Appesi ad un filo di bisso
Le conseguenze della diffusione del coronavirus non riguardano solo le migliaia di vittime della pandemia e la crisi economica che ne deriverà.
C’è da affrontare, infatti, anche un'emergenza psicosociologica, molto importante, per tutti noi, senza distinzione di etnìa, ceto e censo. Già ora assistiamo a importanti mutamenti delle nostre abitudini quotidiane.
Le attuali restrizioni per ridurre i contagi pesano su tutti, dai bimbi alle persone più anziane
Il coronavirus ha posto tutti noi in uno stato di perenne angoscia, ansia e paura, in una situazione paralizzante, surreale. Il virus fa paura a tutti, inutile nasconderlo. Si temono per la vita propria e dei famigliari, le persone fisicamente più fragili si ritrovano sotto una nuova minaccia, insistente ed invisibile, che potrebbe aggredire le loro scarse difese immunitarie.
Tutti, ci si ritroviamo impotente dinanzi ad un nemico implacabile e sconosciuto, contro il quale non possediamo armi di difesa.
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”
Rischiamo di attuare comportamenti impulsivi e irrazionali. Il passo dalla paura al panico, è breve, per cui si perde lucidità e ogni cosa viene percepita come rischiosa ed allarmante. Non siamo fatti per reggere situazioni di allerta e tensione prolungate e continue.
Alcuni sviluppa un'ipocondria eccessiva, ogni sintomo è percepito come un segnale di contagio. Nei riguardi dei social e della televisione, va bene con l’informazione, ma non devono diventare un'ossessione quotidiana, e certe notizie allarmanti, ripetute con ricorrenza esasperante, suscitano e diffondono il panico.
Ci attendono periodi prolungati di isolamento, specie per alcune zone, e si chiede di limitare i propri spostamenti, di evitare assembramenti e scambi di effusioni.
Niente ristoranti, teatro, cinema, visite e ritrovi con amici e parenti.
E' calata, purtroppo, su ognuno di noi, una oscura cappa di gelo e solitudine, un arido deserto sociale. Ci riscopriamo caduchi e fragili componenti di una minim-umanità. Fratelli, forse?
“Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità”
Franco Bifani
Caro Franco , sintonia di riflessioni in questa domenica che non è una festa, ma un susseguirsi di ore in cui il tempo non è più tempo, non ha scadenze, non ha impegni da rispettare. La nostra presunzione di essere, di valere, di disporre si manifesta nella sua vanità e nella sua precarietà. Oggi pomeriggio, prima che Ambrogio pubblicasse i tuoi pensieri, anch'io ,presa da un momento di ansia, mi ero sentita come una foglia in autunno e ho riportato sulla mia pagina le parole di Ungaretti...
RispondiEliminaVanitas vanitatum, et omnia vanitas
EliminaFortunatamente non mi sento una foglia d'autunno, affronto le giornate godendo di quello che ho: amicizie virtuali, una certa manualità, ed il pensiero di aver trascorso una vita intensa ed in un certo modo appagante, ho un'ottima compagna che ha condiviso quanto, migliorando. Ho visto la Terra, ho viaggiato con i miei mezzi, ho visto le profondità marine, ho lavorato anche duramente.
EliminaInsomma, sono stato fortunato.
Ora a 82 anni, come diceva Vittorio Gassman, con un grande avvenire dietro le spalle, lascio che la vita scorra ed aspetto ciò che verrà. Un solo grande ed egoistico timore: perdere la mia metà prima di me, mi lascierei andare..
Concordo con anonimo. Ho 10 anni in meno, una vita abbastanza disastrata, ma questo non mi impedisce di affrontare con grinta questo periodo di emergenza. Mai mostrarsi deboli e impauriti! Non mi sento una foglia, ma un tronco.
RispondiEliminaVorrei chiarire: manifestare i propri momenti di fragilità non significa essere canne sbattutte dal vento, ma semplicemente ammettere che si vive consapevoli delle prove che ogni giorno si devono affrontare per le quali è necessario trovare nuove energie. Sentirsi una foglia d'autunno, non significa lasciarsi andare, non l'ho mai fatto e sto vivendo queste settimane in pace, con molta laboriosità fisica e mentale. Nella mia testa fin dal mattino ho dei progetti, non conosco la noia e ho sempre cercato di dare il massimo per onestà verso me stessa e verso gli altri.
RispondiEliminaUngaretti aveva trent'anni quando scrisse i suoi versi in una trincea del Carso...ma a ottant'anni affermava che, nonostante guerre e dolori, lui si sentiva di avere "quattro volte vent'anni!"...
Marisa, infatti i due anonimi non hanno affatto capito il senso umanissimo dei versi di Ungaretti e i motivi per cui li ho citati. Tu, invece, sì. Nemmeno io sono un pusillanime tremebondo e lamentoso, come mi hanno interpretato invece i due invincibili guerrieri.
EliminaProf. Bifani, anche se sono una misera ragioniera, né lei né la signora (non conosco il titolo di studio) Guidorzi avete capito il senso delle mie parole. Pazienza, me ne farò una ragione. Sono comunque una guerriera, anche se non invincibile. Passo e chiudo.
RispondiEliminaLe ragioniere io non le ho mai considerate misere, sanno cos’è che io ignoro del tutto. anche Guidorzi se non sbaglio, è una prof di Lettere in pensione, come me, che Prof non sono più da 17 anni. Se anche Lei, signora ragioniera, ha capito bene i versi di Ungaretti e il motivo per cui li ho citati, benissimo, siamo in tre.
RispondiEliminaUna breve considerazione sul commento di Anonimo di ieri delle 20,24. Un mio compagno di studi diceva spesso che noi siamo i peggiori nemici di noi stessi, perchè tendiamo a denigrarci da soli. Perché lei si definisce "misera ragioniera"? Cerchiamo di amarci un po' di più, il meglio o il peggio di un lavoro dipende da noi e da come lo facciamo, non c'è una scala di valori, siamo tutti sullo stesso piano.Buona giornata!
RispondiEliminaFra l’altro, anche Quasimodo aveva frequenza un Istituto Tecnico e Leonardo non era laureato. Non è il titolo di studio a dare qualità superiori ad una persona.
EliminaInfatti ...
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