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martedì 8 maggio 2018

Scomuniche ed interdetti non bastano a piegare la Chiesa di Borgo.


Secolo XV: il vescovo Delfino e la prevostura di Borgo

Nel 1400 per circa quarant'anni la storia della Diocesi di Parma, sotto la cui giurisdizione stava la Chiesa di Borgo, si muove intorno alla figura del vescovo Delfino della Pergola, promosso da papa Martino V con Bolla al Capitolo del 24 agosto 1425.

Nativo del Montefeltro, figlio di Angelo condottiero al servizio del Duca di Milano Filippo Maria Visconti, aveva due fratelli Antonio e Leonoro entrambi nell'esercizio delle armi e forse fu innalzato, da semplice chierico della chiesa eugubina, al ruolo di vescovo proprio per intervento del Duca presso il Papa. Fu consacrato vescovo solo il 18 settembre 1426, dopo aver completato l'iter previsto per potervi accedere. (Il Concilio di Trento nel secolo successivo regolerà la disciplina del clero e della liturgia)


Il percorso tra le vicende del tempo permette di ricavare un quadro d'epoca in cui si muovono personaggi del mondo laico e del clero tra i quali si intrecciano rapporti di potere e di interesse che sfociano spesso in giochi di forza e di prestigio che trovano radice in atti e concessioni risalenti ai secoli precedenti, tuttavia ben utilizzati a tempo e modo opportuni.
Fin dal suo insediamento Delfino manifestò le intenzioni di riportare sotto la propria giurisdizione la Chiesa di Borgo dove era prevosto Antonio Bernieri che già nel 1415 aveva negato i diritti di Parma portando a sostegno del suo diritto delle lettere di Papa Giovanni XXIII, che, però, non furono mai esibite.
Delfino presentò la questione al Concilio di Basilea dove si era recato per compiacere il duca di Milano.
Il 19 dicembre 1438 fu intimato al Bernieri, ormai vescovo di Lodi consacrato il 3 gennaio 1437, ”di non opporsi alla superiorità di Defino ed all'esercizio della sua giurisdizione”, tutto andava rispettato sotto pena “di perdere tutti i benefici, di essere inabilitati ad ottenerne di nuovi e di pagare una multa di mille marche d'argento.”. 
L'ingiunzione del Concilio di Basilea era naturalmente estesa anche ai canonici di Borgo la cui prevostura e relativa commenda erano state trasmesse a Giovanni Meti , arcidiacono della Cattedrale di Lodi e cappellano commensale del Bernieri. Il tutto godeva di un'entrata di 100 fiorini annui di cui il Meti avrebbe dovuto versarne la metà al Bernieri.
Per il Vescovo Delfino non erano tempi facili, tanto che nel 1440 presentò a Papa Eugenio IV la situazione di Parma che, "famosa fra le Cattedrali di Lombardia ed agli altri tempi in molta dovizia salita, era al presente sì per le inondazioni solite rinnovarsi nel Parmigiano di cinque in cinque anni, o più spesso, sì per altri sinistri avvenimenti, in tanto di strettezze caduta che i vescovi né mantener poteano la debita dignità, né sopportar le spese occorrenti a'quotidiani bisogni".
A conferma di questo stato di penuria delle rendite della Chiesa di Parma, si ricorda che quell'anno 1440 Delfino non era stato in grado di mandare “Honorantia bovis pinguis” al Duca. Ciò spiega in parte perché il Vescovo si battesse tanto per mantenere i suoi diritti su Borgo.
L'opposizione dei borghigiani non cessò tanto che nel 1440 furono scomunicati e nuovamente lo furono nel 1443...
Giovanni Meti era nativo di Borgo e la sua vera elezione a Prevosto avvenne nell'ottobre 1447.
Abitanti e clero gli andarono incontro il 23 ottobre e lo pregarono di risiedere nel Comune. Da ciò si comprende che le cariche venivano assegnate con relativi proventi dei benefici, ma senza obbligo di “residenza”anche per il motivo che sulla stessa persona si accumulavano varie investiture più o meno redditizie e prestigiose.
Appena preso possesso della sua Comunità, egli chiese ai presbiteri di essere aiutato a rivendicare la libertà contro le pretese del Vescovo, che lo sostenessero affinché tutte le chiese della circoscrizione di Borgo che avevano dei beni stabili ne pagassero le imposte alla stessa Chiesa, fu proibito ai borghigiani di attentare alla libertà ecclesiastica del Borgo a favore di Parma e fu ordinato ai preti di pagare “le gravezze alla mensa di Borgo.” (30 ottobre 1447).
Le sue richieste furono accolte dalla Comunità, ma appena Delfino lo seppe ( inizio 1448) diede ordine al Capitolo di Parma di provvedere e Meti fu chiamato affinché “si assoggettasse”.
Lo storiografo Pezzana così scrive: “Il nostro Vescovo solo mirava a tutelare la propria primazia come erasi fatto dai suoi predecessori”
Meti comparve e si sottomise, ma Delfino “fulminò”contro di lui l'interdetto esteso a chi lo aveva sostenuto.
Il 10 novembre dello stesso anno il Prevosto e gli altri furono assolti e il Vescovo nominò come suo Vicario in Borgo Fra' Pietro Fogaroli Umiliato che mantenne l'incarico fino al 1450 quando gli fu revocato .
L'8 luglio di quell'anno Giovanni Meti fu riammesso alla prevostura di Borgo con “ampia potestà di udire e decidere tutte le liti...di assolvere dai peccati riservati al Vescovo...di introdurre riforme nei luoghi ecclesiastici di Borgo”.
Delfino dichiarava : “Cotanta possanza e dignità concedeva per la sapienza, la gravità del costume, l'onestà della vita onde l'Altissimo privilegiato avea Giovanni Meti, Proposto della Chiesa di Borgo”.


La pace tuttavia durò poco, l'anno seguente sorsero nuovi motivi di litigi.
Esisteva un vecchio vincolo nell'assegnazione di benefici e dignità ecclesiastiche in Borgo. Il vescovo non poteva , qualora si rendessero vacanti, conferirli a qualcuno che fosse di fuori, ma Delfino non rispettò la disposizione preferendo attribuire un canonicato al parmigiano Gabriele Solari a cui i borghigiani contrapposero il loro Paolo Fagiuoli.
Nella diatriba intervenne il “dottissimo” Cardinal Bessarione con la sua parola: solo per il merito dovevano essere attribuite le prebende, che non potevano essere soggette a nessun vincolo. Il borghigiano dovette quindi rinunciare.
Erano anni difficili. Le cronache riferiscono che nel 1454 Borgo ottenne il permesso di macinare nei mulini di Parma, si ritiene per mancanza di acqua. Poco dopo arrivò una nuova legge sulla “imbottatura” e sulla macina, per cui Meti stesso si recò a Milano presso il Duca a cui manifestò che l'applicazione di tale legge avrebbe portato alla “desfazione del Comune” (6-XII-1454).
I Procuratori che lo accompagnavano dimostrarono la deplorevole condizione del loro territorio flagellato da insopportabili gravezze che avevano costretto intere famiglie ad abbandonare la terra ed espatriare in luoghi che godevano di esenzioni. Si lamentavano pure ruberie sulla strada Romea.
Il Vescovo Delfino si era reso conto che le rendite diminuivano per le guerre e per i tempi (anche per i suoi viaggi e per le liti!), perciò decise di rivendicare i suoi diritti sulle terre di famiglia di Pergola.
Anche la Chiesa di Borgo nel 1457 era in crisi se nel Capitolo non rimanevano che tre individui compreso il prevosto e nel 1460 era disfatto e nessun canonico vi aveva la residenza tranne il Meti.
Dopo l'ennesima controversia con Borgo e stanco per le continue liti perché fossero rispettati gli obblighi verso la mensa episcopale, Delfino , dopo trentotto anni di episcopato parmense, chiese a Papa Pio II di essere trasferito a Modena dove morì due anni dopo.
Il prevosto Giovanni Meti risulta nel 1468 ancora attivo a preoccuparsi per i suoi Borghigiani e nel 1470 coadiuvato dal vicario Domenico Tamusi , preposto degli Umiliati del Borgo.
Si dice defunto nel 1479.
Marisa Guidorzi
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Interdetto =Nel diritto canonico la censura o pena ecclesiastica spirituale con cui sono vietati ai fedeli i divini uffici, alcuni sacramenti e la sepoltura ecclesiastica, senza che si intenda sciolta la comunione con la Chiesa
Scomunica= Esclusione del battezzato dalla comunità dei fedeli
Mensa = Nel diritto ecclesiastico il reddito destinato al mantenimento

BIBLIOGRAFIA MINIMA:

  • A.PEZZANA - Storia della città di Parma 1346-1500, (1842)
  •       “                 - Storia della città di Parma 1449-1476, (1842)
  • G.M.ALLODI -Serie cronologica dei vescovi di Parma con alcuni cenni sul…Vol. I- 1856



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