Conversazioni con il padre
Io immagino mio padre, lassù, nei Cieli danteschi, tra il Quarto ed il Sesto, ora tra i Sapienti, ma anche tra i Giusti.
Possedeva una cultura classica magnifica, e si era poi laureato in Chimica industriale ed in Farmacia, dove eccelleva come analista.
Mio padre mi ha trasmesso l'amore infinito per i libri e la lettura. Ha lasciato una biblioteca immensa, in casa sua, di testi di ogni settore dello scibile umano. Sono divenuto appassionato di romanzi di SF, grazie a lui, avido lettore della collana di Urania.
Su molti argomenti non andavamo assolutamente d'accordo, lui era molto religioso, e a volte lo trovavo, in fatto di fede, cocciuto e testardo, e litigavamo furiosamente
Fino all'ultimo, non potendo più andare ad assistervi in chiesa, seguiva la Messa in TV: guai a disturbarlo, era assorbito in preghiera, quasi in estasi mistica. Noi tre figli non lo capivamo, lo canzonavamo, anche, in fatto di morale, dove era rigido, specie su quella sessuale, di chiaro stampo cattolico. In quei casi, non era possibile discutere con lui, si spazientiva e troncava il dialogo.
In me, trovava un interlocutore per i suoi antichi ricordi di scuola, squisitamente di stampo gentiliano. Era stato un alunno eccellente, Interrogato, là dove altri se n'erano tornati mogi al banco, con votazioni orrende, lui se ne rientrava immancabilmente con un otto.
Intessevamo e intrecciavamo, io e lui, dialoghi sugli autori classici greci e latini, e su quelli della letteratura italiana, di ogni tempo. Lui si ricordava a memoria passi di autori classici, io gli correggevo eventuali errori od imperfezioni, ed aggiungevo particolari, che lo lasciavano piacevolmente sbalordito.
Negli ultimi anni, aveva imparato l'aramaico, per poter leggere i Vangeli in lingua originale, e la scrittura geroglifica. Passava ore a trascrivere e tradurre le scritte sui monumenti egizi.
Vestiva all'inglese, e gli ripetevo spesso che mi pareva un colonnello dell'esercito britannico, con cerimonia del tè alle cinque inclusa.
Forse il suo involontario e principale difetto era l'incapacità di manifestare concretamente il suo affetto paterno; manifestava difficoltà e disagio, con noi figli, quando, divenuti adolescenti, cominciavano a contestare la sua disciplina.
Mi chiamava spesso “Nanìn”, o “Ciccio”, anche ora, a 73 anni.
Spesso, ci impegnavamo in argomenti peregrini e di lana caprina, da veri intellettualoni borghesi e da topi d biblioteca, sempre su temi in greco o in latino, o su quisquilie storiche cavillose. Tipo la triscaidecafobia, l'enoclofobia, o la demofobia.
Lì gongolavo, come psicologo, anche se mio padre non amava la psicologia e la trovava una scienza che voleva sostituirsi alla fede, una faccenda da laicisti, agnostici e atei, modello UAAR.
In ultimo, stentava a respirare, mi faceva segno, al piccolo tavolo di cucina, dove discutevamo, l'uno di fronte all'altro, quali aspiranti accademici della Crusca o dei Lincei, di aspettare che gli tornasse il fiato, sempre più flebile, un sussurro, un bisbiglio. Teneva ancora in moto i suoi splendidi ed efficientissimi neuroni, allenandoli anche con la Settimana Enigmistica, e su certe definizioni, richiedeva il mio intervento culturale.
Gli è servito egregiamente, quell'esercizio mentale.
Accanto al suo corpicino emaciato e rifinito, nel cofano funebre, abbiamo posato l'ultimo numero della Settimana Enigmistica, non ancora completata, con la sua biro preferita. Ora, scommetto che è lassù, a risolvere gli ultimi enigmi, con l'aiuto prezioso di mia madre. Ciao, papà!
Franco Bifani
Biffo, apprendo ora, della scomparsa di tuo padre e ti faccio le mie più sentite condoglianze. Ciò che hai scritto, di lui e per lui, ti onora. Oltre tutto, il brano, è molto originale. Da te, non ci si poteva aspettare di meno. Ciao Biffino.
RispondiEliminaClary, ti ringrazio di tutto, appena posso, ti chiamo.
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