“Die 4 7bris 1748…” (4 settembre 1748), dall’atto di battesimo nell’Archivio della Cattedrale di Fidenza.
Gli anni passano e gli anniversari si infittiscono: ognuno di noi ricorda quelli che gli sono più cari.
Io vorrei fermarmi sul 270° di nascita dell’abate don Pietro Antonio Maria Zani, il 4 settembre prossimo.
Sono ormai ventuno anni che la sua storia accompagna i miei giorni, e col crescere dei tasselli aggiunti e della mia affettuosa considerazione, il desiderio di farlo conoscere e di dargli voce è più forte, anche se il vento è sempre contrario…
I tempi sono cambiati dal 1748 a oggi, ed è molto difficile capire una figura del passato senza sapere degli avvenimenti, dei luoghi, e del pensiero degli uomini di quel periodo.
In un paio di pagine del libro sull'autore dell’Enciclopedia Metodica Critico-ragionata delle Belle Arti - che ormai considero mio, perché rifatto completamente in sei anni, ma scritto, nella prima edizione, insieme e soprattutto grazie alla lungimiranza del Preside Paolo Mesolella di Caserta che aveva capito da subito la statura dello studioso - ho accennato al governo di allora, ai primi anni di vita di Pietro e alle scuole di Borgo San Donnino; in altre, frugando nei documenti della miscellanea d’Archivio, mi ha incuriosito il diario dell’Accademia Agraria sull'allevamento delle api, che propongo: poche cose, perché non ho scritto un romanzo, ma appunti di conoscenza che possono aiutarci ad aprire una finestra su quegli anni, senza pretese.
Il governo del tempo
Il 18 ottobre 1748, quarantaquattro giorni dopo la nascita di Pietro Zani, a Filippo di Borbone (1720-1765), con il Trattato di Pace di Aquisgrana, alla fine della Guerra di Successione Austriaca, viene assegnato il Ducato di Parma e Piacenza (con l’aggiunta di Guastalla, dove si erano appena estinti i Gonzaga). Le terre erano disastrate da decenni di malgoverno e spogliate, dal 1735 in poi, di opere d’arte, archivi e ricchezze dal fratello di lui Carlo I di Borbone, divenuto re di Napoli. Il Duca ne prenderà possesso, entrando in Parma, il 9 marzo dell’anno seguente (a Piacenza, tre giorni prima).
Nel dipinto di Giuseppe Baldrighi (1723-1803) nella Galleria Nazionale di Parma, il Duca, figlio secondogenito di Elisabetta Farnese e Filippo V re di Spagna, è ritratto nella Reggia di Colorno con la moglie Marie Louise Elisabeth (1727-1759, primogenita di Luigi XV re di Francia), i figli e la governante. L’unico maschio diventerà duca col nome di Ferdinando e sarà grande amico e mecenate dell’Abate.
Dal quadro traspaiono l’atmosfera di palazzo e un desiderio di grandiosità di gusto francese, tipico di quel tempo, attraverso gli oggetti che rilevano le passioni della corte: la musica, i cani di razza, l’arte, l’esotismo, il colore negli abiti e nell’arredo. La Duchessa è occupata nel passatempo di moda: il chiacchierino (frivolité).
Dal quadro traspaiono l’atmosfera di palazzo e un desiderio di grandiosità di gusto francese, tipico di quel tempo, attraverso gli oggetti che rilevano le passioni della corte: la musica, i cani di razza, l’arte, l’esotismo, il colore negli abiti e nell’arredo. La Duchessa è occupata nel passatempo di moda: il chiacchierino (frivolité).
In quel periodo, nel piccolo Ducato si parlava francese, si vestiva alla francese, si governava alla francese; e da allora i parmigiani si portano dietro la “erre” francese; e Parma contava il più alto numero di abbonati all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, dopo Parigi (tra questi, poi, anche Pietro).
Il duca Filippo, detto il “Bonario” (G. Laurini 1986), amante della cultura, valorizzò la scuola privata di pittura alla “lombarda” esistente e la trasformò in Accademia di Belle Arti nel 1757. Diede nuovo impulso all’Università, una delle più antiche d’Europa.
Negli anni seguenti, istituì pure la Biblioteca Reale, ora Palatina, di pubblica utilità, chiamando come bibliotecario, su proposta del ministro Guillaume Du Tillot, il teatino padre Paolo Maria Paciaudi, al quale, anche archeologo, fu affidato l’allestimento del Museo Archeologico con i reperti degli scavi di Veleja. “L’Atene d’Italia” come sarà chiamata Parma in quegli anni, grazie al rilancio culturale del Borbone e soprattutto del colto, intelligente e onesto suo Ministro, sarà importante per la formazione di Pietro.
Negli anni seguenti, istituì pure la Biblioteca Reale, ora Palatina, di pubblica utilità, chiamando come bibliotecario, su proposta del ministro Guillaume Du Tillot, il teatino padre Paolo Maria Paciaudi, al quale, anche archeologo, fu affidato l’allestimento del Museo Archeologico con i reperti degli scavi di Veleja. “L’Atene d’Italia” come sarà chiamata Parma in quegli anni, grazie al rilancio culturale del Borbone e soprattutto del colto, intelligente e onesto suo Ministro, sarà importante per la formazione di Pietro.
Dal Discorso Preliminare della sua Enciclopedia leggiamo una sua dichiarazione: “Costretto, per le tristi vicende di mia famiglia, ad interrompere gli appena intrapresi studii di prima età, e a calzare il socco [scarpa alta sopra il nodo del piede] e il coturno [stivaletto con strisce di cuoio intrecciato su zoccolo alto di sughero, distintivo degli attori della tragedia greca: Eschilo] nella Corte dei Principi Leopoldo d’Assia Darmstadt ed Enrichetta d’Este, vedova dell’ultimo dei Farnesi, che risiedevano in Borgo San Donnino mia patria, io divisi il mio tempo per ben vent’anni tra le sceniche mal ricompensate fatiche, lo studio delle stampe, e la lettura dei libri letterarii”.
Pietro, dunque, divenuto attore nel teatro privato della Principessa per necessità, e in seguito anche staffiere (servitore al cavaliere), ebbe la fortuna di avere come compagno di scena il vecchio pittore Girolamo Bertani, allievo di Tagliasacchi, persona molto colta, che possedeva libri e stampe, dal quale apprese le prime cognizioni intorno alle belle arti verso cui egli si sentiva fortemente inclinato: “traeva io di continuo pascolo abbondevole per le mie favorite passioni”. Pezzana ci informa “che, oltre il recitare, ebbe in quella Corte uffizio di famigliare”, poiché si era distinto e fatto benvolere, ottenendo “la protezione generosa” di Enrichetta.
Prestava servizio a corte di giorno, e di notte si preparava per gli studi al ginnasio, con gli appunti che gli passava l’amico Giovanni Borghesi, allievo del Seminario.
La madre lo sgridava perché era sempre chino sui libri fino a notte fonda, con gli occhi rossi, al lume di candela. Dimostrava un’instancabile applicazione negli studi e un’avidità di sapere che era motivo di stupore tra i suoi concittadini e in quanti lo conoscevano. Deve la sua grandezza e fama esclusivamente alla propria tenacia.
La situazione delle scuole a Borgo San Donnino. Pincolini e Plateretti
Ci sono notizie nelle Memorie Locali, rimaste manoscritte, raccolte dallo storico di Borgo Vincenzo Pincolini, parroco del duomo fino al 1763. Il religioso, morto nel 1785, raccolse per una vita materiali, i più disparati, che divise per soggetti, curando la datazione, come fonte per la sua storia, dimostrando una scientificità di metodo che sicuramente non è sfuggita al nostro Pietro. Nel 1750 le scuole erano sei, due a spese del pubblico per i piccoli, quattro della Compagnia di Gesù (Gesuiti) ubicate nel complesso che esiste tuttora, addossato alla chiesa dedicata alla Gran Madre di Dio (dal 1950 parrocchia San Michele).
Qui frequentarono fino a trecento allievi contemporaneamente, provenienti da tutt’Europa.
Quando furono espulsi i Gesuiti nel febbraio 1768, duemila volumi - “libri di Belle Lettere, Filosofici e Teologici” - furono portati nella Biblioteca di Busseto, nell’indifferenza degli Anziani della Comunità di Borgo, nonostante i dissensi pubblici di Vincenzo Plateretti (medico presso l’ospedale locale, studioso, grande amico e consigliere di Zani) e chissà quale dispiacere del Nostro (tra le sue carte, conservate nella Biblioteca del Seminario fidentino, è stata trovata anche una poesia in difesa della Compagnia di Gesù). Il Collegio dei Gesuiti fu un attivo centro di vita culturale. Le “scuole moderne” che lo sostituirono, con i progetti riformistici del Du Tillot, non ebbero la stessa validità.
Una lettera di A. Bianchi, insegnante pubblico presso le “Scuole Reali di Borgo San Donnino”, del 1778, fa sapere di una situazione di difficoltà per le scuole, tra ambienti fatiscenti e viavai di rumorosi villani (A. Leandri 2006).
Quando Pietro era giovane, esistevano a Borgo anche biblioteche private. Quella di mons. Missini fu messa in vendita dagli eredi, ma non fu acquisita dalla Comunità. Quella di Vittorio Pallavicini Pincolini era un vero “tesoro di cultura” (A. Leandri 2006).
A quel tempo le lettere e i libri circolavano con la Posta dei cavalli.
Pietro non coltivava solo lo studio delle Arti, ma anche quello della Filosofia e delle Lettere, ed ha sempre amato la Poesia.
Nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Fidenza, giace ancora manoscritta la sua Poliantea Poetica / ossia / Dizionario di vario-scelte Poetiche Composizioni, che più di mille Poeti Italiani han saputo inventare, e comporre, ed anche tradurre dalle migliori Poesie Ebraiche, Greche, Latine, Francesi, Spagnuole, Tedesche, Inglesi, etc.[…] .
L’opera si compone di grandi faldoni nei quali l’Abate raccolse le poesie divise per temi, in ordine alfabetico.
Aveva pure compilato una raccolta di Sentenze Latine e Italiane (aforismi) dei migliori autori, pure rimasta manoscritta.
In un componimento poetico confessava al duca Ferdinando di Borbone “Altezza Reale” la sua vocazione al sacerdozio (L. Farinelli).
Nel 1789 scrisse un Memoriale in terzine per lo stesso Duca, con lo scopo di far sovvenzionare la stampa del Prodromo (primo manifesto dell’Enciclopedia).
L’Accademia Fidentina
Pietro fece parte attiva di un’Accademia Agraria, fondata nel 1777, che prese il nome di “Accademia di Dama Georgico - Fidentina”, dedita alla poesia e alle cose di natura.
Tra i membri che componevano il sodalizio, oltre a Zani e a Dal Verme, vi era anche Vincenzo Plateretti, grande amico dell’Abate, di professione medico, il quale scrisse nel 1802 le Memorie per servire alla storia dello stato attuale di Borgo San Donnino.
I componenti dell’Accademia adottarono nomi in codice: Zani assunse quello di “Industrioso”, Dal Verme quello di “Manieroso”. Altri erano l’ “Accorto”, il “Fortunato”, il “Prudente”, il “Benevolo”.
In Palatina a Parma, un certificato rilasciato dall’Accademia Fidentina al pittore Dal Verme, nel 1783, ne presenta l’insegna, composta da una scacchiera entro cornice di festoni e cartigli con i motti in latino in cui si identificava: “Nulla Disparitas” (nessuna differenza: giustizia), “Nullus Ardor” (nessuna ira: serenità), “Otium Nullum” (nessun ozio: attività), “Scruporum Ludus” (il piacere della ricerca minuziosa: minuzia).
Insegna dell’“Accademia di Dama Georgico-Fidentina” da certificato rilasciato al pittore Dal Verme (particolare), 1783, Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm. 3709
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Nel marzo 1783 il gruppo di accademici decise di occuparsi della ‘coltivazione’ delle api, dando vita ad una “Società delle Arnie o degli apicoltori”. I soci si davano appuntamento nella “Camera del Giardino”, qui redigevano il diario delle riunioni in quaderni manoscritti.
La Biblioteca Diocesana del Seminario Vescovile fidentino ne conserva tre.
Il primo, di otto carte (sedici pagine scritte), comprende il Diario delle operazioni fatte dall’Accademia della Dama Agraria, sopra la Coltivazione delle Api 1780.
Il secondo, di cinque carte, porta il titolo Capituli della Società e cose spettanti alle Api.
Vicino al titolo il nome “Bagarotti” che compare anche nel verso del foglio.
Leggendo qua e là in quart’ultima pagina:
“La formica bruna, la più picciola della sua specie, è l’avversaria più formidabile delle Api. […] La guerra delle Api accade per lo più nel mese di Settembre. […]
Non si devono comprimere i Favi per estrarre il miele, ma si devono mettere in un colatoio che non sia di rame, in un luogo caldo, perchè il miele vi sgoccioli: finito lo sgoggiolamento si comprimono i Favi, e quello che vi esce non è buono, che pel nutrimento delle Api. […]
Le Fave, i Fagiuoli, i Piselli, i Cavoli, i Navoni [ravizzoni], ed altri legumi ed ortaggi forniscono continuamente dei fiori e del lavoro alle Api. […]
Dopo la metà di Giugno si può cavare dagli alveari una porzione di cera e di miele; […]”.
Il terzo quaderno è composto di undici carte, completa il precedente dal 6 marzo 1785.
Tra le righe troviamo il nome del Patrono dell’Accademia fidentina, il numero delle arnie coltivate e cosa mangiavano le api. Scopriamo che la Società aveva più di un direttore (e l’Abate era tra questi) e si riuniva nella cosiddetta Camera del Giardino.
Si legge nell’introduzione:
“Essendo arrivati nel nome del Signore al Mese di Marzo del 1785, ed avendo veduto per misericordia del medemo, ed intercessione di S. Pietro Nolasco Protettor nostro, che tutte le nostre Arnie al numero di 20 sono tutte sane, e vive, malgrado il cattivo Inverno, e malgrado l’abbondanza di neve, la Società si è unita nella Camera del Giardino, ed ha stabilito, che uno de’Direttori faccia il presente Diario.
Marzo 1785.
Li 6 D.o [?] Tutte le Api delle nostre Arnie erano fuori ad effetto della buona giornata, ed abbiam dato alle medeme di Fichi secchi, che hanno mangiato con piacere. Bella Giornata.
Li 7 D.o Tutte le Api erano parimenti fuori, e malgrado la Neve, che copre ancora il volto della Terra, con nostra somma consolazione abbiam vedute le medesime a portar ne’loro Alveari della cera gialla. Anche in quest’oggi abbiam loro dato da mangiare di Fichi secchi boliti nel vino bianco, che non han troppo gustato. B. G.
Li 8 D.o Il Sole nacque bellissimo, ma dopo si ottenebrò, ed indi nacque più risplendente. Le nostre Api sortirono alle 8 della mattina, e si misero a mangiare la colazione che ci demmo del miele cotto col vino, che ci piacque moltissimo. Dopo poi andarono alla campagna, ed hanno lavorato tutt’oggi. Le Provigioni erano più abbondanti di ieri, effetto che la Terra era un poco più scoperta, le rive massime, e le costiere. In questa giornata abbiam cominciato ad accomodare le viti della Pertica di mezzo. Io ho speso per l’Uomo Lavoratore F. 2. 8.
Li 9 D.o Per motivo del tempo nuvoloso, che di tratto in tratto mandava dell’acqua, le nostre Api sono in quest’oggi restate in casa. Le Viti però sono andate avanti. Io ho speso per il Lavoratore F 2.4.
Ho pure consegnato al Parizzi per condotta di un carro d’asse, e per Dazio F 6. 12.
Queste erano a Castione. […]”.
Terzo quaderno dell’Accademia di Dama Agraria fidentina: diario scritto dall’Abate con la penna d’oca sull’allevamento delle api nell’anno 1785 (prima pagina di ventuno).
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Non so se queste notizie possono incuriosire anche gli apicoltori di oggi: saranno cambiati i gusti delle api, ora che l’introduzione nelle nostre terre delle api cinesi - che sono più grosse e producono più miele - ha eliminato quelle locali?
L’apicultura, già raccomandata dall’ultimo Duca Farnese, affascinava anche Du Tillot, che voleva ricompensare gli allevatori, e aveva fatto pubblicare un opuscolo di propaganda dal titolo Istruzione per l’allevamento delle api.
A fine settembre 1788 Maria Amalia, moglie del duca Ferdinando, venne a Borgo San Donnino per vedere l’allevamento delle api e fu omaggiata con poesie dall’Abate.
Alcune composizioni poetiche scritte per l’occasione o dedicate alla Duchessa, sono conservate nella Biblioteca Diocesana del Seminario Vescovile di Fidenza.
Alcune composizioni poetiche scritte per l’occasione o dedicate alla Duchessa, sono conservate nella Biblioteca Diocesana del Seminario Vescovile di Fidenza.
È molto bella quella che recita:
“Vieni Donna Real, vieni, ed udrai
Qui lieto d’Api mormorar gran coro
Che delibando i fiorellin più gai
E di cera e di mele apre tesoro.
[…]”
Nello stesso anno Pietro Zani avrà una controversia con il pittore Dal Verme a causa di un orologio d’oro ricevuto da Maria Amalia proprio come membro della Società delle Arnie (A. Aimi).
Era il tempo questo, dell’Illuminismo, che già incominciava a influenzare gli studiosi con idee scientifiche e naturalistiche, non sempre ben accolte. Il vescovo Girolamo Bajardi, ad esempio, manda una lettera a Paciaudi, il 10 agosto 1769, a proposito di “investigatori delle opere della natura” e riporta con sarcasmo uno scritto di Francesco Maria Plateretti (padre di Vincenzo): “un Lettore di filosofia a Borgo S. Donnino è inutile”.
Fidenza 02-09-18 Mirella Capretti
Brava Mirella!
RispondiEliminaBrava Mirella!
RispondiEliminaE grazie ancora per aver riscoperto e fatto conoscere una così importante figura del nostro Borgo.