

Italian sounding: si definiscono così quei cibi che richiamano l’Italia, ma che in realtà italiani non sono. A livello mondiale il giro d’affari dell’Italian sounding «supera i 60 miliardi di euro l’anno (164 milioni al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari (23,3 miliardi di euro nel 2009)3. Ciò significa che per ogni scatola di pelati veramente italiani ce ne sono tre la cui materia prima, pur avendo nomi come Vesuvio o Dolce vita, è stata coltivata all’estero. E così per la pasta, per l’olio, per i formaggi. Sarebbe sufficiente recuperare una quota del 6,5% dell’Italian sounding sul mercato estero per riportare in pareggio la bilancia commerciale dell’agroalimentare. Pomodori tunisini, prosciutti danesi, passate cinesi, olio spagnolo, funghi rumeni, formaggi dell’Est vengono importati, ripuliti e venduti come tipici. Negli Stati Uniti sono falsi mozzarelle e provoloni (il 97%), i sughi per la pasta, la quasi totalità del Parmigiano-Reggiano grattugiato (96%) senza contare che 1,6 milioni di quintali di latte e cagliate congelate provenienti dall’Europa dell’Est e dalla Germania giungono in oltre cinquanta aziende lattiero-casearie della Puglia.

Il giro d’affari dell’agromafia è stimato in 12,5 miliardi di euro all’anno, ma è difficile stabilire dove finisce il falsario, il produttore infedele e dove inizia la criminalità organizzata: «In questo senso, una delle figure più controverse è quella dei cosiddetti colletti bianchi che operano nel settore agroalimentare e che stanno acquisendo un ruolo strategico per le organizzazioni criminali inserite nel business delle agromafie e interessate soprattutto a spostare l’asse dell’illegalità verso una zona neutra, di confine, nella quale diviene sempre più difficile rintracciare il reato. Può accadere così che piccoli e grandi produttori di alimentari a marchio made in Italy, venduti sul nostro come in altri mercati, acquistino le materie prime all’estero, spesso in paesi in cui la qualità e le garanzie a tutela della salute del consumatore sono decisamente inferiori a quelle stabilite nel nostro»5. La denuncia parte dagli stessi agricoltori, ma non sono solo loro a pagare il conto salato delle infiltrazioni criminali: «Una mucca trattata con anabolizzanti arriva al macello con 100 chilogrammi in più rispetto a un capo di bestiame allevato nel rispetto della legge. Il sovrappeso garantisce all’atto della commercializzazione un utile netto di almeno 400 euro a capo». E noi mangiamo bistecche gonfie di ormoni.

A contribuire a indebolire il settore è la presenza della criminalità organizzata: Pietro Grasso, allora procuratore nazionale antimafia, lo ha spiegato con chiarezza ai parlamentari della Commissione sulla contraffazione: «Oggi, sotto il profilo dell’agroalimentare, a parte gli aumenti dei costi e il fatto che gli alimenti sono di una qualità inferiore rispetto a ciò che ci si aspetta, è come se ogni italiano avesse aggiunto un posto a tavola per la criminalità organizzata: c’è un criminale che oggi sta seduto attorno a noi e che gode del fatto che, dovendo noi consumare dei pasti, paghiamo una parte di denaro in più rispetto a quanto dovremmo, a fronte di una qualità inferiore»7. Le mafie si sono infiltrate in ogni attività economica e in tutto il territorio nazionale. Difficile stabilire con certezza il fatturato del “Mondo dei ladri”, ma secondo Eurispes è di circa 220 miliardi di euro all’anno, l’11% del prodotto interno lordo del Paese, mentre secondo l’ex procuratore Grasso, il riciclaggio muove 150 miliardi di euro.

Il problema dei mafiosi

«Fra venti, trent’anni, noi scompariremo nel mondo della legalità e godremo la nostra ricchezza senza paura. Quei due bambini che stiamo per battezzare oggi non dovranno mai commettere i nostri peccati e correre i nostri rischi»10. Sono le parole che lo scrittore Mario Puzo fa pronunciare a don Domenico Clericuzio all’inizio de L’ultimo padrino, il romanzo che racconta la modernizzazione della mafia italoamericana.

Far riemergere dagli inferi dello spaccio di droga, del traffico d’armi, dell’estorsioni e del commercio di uomini e donne 220 miliardi di euro ogni anno, solo in Italia, è il grande problema della criminalità organizzata.

Una partita che i boss stanno giocando da una posizione di privilegio: la crisi ha indebolito l’economia, le banche si sono ritagliate un ruolo marginale puntando alla conservazione e strozzando le imprese. Il sistema è affamato di denaro: la mafia ne ha tanto e lo sa investire. Lo fa anche comprando terreni agricoli, che rappresentano il 20% dei beni immobili confiscati.

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Due recensioni: Silvana Mazzocchi e Giuseppe Ceretti

"Cibo criminale", le maxitruffe che avvelenano la nostra tavola. Libro-inchiesta sul grande giro d'affari basato sui prodotti falsamente etichettati "made in Italy", sulle sofisticazioni alimentari e le manovre della criminalità organizzata per impossessarsi dei fondi comunitari di Silvana Mazzocchi (da La Repubblica)

Cibo criminale, abbiamo aggiunto un posto a tavola. Si è seduta la mafia di Giuseppe Ceretti (Sole 

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